Teoria del valore, crisi generale e capitale monopolistico
Napoleoni in dialogo con Sweezy*
di Riccardo Bellofiore
Finally, if an old man may presume to give advice to a young one, let me recommend (1)
that you stop quoting Marx every second sentence,(2)
that you develop your own style and formulations more freely, and (3)
that you engage your contemporaries in more vigorous critical polemics. They badly need it.
PM. Sweezy aM. Lebowitz, 17 agosto 1982
1. Introduzione
Nelle pagine che seguono si tomera ad alcuni momenti tra i più rilevanti -in parte largamente conosciuti, in parte invece poco noti- di un incontro/dibattito intellettuale a distanza, quello che Claudio Napoleoni ha intrattenuto con Paul M. Sweezy. Gli anni di cui si parlera sono quelli tra il 1970 e il 1974. Le questioni che trattero sono quelle cruciali per l’uno e per l’altro autore, all’intemo di una prospettiva che e per entrambi quella marxiana: la teoria del valore e del plusvalore, la teoria della crisi, il capitalismo monopolistico.
I testi di Napoleoni a cui faro riferimento sono pochi, editi rna anche e soprattutto inediti. Quelli editi sono essenzialmente l’introduzione alia ristampa (parziale) della Teoria della sviluppo capitalistico di Sweezy (1) e la voce «Capitale» dell’Enciclopedia Europea di Napoleoni. Quelli inediti sono i corsi di Politica economica e finanzia ria che Napoleoni tenne alia Facolta di Scienze Politiche dell’Universita di Torino nel 1971-1972 e nel 1972-1973, dedicati nella gran parte alla questione della teoria dellacrisi nel marxismo e a un confronto critico con il keynesismo (3) Secondo la catalogazione dell’archivio del Fondo Claudio Napoleoni (che raccoglie le carte edite e inedite dell’economista italiano) le Lezioni del corso del1972-73 sono state sbobinate e dattiloscritte – integralmente per quel che riguarda la teoria marxiana della crisi – da alcuni studenti frequentanti. Delio stesso corso sono presenti dei quademi di appunti a mano meno completi, rna alquanto dettagliati, sull’intero arco delle Lezioni. All’intemo di questi cicli di lezioni ve ne e anche una serie dedicata a commentare il Capitale mono polistico di Baran e Sweezy (4) : presteremo particolare attenzione a quella dedicata ad una lettura della tendenza all’aumento del sovrappiu sostenuta dai due economisti ameri cani che superi le obiezioni rivolte dai critici marxisti, e che ne mostri la compatibilita con la teoria del (plus)valore.
Pur nell’arco di cosi pochi anni, si vedra che, certo all’intemo di continuita interpretati ve chiaramente discernibili, il giudizio di Napoleoni su snodi centrali della teoria marxiana mutera in maniera radicale, e talora quasi di 180°. Si passa da una posizione definibile in qualche modo come «ricardiana» ad una piu strettamente «marxiana», non esente da impli cite (e forse non coscienti) suggestioni «schumpeteriane»: dove lo strettamente allude alla rivendicazione del valore-lavoro astratto come categoria ineludibile del discorso economico (5). Un tentativo che impegno Napoleoni dalla meta del 1971 sino almeno a tutto il1974. Va da se che sullo sfondo del discorso che si fara vi sono anche alcune altre opere-chiave di Napoleoni cui si accennera soltanto di sfuggita: l’introduzione a Ilfuturo del capitalismo: crollo o sviluppo?(6) , e le due edizioni di Smith, Ricardo, Marx(7 ) E gli echi delle posizioni che verranno ricordate si faranno sentire nello stesso Valore di pochi anni successivo (8) , che di fatto apre la crisi del «ritomo a Marx» della prima meta degli anni ’70; una crisi che, come e noto, si chiudera con l’intervento di Napoleoni al convegno di Modena nel1978 che segna l’abbandono del tentativo di ripresa del Marx «economista» (9)
Visto che la posizione di Napoleoni, almeno nella versione che e presente nelle Le zioni e con riguardo ai temi che tratteremo nella terza e nella quarta sezione – cioe, rispettivamente, il rapporto tra la teoria della crisi e la teoria del valore, e il rapporto tra Il capitale monopolistico e la teoria del valore – e poco nota, e anche potenzialmente controversa, faro un uso piu largo del consueto delle citazioni dirette.
2. Lavoro astratto e teoria del valore-lavoro: la centralità del saggio di plusvalore come saggio di sfruttamento
La ristampa nel 1970 dellibro fondamentale e forse piu infiuente di Sweezy, la Theory of Capitalist Development del 1942, si apre con una lunga e impegnata introduzione di Napoleoni che fail punto delle questioni piu dibattute nel marxismo: la teoria del valore lavoro come fondamento della teoria dei prezzi di produzione (di cui si dira in questa sezione) e la presenza di piu teorie della crisi, se non addirittura di piu teorie del crollo, nel marxismo (di cui si dira nella prossima sezione). E,questo, un Napoleoni chiaramente di transizione. Un Napoleoni che si dibatte interiormente tra, da un lato, la ricostruzione di Marx suggerita negli anni immediatamente precedenti con Franco Rodano sulla «Rivista Trimestrale» e, dall’altro lato, l’impatto per lui sconvolgente della nuova lettura di Marx che viene proposta da Colletti alia fine degli anni ’60, una lettura che ormai andava ben oltre l’ortodossia dellavolpiana10• Ma e questo anche un Napoleoni che, mentre registra l’incongruenza tra le proposizioni di Produzione a mezzo di merci di Sraffa (11) e il marxismo «tradizionale» di Dobb (12), Meek (13) e del Sweezy del 1942, non puo non derivare dal rapporto con Colletti una spinta verso una piu coerente ripresa del Marx economista politico critico dentro il valore-lavoro. Si noti che nel seguito, quando parleremo di teoria del valore-lavoro (o di valore-lavoro senza altra qualificazione) faremo sempre riferimento alia teoria del valore-lavoro astratto: che molto poco ha ache vedere con il valore-lavoro di Ricardo, e nulla con il valore lavoro che Bohm-Bawerk sottomettera a una sferzante e distruttiva disanima critica (14)
2.1 La critica a Sweezy e il rapporto con Colletti nell’Introduzione alla Teoria dello sviluppo capitalistico del .manca testo
II giudizio di Napoleoni sui valore del libro di Sweezy e inequivocabile. Si tratta, scrive, della migliore esposizione elementare della teoria marxiana, anche se, avverte, il volume richiede una lettura criticamente avvertita su alcuni nodi dirimenti. Tratteremo, in prima istanza, della teoria del valore.
II primo punto da considerare e quello della distinzione (che Sweezy riprende da Franz Petry (15) tra aspetto qualitativo e aspetto quantitativa. L’ aspetto qualitativo sarebbe per Napoleoni da identificarsi con la tesi che i valori sono cristallizzazioni di lavoro quali che siano i «valori di scambio» (intesi come rapporti di scambio proporzionali aile quantita di lavoro direttamente e indirettamente contenute nelle merci alienate). Ne consegue che il plusvalore totale del sistema, che all’origine e somma di pluslavori non pagati, alia fine deve inevitabilmente essere pari al profitto totale come somma dei termini trasformati. L’aspetto quantitativa avrebbe a che vedere con la «trasformazione» dei valori di scambio in un secondo, ulteriore sistema di rapporti di scambio dato dai «prezzi di produzione». Dove pen), si badi, quei valori di scambio si debbono confermare come punto di partenza necessaria e insostituibile di quell’operazione. Si tratta di quella che e stata successivamente definita una visione «dualistica» del prezzo in Marx(16 ) Napoleoni conferma in questo testo un suo giudizio acquisito ormai da alcuni anni. II mo dello con sovrappili e con il salario che viene risolto nei mezzi di sussistenza, presente nelle prime pagine del libro di Sraffa del 1960 (17) , dimostra che in realtà il riferimento al lavoro come unita di misura e del tutto inessenziale. Più in generale, il libro di Sraffa conferma che i prezzi di produzione sarebbero determinabili indipendentemente da un qualsiasi legame funzionale con i valori di scambio e dunque col valore stesso.
Di più: la riduzione dei prezzi in quantita di lavoro avviene, primo, a partire da prezzi gia determinati senza alcun bisogno di partire dai valori di scambio e, secondo, risolvendo tali prezzi in quantita di lavoro «datate». II che significa, pen), che il riferimento e a quantita di lavoro differenziate qualitativamente per la loro inclusione neUe diverse industrie: dunque disomogenee, e aggregabili esclusivamente in quanto parte del capitale. II che sarebbe nient’altro che la inevitabile conseguenza della «sussunzione reale dellavoro al capitale», dove quest’ultimo finisce con il determinare le proprieta del primo in quanto addizione di lavori utili e concreti.
La caduta dell’aspetto quantitativa (che, come abbiamo detto, si identifica per Napoleoni con la «trasformazione» dei valori di scambio in prezzi di produzione) trascinerebbe con se l’aspetto qualitativo (che si identifica di fatto, per Napoleoni, con l’origine del plusvalore come pluslavoro). Ricondurre il plusvalore al pluslavoro avrebbe senso sol tanto sulla base della possibilita di istituire un confronto tra la quantita di lavoro oggetti vata dai lavoratori e la quantita di lavoro che toma loro come contenuta nei beni salario. Ma l’esito della trasformazione- secondo il quale illavoro comandato sui mercato dal profitto lordo sociale diverge dal pluslavoro di sistema, e illavoro comandato dal monte salari non coincide con il lavoro speso nella produzione dei beni salario – impedirebbe proprio che tale operazione possa essere svolta in modo rigoroso. II punto e, chiarisce Napoleoni, che il fenomeno del valore si svolge interamente all’intemo della circolarita del capitale. Se le cose stanno cosi, e evidente che la vicenda analitica del problema della trasformazione come deduzione matematica (il cui termine iniziale potrebbe, sulla scorta di Sweezy, essere individuato in Bortkiewicz (18) none quella storia a lieto fine che, per esempio, Dobb (altro gigante del marxismo tradizionale che Napoleoni molto ammira, rna altrettanto radicalmente critica) ha disegnato, vedendo in Sraffa la soluzione, e non invece la dissoluzione, della problematica marxiana (19).
E’ chiaro, peraltro, che in Napoleoni, sulla scorta di Colletti, si e ormai solidificata una netta critica a quello che poco dopo definira l’approccio di tipo «empiristico» a Marx, e di cui tanto Dobb quanto Sweezy sono ritenuti i massimi rappresentanti teorico. Un approccio secondo il quale la teoria del valore ha inizio con una definizione di astrazione del lavoro che e in sostanza una generalizzazione mentale; si sviluppa poi come una teoria dei rapporti di scambio attenta al solo momento dell’equilibrio; e viene infine scandita in due approssimazioni successive, di cui i valori di scambio nel primo libro del Capitate costitui scono la prima, e i prezzi di produzione del terzo libro la seconda. Sraffa puo essere ovvia mente utilizzato come un implicito suggerimento di critica di questa impostazione. Salta infatti in Produzione di merci una determinazione dualistica dei rapporti di scambio di equilibrio. In un primo modello, i prezzi capitalistici vengono (manca testo) fissati una volta dati la «configurazione produttiva» e il salario reale di «sussistenza». In un secondo modello si ammette un grado di libertà nella distribuzione e i prezzi sono determinati una volta definita la spartizione conflittuale del prodotto netto tra profitti e salari. Napoleoni intuisce già nell’introduzione a Sweezy che il Marx di Colletti distrugge alla radice l’idea delle approssimazioni successive. Il lavoro e «sostanza comune» delle merci non in quanto lavoro utile e concreto rna in quanto lavoro astratto. Tale astrazione none del ricercatore rna esiste effettivamente nella realta. IIlavoro astratto e percio esso stesso del tutto «concreto», nel senso di aderente alla realta storica e sociale determinata.
E’ l’elemento specificante del mercato e della produzione capitalistici, all’uno e all’altra perfettamente adeguato già nella definizione che ne viene data al livello di analisi del primo libro del Capitate. Il passaggio dai valori di scambio ai prezzi di produzione non puo, allora, essere visto come un progressivo avvicinamento alla realtà, e la seconda ap prossimazione non puo (non deve) modificare in nulla quella determinazione essenziale. Il che però sembra non avvenire nel marxismo «tradizionale» nè in Sraffa.
2.2 II ritorno di Napoleoni agli aspetti economici della teoria marxiana del valore nei primi anni ’70
Vi e qui da parte di Napoleoni, con tutta evidenza, la base di una «schizofrenia» analitica in cerca di scioglimento, in un senso o nell’altro. Negli anni successivi l’econo mista italiano rivedra molti anelli di questo schema argomentativo. None qui possibile ricostruire i caratteri di quel programma di ricerca che Napoleoni intraprendera nei primi anni ’70, e che e rimasto incompiuto: un pro!?ramma di ricerca che si poneva l’obiettivo esplicito di un ritorno a Marx dopo Marx. Ci limitiamo in questa sede ad alcune brevi considerazioni: in prima battuta sui Sweezy successivo alia Theory; in secondo luogo su un paio di aspetti del Napoleoni «marxiano»; infine su alcune piste di ricerca possibili. Per quel che riguarda Sweezy, si deve innanzi tutto osservare che alla fine degli anni ’70 lui stesso chiarl inequivocabilmente che la sua strada, non soltanto non si identifi cava, rna era da ritenersi per molti aspetti alternativa tanto a quelia di Dobb21 quanta a quelia di Steedman22 , che aveva da poco pubblicato il suo Marx after Sraffa. Alter nativa quindi sia al marxismo tradizionale sia a quelio sraffismo che rigettava la teoria del valore-lavoro come ridondante e errata. Possiamo partire dal giudizio di Sweezy su Dobb e i «neoricardiani», e dalia sua distinzione tra lo «sraffismo» e Sraffa: due punti che si sorreggono l’un l’altro. In una lettera a Michael Lebowitz (23) ,il 30 dicembre 1973, l’economista americana formula la seguente valutazione:
The trouble with them is- and the point of view from which we should (sympatheti cally) criticize them- that in this day and age it makes no sense to dream of an effective critique of capitalism which is not Marxist. Those, like Dobb for example, who imagine that Sraffism is really a sort of variant of Marxism are on the wrong track. Our job is (1) to try to steer them onto the right track, and {2) to keep the young from following them on to the wrong one. In other words effectively to establish Marxism as what it is, the definitive (although of course not in the sense of being incapable of indefinite further development) critique of capitalism with its necessary link to a revolutionary political position.E in una intervista del 1987, pubblicata sulia «Monthly Review»(24) , si esprime cosi su Sraffa e Steedman:
Sraffa himself did not see what he was doing as an alternative to Marxism, or in any way a negation of Marxism. From his point of view, this was a critique of neoclassical orthodoxy. And he made that very clear. Joan Robinson was very explicit, saying that Sraffa never abandoned Marxism. He always was a loyal Marxist, in the sense of him self adhering to the labor theory of value. But he didn’t write about that. Now that was Sraffa’s peculiarity. He started as a critic of Marshallian economics. You remember his famous article in the 1920s. He was in the Cambridge group. He fought these ideological struggles which had their center in Cambridge. He took a certain side in them, but he didn’t take it as a Marxist, but he took it as a critic of the orthodoxy of the time. Now that’s a peculiar position, but it doesn’t entitle anybody to take Sraffa and counterpose him to Marxism, as Ian Steedman does. To make out of Sraffa a whole alternative theory, in my opinion, is quite wrong and has nothing whatever to do with the real intentions of Sraffa, or certainly nothing to do with the real purposes of Marxist analysis. There is no dynamic, no development in Steedman that I can see. Thinking that it is possible to get along without a value theory (using the term in a broad sense to include accumulation theory and so on) seems to me to be almost total bankruptcy. It’s no good at all. And I don’t think anything has come of it. It was good to show the limitations, the fallacies, the internal inconsistencies of neoclassical theory, that was fine, that was important. But to think that on that basis a theory with anything like the scope and purposes of Marxism can be developed is quite wrong.Sulla questione di una visione «larga» della teoria del valore – che includa al suo intemo la teoria dell’accumulazione: rna dunque anche la teoria della crisi- tomeremo pili avanti. Come anche riprenderemo molto velocemente la questione di Sraffa (25) Urge piuttosto ora richiamare un altro aspetto dell’atteggiamento sul valore dello Sweezy dopo la Theory. Si tratta dell’atteggiamento pubblico di dura critica del neoricardismo quando questa corrente attacca la teoria del valore-lavoro; Ne abbiamo testimonianza dall’intervento pro nunciato da Sweezy ad una tavola rotonda che si svolse a Londra, nel novembre 1978, sulle tesi di Steedman, e a cui mi capita di assistere: il testo venne poi pubblicato nel volume collettaneo The Value Controversy(26 ) ll punto cruciale non e qui tanto che Sweezy contesta radicalmente l’idea che non vi sia possibile e corretta transizione tra la dimensione (es senziale) del valore e la dimensione (fenomenica) del prezzo(27) E none neppure, di per se,l’argomento che 1’analisi in termini di valore non sarebbe smentita in termini di prezzo. La novita vera e altrove. Lo stesso Sweezy si fa ora l’obiezione secondo cui, essendo la realtà «SUperficiale» esperita in termini di prezzo, See possibile analizzarla esclusivamente inter mini di prezzo, che senso ha preoccuparsi dei valori come «essenze»? Ma subito chiarisce che in realta non e affatto vero che sia possibile analizzare la realta capitalistica in termini esclusivamente di prezzo: e vero piuttosto che, una volta sviluppata l’analisi in termini di valore, e possibile raggiungere i medesimi risultati con l’analisi in termini di prezzo. None vero, in altri termini, che l’analisi la si sarebbe potuta o la si potrebbe condurre allo stesso modo, essendo indifferente il punto di partenza.La ragione stain cio, secondo Sweezy: che il centro di gravita dell’analisi marxiana e il saggio di plusvalore come saggio di sfruttamento in senso marxiano. E in nota specifica:
I did not understand this when I was writing The Theory of Capitalist Development some four decades ago. As a result the fifth and sixth sections of the chapter on the transformation problem (entitled respectively «The Significance of Price Calculation» and «Why Not Start with Price Calculation»), while not wrong, do not reach the heart of the matter, which is the crucial role of the rate of surplus-value in the entire Marxian theory of capitalism(28)
Lo spunto di Sweezy rimane privo di sostanziale sviluppo. Ma e interessante che attomo alla questione del saggio di plusvalore come saggio di sfruttamento graviti, a ben vedere, anche il discorso di Napoleoni. Negli anni della «Rivista Trimestrale» e sino al 1970, nell’introduzione a Sweezy, il Napoleoni «ricardiano» e sl convinto che la teoria marxiana del valore sia essenziale alla tesi secondo cui il rapporto capitalistico e un rapporto di sfruttamento: reputa pen) che le difficolta in cui essa incorre non siano superabili. Nei primi anni ’70 il Napoleoni «marxiano» nutre invece la speranza che quelle difficolta, comunque reali, possano essere risolte. A una condizione: di mantenere nell’analisi della formazione del valore, accanto alla dimensione dell’«equilibrio», l’al tra dimensione parimenti fondamentale, quella dello «squilibrio». Uscendo dunque da modelli sostanzialmente di tipo naturalistico e da deduzioni matematiche del prezzo di produzione: ovvero, da quella formalizzazione che non consente di rappresentare come illavoro individuale, in quanto immediatamente privato, diviene sociale, in forma gene rica o astratta, nello scambio.Si tratta semmai, secondo Napoleoni, di procedere ad un approfondimento della no zione di lavoro «socialmente necessario». La generalizzazione della forma di merce, e il mercato come nesso sociale indiretto universale, si.affermano, in verita, solo con il ca pitalismo. Dunque, secondo questo Napoleoni, la contraddizione interna alla merce puo essere riletta come la presenza di due processi: uno, lineare, che va dallavoro (vivo, del salariato) al valore e plusvalore, e dunque che indaga la costituzione del capitale; 1’altro, circolare, che va dal capitale al lavoro (come forza-lavoro) ridotto a capitale variabile, e definito dal capitale nelle sue proprieta di lavoro concreto. La circolarita del capitale, che include illavoro al suo intemo (come nella Introduzione a Sweezy), assolutizzata dal neoricardismo, andrebbe vista come fondata dal percorso lineare per cui illavoro vivo e l’origine di tutto il capitale (l’acquisizione della rifiessione dei primi anni ’70). Anche in questo caso siamo in presenza di piste di ricerca, mai compiutamente con dotte sino in fondo (rna, si deve aggiungere, abbondantemente dettagliate negli appunti di questo periodo raccolti presso il Fondo Napoleoni, che meriterebbero una pubblica zione sistematica), e poi alla fine rigettate. A me pare pero che, sfruttando in parte queUe piste rna in pari misura criticandone le confusioni – che talora derivano dall ‘eredita del Napoleoni «ricardiano»- si possa proporre una diversa lettura. Una lettura che confer rna, insieme, sia il giudizio di Sweezy del1980, sia l’intuizione del Napoleoni «marxia no»: sia pure in piena indipendenza ormai dai ragionamenti dell’uno e dell’altro.
2.3 La teoria marxiana del valore come teoria macro-monetaria della sfruttamento, e il ruolo dei valori di scambio
Si può, in breve, ragionare così (29). L’aspetto qualitativo di cui Napoleoni parla nella introduzione a Sweezy ha, con tutta evidenza, dentro di se, una inevitabile traduzione quantitativa. Si tratta della derivazione del plusvalore dal pluslavoro, il secondo visto come origine del primo. Ma quella derivazione ha dietro di se, nel primo libro del Capitale, l’estrazione di lavoro, di tutto il lavoro, dalla forza-lavoro come merce «particolare», a partire da una analisi di classe (quindi, modemamente, «macroeconomica») soggetti sono, a un polo, il capitale come un tutto, all’altro polo, la classe dei lavoratori salariati. La particolarità di questa merce sta anche, e soprattutto, nel fatto chela forza lavoro venduta al capitale sui mercato dellavoro, e di cui il lavoratore è il mero portatore, e «appiccicata» all’ essere umano in una particolare determinazione storico-sociale.
(manca testo) che ci porta a due punti ulteriori. Il primo punto è che l’estrazione di lavoro vivo si svolge dopo la compravendita della forza-lavoro, e non è di per sé garantita in alcun modo da quest’ultima. ll capitale deve ottenere davvero tale estrazione, suscitando consenso e superando antagonismo, nel processo capitalistico di lavoro. Altrimenti, non soltanto la produzione di plusvalore, rna neanche quella di valore potrebbe darsi. ll secondo punto e che la riproduzione della forza-lavoro, peril tramite della acquisizione dei valori d’uso costituenti i beni salario, e condizionata pur sempre da una transazione di mercato. L’estra zi.one di plusvalore si compie allora in conseguenza del combinato disposto di due fattori. Da uri·lato, e furtzione della capaclta del capitale di estrarre lavoro tout court, che costitu isce il neovalore. Cio costituisce un primo aspetto dello sfruttamento, che si identifica qui semplicemente con l’uso della forza-lavoro, dunque con l’intera giomata lavorativa, come esito della «Iotta di classe nella produzione». Dall’altro lato, e anche funzione della defini zione quantitativa dellavoro necessaria come «sussistenza» dei lavoratori, o comunque in conseguenza delle scelte della classe capitalistica sulla composizione della produzione, di nuovo tenendo conto di un «vincolo sociale» (confl.ittuale). Ne discende il secondo aspetto che definisce lo sfruttamento, indissolubile dal primo, rna derivato: il prolungamento della giomata lavorativa oltre illavoro necessaria, che riconduce il plusvalore al pluslavoro. n punto chiave e, con tutta evidenza, la variabilita dell’eccesso dellavoro vivo sullavoro necessaria. E questa la ragione di fondo per cui il saggio di sfruttamento e centrale. Cio che il Napoleoni dell’Introduzione a Sweezy non vede per nulla, e il Napoleoni suc cessivo intravede soltanto a sprazzi, e che la teoria del valore come teoria dello sfruttamento dipende centralmente da quella vera e propriafondazione della riconduzione del valore alla voro che si trova non nel capitolo primo rna nel capitolo quinto, secondo paragrafo, del primo libro del Capitale. Quel paragrafo e dedicato infatti al processo di valorizzazione e alia costi tuzione del valore e plusvalore a partire dalia (quasi-)contraddizione intema alia produzione, che oppone il capitale allavoro come altro da se da rendere intemo affinche il valore si possa davvero accrescere su se stesso in una spirale inesauribile, senza che mai cio sia possibile integralmente, nel senso di annullare l’alterita fondante del rapporto capitalistico(30)ll capitale e valore che si valorizza, denaro che produce pili denaro. Lavoro morto che si accresce nel tempo. Cio puo avvenire soltanto se nel processo di lavoro capitalistico viene erogato lavoro vivo, e pili lavoro vivo dellavoro necessaria. L’estrazione dellavoro «in atto», o «in divenire», e soggetta alia incertezza del passaggio attraverso gli esseri umani in carne ed ossa, alloro comportamento pratico, che può essere cooperativo-consensual o conflittuale, o addirittura antagonistico. E solo cosi che si forma la «gelatina» del valore(comprensivo di un plusvalore). Se questa dimensione svanisce dall’analisi, e ci si colloca allivello dellavoro ormai «congelato», e chiaro che del valore-lavoro non c’e pili alcun bisogno. Come infatti avviene se si fa iniziare l’analisi da un insieme di metodi di produ zione dati, da una configurazione produttiva gia costituita. E nel processo di formazione di quella configurazione produttiva che la teoria del valore-lavoro astratto alla Marx si mostra essenziale. Per attivare illavoro vivo del salariato come lavoro astratto, cioe come lavoro proquttivo in potenza di ricchezza generica o astratta, come quel «tutto» che genera il capitale, e parimenti necessaria chela forza-lavoro venga ridotta a «parte» (variabile) del capitale mediante l’anticipazione del monte salari in moneta. Sono ovvie le conseguenze in termini quantitativi, nel primo come nel terzo libro del Ca pitate, di quanto appena sostenuto. II primo libro giustifica la riconduzione della esibizione monetaria del neovalore alla sola oggettivazione di lavoro vivo. Di fatto, e quanto Sraffa stesso a ben vedere assume, beninteso del tutto implicitamente, in Produzione di merci. Basti rimandare ai 10 e 12, i quali possono essere riletti immaginando che l’espressione monetaria del valore sia arbitrariamente posta pari all’unità(31) : il che equivale a presupporre che il sovrappiu esprima nient’altro che illavoro diretto impiegato nell’«anno» nel sistema. Un presupposto, beninteso, che andrebbe marxianamente posto. Che e quello che, appunto, fa Marx – anche se si puo·.discutere in che rllisura ne sia cosciente sino in fondo. E pen) un rimando implicito rna forte, da parte di Sraffa, ad un ruolo «macro» del valore-lavoro. A questo punto tutto vaal suo posto. Nel primo libra del Capitale, quando il rapporto tra capitale e lavoro è analizzato in termini di classe, l’ipotesi di prezzi relativi proporzionali alle quantità di lavoro congelate (i «valori di scambio») consente di dare una analisi preliminare del rapporto tra tutto il capitale e l‘insieme dei lavoratori salariati sui mercato «iniziale» dellavoro, e consente di tradurre il valore potenziale prodotto in una grandezza di prezzo sui mercato «finale» delle merci. E’ perciò strumentale, e necessaria, all’indagine che «isola» l’oggetto d’analisi della costituzione del (plus) valore, e dellaformazione della configurazione produttiva. Nel terzo libro, la «trasfor mazione» definisce il sistema di prezzi relativi corrispondenti alla situazione capitalistica di «libera>> concorrenza, disaggregando ilcapitale in diversi rami di produzione e introducendo la competizione intersettoriale tra di essi sulla base di un eguale saggio del profitto. Tali prezzi modificano la valutazione dei beni acquistati dai lavoratori: o, detto altrimen ti, fanno si che illavoro «esposto» o «esibito» nei (o, se si preferisce, «comandato» dai) prezzi delle merci che costituiscono la sussistenza storicamente e socialmente determinata diverga dallavoro che e stato necessaria a produrle. Ma significa forse questo che -a livello del rapporto di classe tra capitale totale e classe dei lavoratori salariati- il rapporto di scambio non sia più regolato in termini di «valori di scambio» alla Napoleoni? Certo che no. La natura macroeconomica e monetaria del processo capitalistico significa infatti che, anticipando ilcapitale, la classe capitalistica e in grado di definire con le proprie scelte autonome e dentro un contesto conflittuale il salario reale che viene reso disponibile all’ insieme dei lavoratori che erogano loro lavoro vivo –quel salario reale della classe che Marx assume regolato dalla «sussistenza» storica e sociale. Significa inoltre che la trasformazione non può mutare di per sé né que llavoro vivo ne il lavoro contenuto nei beni-salario, per quanto possa modificare la loro espressione in valore di tipo «microeconomico». Ne discende inevitabilmente che il ragionamento in termini di valori di scambio cattura con precisione il rapporto di classe nel suo nucleo fondamentale: da una parte, la giornata lavorativa sociale estratta a tutti i lavoratori; dall’altra, illavoro necessaria a produrre il salario percepito in termini reali dalla classe dei lavoratori. L’una e l’altra grandezza sono fissate necessariamente passando per il confiitto sociale. Si giustifica cosi la tesi che i profitti monetari lordi non siano che una espressione distorta del plusva lore e del pluslavoro – dello sfruttamento.Quello che i prezzi fanno, confermando le intuizioni marxiane, al di Ut dei dettagli del calcolo – e confermandole in un modo che le radicalizza ulteriormente rimanendo fedele allo spirito dell’intera ricostruzione-e questo: che la dimensione «superficiale» del valore di scambio, quando si tramuta in prezzo di produzione, dissimula -ma certo non cancella, né muta quantitativamente- la relazione fondamentale di classe. A tale dissimulazione corrisponde nient’altro che un trasferimento di quote di neovalore tra i diversi rami di produzione. Non puo che essere cosi, visto chela fondazione marxiana dell’identita tra neovalore e espressione monetaria dellavoro vivo significa che il «valore aggiunto» dai lavoratori nel corso del periodo non puo che essere posto come identico in «valori» e in «prezzi» (32).
La «distorsione» in questione è senz’altro rilevante ad altre scale dell’analisi, ma non nello studio del processo «immediato» di produzione del plusvalore, e non al livello «macro». La divergenza tra, da un lato, il saggio tra plusvalore e capitale variabile (in termini di lavoro contenuto) e, dall’altro lato, il rapporto tra profitti lordi e monte salari monetario (in termini di lavoro comandato sui mercato), avviene, e non può che avvenire, all’interno di un neovalore che si deve supporre identico nella valutatazione in valori di scambio o in prezzi di produzione – o, se è per questo, in qualsiasi sistema di prezzi. La categoria chiave del saggio di sfruttamento come rapporto di classe, lungi dal divenire ridondante, viene esaltata nella sua centralità di perno dell’intera costruzione teorica. Sono queste conclusioni che vengono tutte ribadite anche dal punto di vista quantitaiva dagli sviluppi del dibattito interno alla teoria marxiana negli ultimi trent’anni. Basti qui rimandare alla «nuova interpretazione» di Foley e Dumeni (33) , e in Italia ai lavori più recenti di Gattei e di Perri (34) ll filo di discorso che si e qui suggerito, e che per mio conto vado sostenendo ormai da ben più di un ventennio (35), ha di originale solo questi quattro punti, pero fondamentali: (I) l’integrazione dell’ estrazione di valore e plusvalore nell’economia monetaria della produzione in modo più radicale e coerente, dentro una visione endogena e sequenziale dell’offerta di moneta (superando gli aspetti spesso tradizionali o inaccettabili delle teorie della moneta sostenuti dai nuovi approcci a Marx); (II) la fondazione della riconduzione del valore al lavoro nel processo di sussunzione reale dellavoro al capitale quale si da nel processo immediato di valorizzazione, come lavoro astratto «in potenza» (mentre quella riconduzione viene troppo spesso data per scontata, o assunta come un «postulato», nel nuovo marxismo); (III) la nuova de:finizione allargata di sfruttamento rispetto alia lettera marxiana (un punto quasi del tutto assente nella discussione attuale su Marx); (IV) la conseguente conferma della centralità del saggio di plusvalore in valori di scambio, e tutto ciò fuori da una determinazione dualistica dei prezzi in Marx. Sono a questo punto chiari i limiti dell’analisi di Marx svolta da Napoleoni nell’Introduzione a Sweezy, limiti che in qualche misura ipotecano la successiva fase «marxiana». L’economista italiano degrada a solo aspetto qualitativo quella che in realtà è anche e indissolubilmente la fondazione quantitativa della riconduzione del valore al lavoro. Fa ciò perchè non vede (e poi intuirà soltanto, senza svilupparlo in modo adeguato) che in realtà tale riconduzione attiene non tanto al valore rispetto al lavoro oggettivato quanto piuttosto al solo neovalore in rapporto allavoro vivo. Rimane intrappolato in una visione secondo la quale in Marx si darebbe un doppio sistema di rapporti di scambio. Non si rende dunque conto che la determinazione capitalistica del valore, su cui giustamente insiste, se non puo mutare la grandezza del neovalore (che rimanda al Htvoro vivo effetti vamente estratto), e neanche il salario reale della classe dei lavoratori salariati (determi nato alia sussistenza de:finita dal conflitto sociale), fa pero si che il capitale costante vada invece computato nei termini del solo lavoro esibito, e dunque comandato, sui mercato, senza che si dia alcun rapporto di identita con il lavoro necessaria alia produzione dei suoi elementi. Detto altrimenti, nella determinazione simultanea dei prezzi di produzio ne il valore del capitale costante va inteso come gli elementi del capitale costante valutati a quegli stessi prezzi di produzione.D’altra parte, e evidente chela linea di discorso che si e qui proposta non la si sarebbe neppure potuta iniziare se non a partire dalla rilettura di Marx che Napoleoni compie nei primi anni ’70. Come è pure chiaro che il nostro ragionamento finisce con il confermare tanto il giudizio di Sweezy sulla crucialita inaggirabile del saggio di sfruttamento, quan to quello del Napoleoni «marxiano» sulla necessita di mantenere un significato essenzia le al saggio di plusvalore valutato in termini di valori di scambio.
3. Crisi da realizzo e caduta tendenziale del saggio del profitto: verso un approccio unitario dentro la teoria del valore lavoro astratto
L’Introduzione a Sweezy affronta anche in profondita la discussione della teoria marxiana della crisi, e la sua traduzione in teoria del crollo. n percorso di ragionamento e sostanzialmente identico a quello che, contemporanemente, Napoleoni andava pubblicando nella Introduzione al Futuro del capitalismo. Crolla o sviluppo? Su questi temi Napoleoni tomera dopo pochissimo tempo nei suoi corsi di Politica economica e fman ziaria che inizia a tenere a Torino. Qui la sua posizione si modifica su punti di rilievo. Vediamo di che si tratta.
3.1 La complementarieta tra «sottoconsumo» e «sproporzioni» nella crisi da realizzo, e la critica alta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto
Le due Introduzioni del 1970 sono caratterizzate da un rigetto netto della teoria della caduta tendenziale del saggio del profitto e dalla proposta originale di combinare insie me, nella crisi da realizzo, il filone del sottoconsumo e quello delle sproporzioni. Epa lese l’importanza che ha avuto Sweezy per Napoleoni su entrambe le questioni. Per quel che riguarda in particolare la discussione sulla teoria del crollo il nostro autore si esprime ancora una volta in termini estremamente lusinghieri: il capitolo dedicato alia questione e una rassegna SVOlta COn «ampiezza e intelligenza», e «Uno dei più interessanti del libro», e fa del libro qualcosa di «straordinariamente utile»(36). Nondimeno, Secondo Napoleoni, nella distinzione delle varie teorie delle crisi Sweezy procederebbe a distinzioni «troppo nette» (37) Sweezy infatti qui articola l’impostazione marxiana nelle tre impostazioni, a cui ci siamo gia riferiti: la caduta tendenziale del saggio di profitto, la crisi da sproporzioni, la crisi da sottoconsumo. Dall’Introduzione al volume di Laterza si ricava che Napoleoni, in buona sostanza, condivide la posizione di Sweezy, rna anche di Joan Robinson (38) , scettica sulla prima teoria della crisi (un argomen to su cui tomeremo più avanti). Le cose stanno diversamente nel caso delle sproporzioni e del sottoconsumo. Le due forme in cui si articola la crisi da realizzo sarebbero, peril nostro autore, da considerarsi congiuntamente: esse non sono alternative rna semmai complementari. A condizione, pen), di rimuovere «alcune ipotesi che [Sweezy] fa circa il carattere costante di certi rapporti tra le grandezze implicate nel problema» (39) , che inde boliscono il discorso dell’economista statunitense.Per quel che riguarda la crisi da sottoconsumo, sulla scorta di alcuni brani del terzo libro del Capitate la si puo brevemente esporre come segue. Il profitto e prevalentemente investito, e il salario integralmente consumato. La natura sempre pili diseguale della distribuzione da luogo ad un livello del consumo relativamente sempre pili basso in rapporto al prodotto. La «realizzazione» del plusvalore richiede percio progressivamente quote crescenti di domanda di investimenti. Per quel che riguarda la crisi da sproporzioni, essa e facilmente deducibi le dagli «schemi di riproduzione» del secondo libro del Capitale. Tanto la composizione dell’offerta quanto la composizione della domanda sono legate ai rapporti quantitativi che si stabiliscono nei vari rami di produzione. La struttura dell’offerta delle diverse industrie dipende dallivello raggiunto dalle branche produttive nel capitale totale; mentre quella della domanda dipende dalla ripartizione del capitale costante e del capitale variabile all’intemo delle industrie. Gli schemi consentono di derivare le condizioni di equilibrio, ovvero i rapporti che garantiscono la compatibilita tra composizione dell’offerta e composizione della do manda a livello di sistema. ll verificarsi effettuale di tali condizioni dipende dall’operare del meccanismo dei prezzi in concorrenza, cioe dal coordinamento ex post tramite il mercato. Cia che Napoleoni contesta a Sweezy e di vedere nelle sproporzioni e nel sottocon sumo due cause distinte di crisi. Nell’un caso, la crisi da realizzo deriverebbe dal ge neralizzarsi degli squilibri settoriali a causa dell’instaurarsi di una reazione a catena di tipo demoltiplicativo. Nell’altro caso, avremmo immediatamente una classica crisi da insufficienza di domanda effettiva. Secondo il nostro autore, al contrario, abbiamo a che fare con due «concause» della crisi. L’elemento di fondo sta nella incapacita del sistema dei prezzi di rendere compatibili le scelte delle imprese individuali in condizioni di mercato «anarchico». Quando, come e prima o poi inevitabile, il «caso» fortunato in cui le condizioni di equilibria dettate dagli schemi non si realizzasse, i movimenti dei prezzi sul mercato dovrebbero correre in soccorso, orientando gli investimenti delle imprese (40). D’altronde, vista l’insufficienza radicale e costitutiva del coordinamento ex post tramite i prezzi, quell’orientamento puo essere efficace, secondo questo Napoleoni, soltanto se la quota dei consumi non scende troppo. In questo senso, allora, sottoconsumo e sproporzioni sono come le due lame di un’unica forbice. Il sottoconsumo puo determinare la crisi per i limiti del coordinamento ex post del mercato tramite i prezzi, mentre l’anarchia della concorrenza e fattore di crisi se il consumo non orienta da vicino l’investimento. Un aspetto rimanda all’altro, che lo completa. A ben vedere, prosegue Napoleoni, abbiamo pero qui ache fare con la formulazione di una teoria del crollo di tipo «originario» o iniziale. Il capitale puo avere vita storica soltanto nella misura in cui persistono, o si creano ex novo, forme di lavoro e di consumo improduttivo.
Il discorso che si e qui sommariamente richiamato si basa in sostanza su due punti: la tesi chela teoria della crisi da realizzo, nei suoi due aspetti costituiti dalle sproporzioni e dal sottoconsumo, e indipendente dalla teoria del valore-lavoro; e l’individuazione della causa ultima della crisi nello sganciamento dell’investimento dall’elemento naturale del consumo in condizioni di mercato. Anche le altre due teorie della crisi generale che egli individua nell’antologia con Colletti non gli paiono accettabili: ne la teoria della cadut tendenziale del saggio del profitto41 (che, va ricordato, il Napoleoni di questa fase reputa essa stessa sganciata dalla teoria del valore-lavoro) ne l’argomentazione secondo cui con il macchinismo la produzione di valore «crollerebbe» in quanto il prodotto non dipen derebbe pili dalla quantita di lavoro prestato. Tralasceremo, nel seguito, questa ultima linea di ragionamento, per quanto suggestiva42 , e ci limiteremo a dire della posizione del nostro autore sulla caduta tendenziale del saggio di profitto nel 1970. Si e gia anticipato che per questo Napoleoni le critiche (anche di Sweezy), Secondo le quali non vie ragione per escludere chela «tendenza» alla riduzione del saggio di profit to non sia battuta dalle «controtendenze», sono del tutto condivisibili. Gli argomenti por tati da Marx in favore della crisi da caduta tendenziale del saggio del profitto si muovono su due linee che il nostro autore reputa entrambe scorrette. La prima e che il mutamento dei metodi di produzione darebbe luogo ad un aumento della composizione organica che eccede percentualmente !’incremento del saggio di plusvalore. L’aumento del rapporto tra capitale costante e capitale variabile ha un’infiuenza negativa sul saggio del profitto, mentre l’aumento del rapporto tra plusvalore e capitale variabile, che anch’esso con segue al progresso tecnico, produce invece un effetto positivo sul saggio del profitto. Visto che nel presupposto marxiano il prima effetto e pili forte del secondo, il saggio del profitto non puo che fiettere lungo il tempo. Napoleoni controbatte che i critici come Sweezy hanna senz’altro ragione nel rilevare che non c’e alcun motivo plausibile per cui le variazioni positive del saggio di sfruttamento non potrebbero pili che compensare la crescita della composizione organica. Il Secondo argomento di Marx a favore della legge e quello Secondo cui il massimo saggio del profitto – quel saggio che e definito da quella situazione del tutto ipotetica in cui il capitale variabile e supposto nullo, e corrisponderebbe dunque al rapporto tra neovalore al numeratore e capitale costante al denominatore – tende inevitabilmente a cadere nellungo termine. Esiste infatti una sorta di tetto naturale alla giomata lavorativa sociale, cioe alla massa dellavoro vivo che e estraibile da una data popolazione operaia. Qui.Napoiecmiribatte che se il numeratore ha un limite assoluto, allo stesso titolo ce l’ha il denominatore. Si potrebbe essere in realta pili radicali ancora di Napoleoni. La ridu zione della quantita di lavoro socialmente necessaria a produrre le singole merci- quella riduzione conseguente all’aumento della forza produttiva dellavoro, e che costituisce l’altra faccia dell’aumento della composizione tecnica del valore- fa si che si determini inevitabilmente una svalorizzazione anche degli elementi del capitale costante. La com posizione in valore del capitale puo di conseguenza crescere di meno, o non crescere per nulla, o addirittura ridursi (che e cia che conta per la dinamica del saggio del profitto come funzione del saggio di plusvalore). Di pili, la stessa grandezza di valore del capitale costante potrebbe rallentare, o fermarsi, o retrocedere, a seconda della dinamica settoria le degli aumenti della forza produttiva del lavoro.
3.2 La riformulazione unitaria della teoria marxiana della crisi nelle Lezioni di Politica economica e finanziaria dei primi anni ’70
Possiamo a questa punta passare alla considerazione delle notevoli modifiche che nei primi anni ’70 Napoleoni porta alla propria rappresentazione della teoria marxiana della crisi, e al suo giudizio su di essa. Possiamo preliminarmente sintetizzarle in questi quat tro punti: (I) le tre versioni della teoria della crisi su cui ci siamo concentrati sinora sono tutte espressione delle contraddizioni su cui pone l’accento la teoria del valore-lavoro astratto; (II) l’integrazione di crisi da sottoconsumo e crisi da sproporzioni proposta da Napoleoni cerca ora (rna con difficolta) di sganciarsi dal consumo come elemento «natu rale», e dunque come vincolo sostanzialmente estemo al procedere indisturbato dell’ac cumulazione, nel tentativo di riformularsi nei termini di un vincolo interno che il capitale porrebbe a se stesso; (III) la teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto viene reinterpretata, e in tale reinterpretazione viene considerata sostanzialmente corretta; (IV) su questa strada si finisce d’altra parte con l’unificare i tre discorsi marxiani sulla crisi in uno solo, che sfocia nella formulazione di una teoria sociale della crisi. Vediamo distintamente i vari punti. Gia nel 1970 Napoleoni parte da una descrizione degli schemi di riproduzione, e fa vedere come, a partire da questi ultimi, si possano ordinare le posizioni sulla crisi all’intemo del marxismo lungo l’asse di una dicotomia che vede a un estremo Tugan Baranovskij («armonicismo») e all’altro estremo Rosa Luxemburg(«sottoconsumismo»). Una dicotomia che riproduce in larga misura l’op posizione pre-marxiana tra, da un lato, Ricardo e Say (Iegge degli sbocchi e garanzia dell’equilibrio aggregato) e, dall’altro lato, Malthus e Sismondi (insufficienza iniziale di domanda effettiva in presenza del risparmio, peril conseguente divario che si apre tra prodotto e consumo). Nei corsi di Torino del1971-2 e 1972-3 l’impostazione rimane, a prima vista, sostanzialmente la medesima, salvo forse una pili dettagliata considerazione della posizione di Lenin nella sua polemica con il romanticismo economico. A guardar meglio, ci si rende pen) conto che ora Napoleoni sottolinea con forza alcuni aspetti prima assenti nella sua riflessione. Certo, e ancora vero che gli elementi che entrano negli schemi di riproduzione e definiscono le condizioni di equilibria sono tutti espressione, ad un tempo, dellato della domanda e dellato dell’offerta. Si tratta sostanzialmente, dice ora Napoleoni, della raffigurazione di una situazione di baratto(43)In quant9 tale, non regge la tesi «armonicista» che afferma il verificarsi necessaria di una traiettoria di equilibria nel sistema, indipendentemente dai meccanismi (instabili) che possono condurre a quella relazione di scambio. Gli schemi continuano pero ad essere visti come la smentita della tesi di chi intenda affermare 1’impossibilita astratta del raggiungimento dell’equilibria. La prima vera novita delle Lezioni sta piuttosto nel fatto che il nostro autore lega ormai strettamente gli schemi di riproduzione alia teoria del valore. Quegli schemi individuano una situazione dove il processo di produzione di (plus)valore ha perfme la produzione di valore nella forma del valore di scambio (e qui i valori d’uso sono semplice supporto del processo di valorizzazione).La riproduzione, su scala semplice o allargata, impone che si ricostituiscano le condizioni tecniche del processo capitalistico di lavoro neUe varie industrie; e impone inoltre che cio che il settore produce in eccesso sia venduto. ll valore d’uso diviene un elemento condizio nante, e toma in primo piano. Mezzi di produzione e mezzi di sussistenza vanno specificati come valori d’uso. Perche la riproduzione avvenga gli uni e gli altri devono essere presenti in proporzioni determinate. Le condizioni di equilibria sono ad un tempo e necessariamente condizioni «doppie», in valore e in valore d’uso. «Lo studio della crisi economica», sostiene Napoleoni, e proprio <<lo studio delle forme in cui in concreto si manifestano le contraddizioni che intercorrono trail valore d’uso e il valore di scambio nel capitale» (44) In secondo luogo, gli schemi sono comprensibili solo all’intemo di un discorso scientifico che mostri come la domanda al capitale proviene dal capitale medesimo. In questo -nella centralita assegnata alia domanda di mezzi di produzione45 – Tugan non ha evidentemente torto. II mercato per assorbire le merci prodotte e costituito: dalla domanda reciproca di mezzi di produzione da parte dei vari capitali per ricostituire o allargare gli elementi del capitale costante; e dal consumo di mezzi di sussistenza che proviene dai lavoratori gia o nuovamente occupati. In terzo luogo, e connesso al punto precedente, sembra scomparire in Napoleoni I’idea che, posta l’indipendenza tra investimenti e consumi, si determini una situazione di crol lo «originario». Quel che ci si limita a sostenere ora e che «1’incremento del mercato in temo al capitale e fino ad un certo punta indipendente dal consumo individuale; dipende dal consumo produttivo (i mezzi di produzione nell’ambito del processo produttivo)» 46 • Cio non di meno, Napoleoni mantiene anche in questa fase l’idea secondo cui sarebbe un errore immaginare che la domanda di beni capitali (e di mezzi di produzione pin in ge nerale), sia «completamente staccata»(47) dal consumo individuale dei lavoratori: «L’indi pendenza esiste, rna in fin dei conti il mercato dipende dal consumo, perche la produzio ne di mezzi di produzione e legata al fatto che deve poi produrre beni di consumo» (48) Ma come dimostrare una tesi del genere? Qui il Napoleoni delle Lezioni sembra mo strare qualche incertezza che vale la pena di seguire, una incertezza che forse consegue alia sua convinzione che «il problema di come e stata trattata da Marx e dal marxismo la crisi economica non e ancora sistemato nella teoria»(49)Per un verso, il discorso e chiaro e riporta in qualche misura ad aspetti della sua rifies sione precedente.Inquanto produzione <;li ricchezza astratta il capitale e tendenza illimitata alia accumulazione (in questo Tugan ha r·agione, rna compie I’errore di assolutizzare que sto aspetto). In quanto invece legato al ricambio organico con la natura esso e limitato dai bisogni: ragion per cui la spinta alia accumulazione va analizzata insieme aile forze chela contraddicono, e che comunque conducono la riproduzione allargata a eccedere il consumo pagante. Dice Napoleoni: «[I]l basso livello dei consumi fa si che l’impresa capitalistica non riesce pin a determinare la struttura delle proprie convenienze (capire il senso degli investimenti): il blocco percio degli investimenti provoca la crisi, la caduta della domanda, la recessione. Ci vuole un orientamento di tipo «naturale», secondo questa tesi»(50)Per l’altro verso, si intende bene che una lettura della teoria della crisi di questo tipo, mentre non fa problema per ilNapoleoni che ancora non era del tutto uscito dali’esperienza della «Rivista Trimestrale», come nell’introduzione del 1970, stride alquanto con il Napoleoni successivo che, come si e detto, e alia ricerca di un vincolo non «naturale» alia riproduzione aliargata del capitale(51 ) ll nostro autore prova a uscire da questa di:fficolta sostenendo chela dipendenza del capitale dal consumo non costituisce un vincolo estemo rna interno. Quella dipendenza e dovuta: da un lato, alia natura dialettica della teoria marxiana; dall’altro lato, alia riproduzione della classe dei lavoratori salariati. Vediamo in che senso.Quando Marx parla di opposizione, osserva Napoleoni, il termine e sempre da inten dersi rigorosamente, ed hegelianamente, come contraddizione: opposizione, cioe, «tra termini con una doppia caratteristica, separati tra loro, rna dei quali nessuno puo vivere senza l’altro» (52 ) Dunque,. «tanalisi delcapitalismo fatta da Marx (e per questo la teoria della crisi e difficile) e l’ applicazione della logica dialettica, che none della spirito rna e della realta»(53 ) La contraddizione di base e quella insita nella merce tra valore d ‘uso e valore di scambio, per cui ciascuno e realmente cio che l’altro e idealmente. II denaro autonomizza il valore insito nella merce, e diviene percio cio che, nel mercato generaliz zato, consente lo scambio tra merci diverse (in quanto rappresentante della scambiabilita generalizzata, e quindi dell’unita tra di loro); e come plusdenaro incarna cio che, nel mercato capitalistico, e lo stesso scopo finale della produzione. Al tempo stesso, pero,il denaro separa la compera e la vendita, sicche e possibile che alla seconda non segua la prima: di qui la possibilita astratta della crisi, che in condizioni capitalistiche deve essere ulteriormente specificata. In queste condizioni sociali, i1 fatto che la catena dello scambio si spezzi significa la non conversione del denaro in valori d’uso necessari alla riproduzione allargata come produzione di profitto, in un processo a spirale. Significa,in altri termini, la decisione di non investire il plusvalore. 11 problema e capire come cio avvenga nella ricostruzione teorica del meccanismo capitalistico. Ci pare che nel discorso di Napoleoni questo richiamo alla contraddizione dialettica intema alla merce si incarni in due percorsi argomentativi sulla crisi che, se nelle lezioni non sono mai chiaramente differenziati, pure possono essere utilmente distinti. La prima traduzione di questa tesi in un11 teoria della crisi, in Napoleoni, ci pare quella di vedere nella produzione una duplicita, appunto .inseparabile. In quanto produzione capitalistica, essa e fondata sull’erogazione di lavoro astratto. In quanto tale e produzione per la produzione fine a se stessa. In questo primo versante essa tende a rendersi indipendente dal consumo individuale. In quanto modo storico di organizzare il ricambio organico tra see la natura, la produzione ha invece qualche cosa di comune alle altre forme sociali. Illavoro e sempre una specificazione di attivita finalistica, condizionata eaiutata dal materiale naturale: in quanto tale e condizione «naturale-eterna». In questo secondo versante, essa e legata al consumo: sia perche il valore di scambio deve perforza prendere i1 corpo di un valore d’uso per altri (e la produzione essere percio, in ultima istanza, indirizzata al consumo); sia perche illavoratore deve essere in ogni caso riprodotto non soltanto come lavoro salariato (parte variabile del capitale, riducibile a piacere) rna anche riprodotto in quanta essere umano (dal quale sgorga quellavoro che, in quanto astratto, da origine a tutto il capitale).
La riproduzione, osserva Napoleoni commentando ancora brani di Marx, dipende: (i) dal grado di sviluppo delle forze produttive; (ii) dal verificarsi della proporzione di equilibria tra i settori; (iii) dalla capacita di consumo della societa, a sua volta funzio ne (iii-a) della tendenza all’ accumulazione della classe capitalistica (che comprime il consumo di lusso) e (iii-b) della quota dei salari (che vincola il consumo della classe dei lavoratori salariati). Quando «il divario tra produzione e consumo [e] modesto, e anche quindi la quota di investimenti occorrenti [a colmare quel divario] sia limitata», allora «l’espansione della capacita produttiva trovera facilmente uno sbocco sul mercato, servira abbastanza direttamente a soddisfare una domanda per consumi: il processo capi talistico in questa ipotesi, efortemente orientato dalla domanda per consumi»(54) Quando invece la forza produttiva dellavoro aumenta molto di piu del salario, e dunque «la situa zione evolve verso un aumento della capacita produttiva molto maggiore della capacita di consumo […], e quindi la domanda per consumi lascia una differenza che aumenta nel tempo, si puo immaginare che ci sia un aumento degli investimenti per colmare il vuoto. Se questo accade, illegame tra la produzione di mezzi di produzione e la produzione di beni di consumo diventa sempre meno diretto»(55). A questo punto, Napoleoni ripete in sostanza il discorso del1970 sui limiti del merca to come coordinamente decentralizzato ed ex post nel ristabilire le convenienze dell’in vestimento. L’investimento potrebbe avere una dinamica positiva sua propria in quanto incorporante innovazioni tecniche. Anche in questo caso, secondo il nostro autore, se viene meno l’orientamento del consumo, e probabile che venga meno, prima o poi, lo stesso investimento innovativo, visto che in queste condizioni «non si puo piu valutare il mercato»(56). Cade a questo punto l’investimento. Questa e pero soltanto la causa imme diata e l’occasione della crisi: come nel1929- quando anzi, a stretto rigore, l’impulso iniziale alia depressione fu dato dal crollo in borsa. None pero la causa difondo, che va piuttosto vista nel basso consumo delle masse, anche se quest’ultimo, considerato in se e per se, non sarebbe fattore di crisi. Chiarisce Napoleoni: «la ragione per cui il sistema cede e che il rapporto tra produzione e consumo e alterato a un punto tale chela giusta proporzione non puo piu essere man tenuta, perche gli investimenti non hanno piu un orientamento», rna «[l]a crisi generata dal sottoconsumo non si presenta come caduta d lla domanda per beni ‘di consumo»(57) .Vista l’instabilita della crescita in equilibria, che fa camminare il capitalismo su una lama di coltello, anche un piccolo squilibrio iniziale innesca uno squilibrio generate. L’argomentazione secondo cui «la crisi, come caratteristica intrinseca del capitale, sa rebbe 1’espressione della contraddizione tra la dimensione sociale e la dimensione naturale del capitale, tra storia e natura»(58) , come anche quella corrispettiva che vede nel nesso tra consumo e riproduzione dell’operaio come essere umano il vincolo interno al capitale, le si ritrova in questi medesimi anni, e pressoche negli stessi termini delle Lezioni che stiamo commentando, nella voce «Capitale» della Enciclopedia Europea della GarzantP9 . Basti la citazione seguente, che a questo punto del nostro discorso dovrebbe risultare trasparente: il fatto e chela produzione capitalistica, oltre a essere un modo di produzione social mente determinato nel modo che abbiamo visto, e anche, e inevitabilmente, un modo per assicurare il «ricambio organico» tra l’uomo e la natura; cio significa che, se il capitale riproduce l’uomo come operaio, in qualche modo e misura lo deve riprodurre anche come essere umano, altrimenti la stessa figura sociale dell’operaio scomparirebbe. Cosicche un processo in cui i bisogni del capitale tendessero a divenire il punto di riferimento esclusivo per lo sbocco della produzione e in realta impossibile. Quindi, da un lato, la diminuzione relativa del consumo richiederebbe una formazione di capitale addizionalerelativamente sempre maggiore per ottenere, attraverso la domanda di mezzi di produ zione, quella domanda che serve a chiudere il circuito della produzione capitalistica; rna dall’altro quella medesima riduzione relativa del consumo si pone come un vincolo alia formazione di capitale. A conferma del secondo lato di questa contraddizione, basti ri cordare che, storicamente, formazione di capitale e consumi hanno sempre mostrato la tendenza a svilupparsi o a rallentare secondo andamenti sostanzialmente paralleli. Per un verso, dunque, la produzione capitalistica, in quanto subordina il valore d’uso al valore di scambio, tende a uno sviluppo della. produzione che provoca un’eccedenza crescente della produzione rispetto a quel consumo che e reso possibile dalla poverta delle masse salariate e dal fatto che il plusvalore e solo in piccola parte destinato al consumo; per l’altro verso, la formazione di capitale, che cos!occorrerebbe per avere domanda sufficiente,e regolata proprio dall’andamento del consumo. Da questa contraddizione nasce la crisi come crisi di realizzazione. In questa sensa, dunque, si puo dire che il capitale presenta un vincolo interna al proprio sviluppo(60).Conviene ora passare alla seconda traduzione del riferimento della crisi alla contrad dizione dialettica in sensa hegeliano. Vedremo che questa seconda strada non cancella l’altra, rna la ridefinisce: in quanta ora la proposta diviene quella di integrare sottocon sumo e sproporzioni dentro la Iegge che afferma una tendenziale caduta del saggio del profitto, in una nuova formulazione che sia immune dalle critiche consuete. La tesi di Napoleoni, in netto contrasto con le due introduzioni del 1970, e ora «che la Iegge sia sostanzialmente esatta» (61) .Non si deve guardare la Iegge come qualcosa che immediata mente esprime una determinazione quantitativa, rna indagare innanzi tutto e qualitati vamente il saggio del profitto come la risultante di due tendenzcontrastanti. Gli effetti contraddittori vanno cioe prima considerati come risultati di tendenze die danno vita ad una particolare configurazione non meccanica rna sociale del rapporto capitalistico. Sol tanto a questa punta sene puo derivare una conclusione sull’andamento dinamico anche quantitativa (che, e ad un tempo, storicamente determinato) di un sistema capitalistico la cui struttura cambia nel tempo. In che sensa?In breve, si tratta di cio. La motivazione della caduta del saggio di profitto «e tutta intema al meccanismo di produzione capitalistica. La contraddizione e tra aspetti delcapitale, non del capitale con un’altra cosa, la natura»62 Nella corsa dell’accumulazio ne, il capitale tende allo sviluppo delle forze produttive. Peril tramite dell’aumento della composizione organica del capitale, cio porta alla diminuzione relativa del capitale va riabile. Ne consegue una espulsione diforza-lavoro dal processo produttivo. Sappiamo pero chela creazione di valore, e dunque anche di plusvalore, non rimanda ad altro che al lavoro vivo impiegato nella produzione, e dunque all’uso di quellajorza-lavoro «attacca ta» ai lavoratori salariati. «II rapporto tra capitale e lavoro salariato e contraddittorio: da un lata, illavoro salariato produce le aggiunte al capitale, dall’altro e cio che il capitale tende ad espellere, perche questa e il modo in cui si aumenta la produttivita dellavoro [in realta: forza produttiva dellavoro], e quindi il profitto»(63). A partire da questa considerazione, si puo ragionare come segue. Vista la svalutazione degli elementi del capitale costante e senz’altro vera che il mutamento dei metodi di produzione comporta un innalzamento della composizione organica del capitale (64)mino re di quello che si avrebbe se quella svalutazione non si desse. Come continua ad esser vera che, a salario reale costante, l’aumento della forza produttiva dellavoro si traduce in una compressione relativa del capitale variabile, dando luogo, a pari lunghezza della giomata lavorativa65 , ad un aumento del saggio di plusvalore che potrebbe persino far crescere quel saggio del profitto(66) Non si puo dunque dire nulla a priori su quale forza prevarra. Cosi come non si puo dire nulla a priori sulla tendenza del saggio del profitto come funzione della massa del plusvalore rispetto alia massa del capitale costante: Tutti punti, come si vede, che confermano sin qui completamente le conclusioni del1970. II punto cruciale e che le forze che agiscono in senso compensativo dell’aumento della composizione organica fanno prendere all’economia capitalistica una fisionomia partico lare: «[l]’aumento del saggio del profitto none un fatto della tecnologia capitalistica, in differente, e un aumento della produttivita [meglio: della forza produttiva] dellavoro nella produzione capitalistica, nella forma dell’aumento del rapporto di sfruttamento, del saggio di sjruttamento»(67) Se questo succede, l’economia assume sempre di piu un aspetto alia Tugan Baranovskij,rna questo comporta delle possibili conseguenze. Conseguenze, innan zi tutto, proprio sul terreno del processo di riproduzione, nel senso che !’incremento del saggio di plusvalore rende sempre ph’t pressanti le difficolta di realizzazione del plusvalore nella forma, insieme, del sottoconsumo e delle sproporzioni. Tra le possibili conseguenze, peraltro, centrali sono ora anche e soprattutto quelle eventuali di carattere sindacale e politico, perche «[c]’e un grado di sopportabilita del saggio di sfruttamento, la situazione sociale none piu controllabile oltre un certo limite»(68). L’aumento del saggio di plusvalore e aumento del saggio di sfruttamento. None soltanto una questione tecnica, e dunque «non pub rimanere senza effetto sui rapporti di classe, sulfa latta di classe, ed in particolare sul livello del salario»69 • Nelle condizioni date, l’aumento del salario reale in eccesso rispetto alia forza produttiva dellavoro fa cadere il saggio di profitto.In conclusione: «[l]a legge del saggio del profitto e dunque per Marx un pezzo essen ziale dell’analisi, e il punta in cui si raduna tutta la sua teoria del capitalismo e le sue conclusioni»(70) ; rna «la caduta del saggio del profitto none intesa in modo meccanicisti co, vie un costante riferimento a connessioni sociali»(71)
3.3 Teoria della crisi: estrazione di plusvalore relativo, crisi da domanda, e antagonismo sociale
La ricostruzione della teoria marxiana della crisi da parte di Napoleoni si svolge lungo questo doppio asse: la formulazione di una teoria unitaria della crisi da insu:fficiente realizzazione del plusvalore; e l’integrazione della crisi da realizzo dentro una lettura non meccanicistica della caduta tendenziale del saggio del profitto. E una ricostruzione che mi pare largamente condivisibile. Essa andrebbe semmai radicalizzata in alcuni punti, di cui si dira in sintesi estrema. La dinamica del saggio di plusvalore viene in primo piano in Napoleoni soprattut to quando si introduce il discorso sulla caduta tendenziale del saggio del profitto. II saggio di plusvalore e invece, a me pare, gia centrale nella spiegazione unitaria della crisi da realizzo. E la integrazione dei due filoni (impropriamente definiti) delle «spro porzioni» e del «sottoconsumo» all’intemo della crisi da realizzo la si trova invero presente gia nella stessa riflessione di Marx. Seguendo questo filo di ragionamento e possibile evitare le oscillazioni dell’economista italiano dovute al ruolo preminente del consumo finale quale causa ultima della crisi, spostando l’accento sulla domanda di investimenti.
Si dovrebbe anche superare la divisione troppo rigida e tradizionale che si da in Na poleoni tra creazione (nella produzione) e realizzazione (nella circolazione) del valore. ll valore e presente so!tanto allo stadio latente nella produzione, e si attualizza nel momento dello scambio effettivo sui mercato finale delle merci. Le imprese pero producono sulla base di una domanda normale al livello atteso – Marx nel terzo libro del Capitale parla di «domanda ordinaria». E la domanda normale attesa che determina in modo definitivo il lavoro socialmente necessaria. Si fa riferimento non esclusivamente ad una media tecnica data dallato dell’offerta, rna anche alia soddisfazione del bisogno sociale pagante dal lato della domanda. Potremmo dire cosi, che nel «breve periodo» la produzione di valore e trainata dalla domanda (ordinaria)(72) :E ana Iuce di questo fatto che va riletta l’analisi della valorizzazione del primo libro del Capitale, una volta che si sia raggiunto nell’esposizione sistematica delle categorie lo stadio del terzo libro. In forza di cio, illavoro nella produzione di merci si da davvero «concretamente» come pari allavoro socialmente medio effettivamente erogato nei processi capitalistici. Non, si badi, in forza di una sorta di Iegge degli sbocchi: esattamente per la ragione opposta. ll vero limite (superabile) di Marx e semmai l’assenza degli investimenti come domanda autonoma. Un limite che e dovuto in larga misura allivello di astrazione a cui si muove Il Capitale. Vediamo di approfondire molto in breve soltanto il primo punto, quello qui pili crucia le, relativo al rapporto tra la crisi da realizzo e la crisi da caduta del saggio del profitto. La rappresentazione da parte di Napoleoni delle posizioni di Tugan Baranovskij e di Rosa Luxemburg come, rispettivamente, la prima «armonicista» e la seconda «sottoconsumi sta», none in verita del tutto corretta. Peril primo(73) , come poi ancora pili nettamente per Hilferding(74) , si tratta dell’insorgere di situazioni di sovrapproduzione di merci, cioe di eccesso dell’offerta sulla domanda, in settori particolari. Anche se compensati da spro porzioni in senso opposto in altre branche di produzione, gli eccessi di offerta si genera lizzano, causando uno squilibrio a livello aggregato. Perla seconda, come prima in modo pili scolastico e meno inventivo anche per Kautsky(75) , non si tratta di sottoconsumo. Si tratta semmai di mettere in questione la possibilita astratta di una domanda crescente di ‘mezzi di produzione per la mancanza di un incentivo all’investimento, e questo per la difficolta di immaginarsi un flusso di profitti continuo e stabile nel tempo, visto che quelle macchine, prima o poi, dovranno sfociare nella produzione di beni di consumo. Una posizione poi non cosi lontana da quella dello stesso NapoleonF 6 . Main verita questa tesi, presente nell’Accumulazione del capitale del 1913, aveva la sua origine in un altro punto della sua riflessione che si ritrova nelle lezioni di Introduzione all’economia politica di qualche anno prima(77). Un punto che, benche con tutta evidenza stia alia base della problematica dell’opera pin famosa, non le riusd di integrare nel ragio namento cosi da poter svolgere una formulazione meno debole della propria teoria della crisi. A parita di salario reale, aveva ricordato la Luxemburg, l’estrazione di plusvalore relativo significa in realta anche la compressione del salario «relativo»: dunque ancora una volta «basso consumo delle masse». Cio che avrebbe dovuto aggiungere e che, una voltacollocata dentro gli schemi di riproduzione, quella sistematica spinta verso l’alto del saggio di plusvalore – una spinta che viene prodotta dalle ondate di innovazioni indotte dalla doppia pressione del conflitto (verticale) capitale-lavoro e della concorrenza (orizzontale) tra imprese – da luogo inevitabilmente ad una modificazione continua e sempre piu rapida dei rapporti di scambio tra rami della produzione. II che non puo non sconvolgere le con dizioni di equilibria della riproduzione allargata, e fa scoppiare la crisi da realizzo. A questo punto, di nuovo, tutto va al suo posto. In questo quadro- quello di una economia ormai comp’iutamente capitalistica, e percia ormai soggetta a quella continua rivoluzione tecnica dei rapporti sociali di produzio ne che e tipica della fase della sussunzione reale dellavoro al capitale -l’investimento non puo non aver luogo in condizioni di sempre maggiore incertezza. E per questo che l’incentivo ad investire diviene il vero problema. Ed e per questo che e l’investimento e non il consumo a configurarsi come la variabile chiave che fa esplodere il problema di una insufficienza di domanda effettiva. Come e altrettanto ovvio che, data l’instabilita del sentiero di crescita che cammina su una «lama di coltello», la caduta dell’investimento si deve tradurre prima o poi in una crisi generale. Di tutto cio si era reso conto lo stesso Marx. I brani citati da Napoleoni- contenuti nel terzo libro del Capitate, pin precisamente nel cap. XV della Terza Sezione dedicato allo «sviluppo delle contraddizioni intrinseche alia legge» della caduta tendenziale del saggio di profitto- andrebbero riletti sullo sfondo di alcune considerazioni che si trova no nei Grundrisse e che vanno nella direzione che ho appena suggerito(78). Si veda, per esempio, questo brano: a un dato livello dello sviluppo delle forze produttive – giacche tale sviluppo determi ned il rapporto tra lavoro necessaria e lavoro eccedente – si stabilisce una proporzione fissa in cui il prodotto si divide in materia prima, macchinario, lavoro necessaria e lavoro eccedente, e infine illavoro eccedente stesso si divide in una parte destinata al consumo, e in un’altra parte che ridiventa capitale. Questa divisione concettuale intema al capitale si presenta, nello scambio, sotto forma di proporzioni determinate e limitate – se pur costantemente mutevoli nel corso della produzione – riguardanti lo scambio reciproco tra i capitali […] Lo scambio in se e per se conferisce, a questi momenti concettual mente determinati l’uno rispetto all’altro, un’esistenza indifferente; essi esistono l’uno indipendentemente dall’altro; la loro necessita interna si manifesta nella crisi, che pone violentemente fine all’apparenza della loro indifferenza reciproca. Una rivoluzione nelle forze produttive inoltre modifica questi rapporti, trasjorma questi rapporti stessi il cui fondamento – dal punto di vista del capitale e percio stesso anche della valorizzazione mediante lo scambio rimane sempre la proporzione tra lavoro necessaria e lavoro ecce dente o, se si vuole, tra i diversi momenti dellavoro materializzato e illavoro vivo […] Se la produzione procede non tenendo conto di questo stato di cose nello scambio dovra infine risultare. dall’una o dall’altra parte un meno. una grandezza negativa(79).E chiaro da questa citazione che per Marx: (i) 1’equilibria e possibile; (ii) 1’estrazione di plusvalore relativo, e quindi !’incremento nel saggio di sfruttamento, e cio che fa cadere la quota dei consurni, e che nello stesso tempo sconvolge le proporzioni di equilibria tra settori; (iii) la produzione capitalistica, se comporta nella sua essenza l’estrazione massima possibile di lavoro eccedente da una popolazione lavorativa data, non ha invece come sua necessita interna quella di dar luogo ad una crescita proporzionata; (iv) cio invera la tesi che abbiamo qui ache fare con una conseguenza della contraddizione dialettica che carat terizza prima la merce e poi ilcapitale, peril vincolo (interno) che il valore d’uso (sociale) pone alia produzione del valore (che deve incamarsi nel valore di scambio).Per quel che riguarda la caduta tendenziale del saggio del profitto, a quel che sostie ne Napoleoni possiamo aggiungere altre due considerazioni. La prima e che Napoleo ni, almeno in queste Lezioni, sembra configurare la reazione all’aumento del saggio di sfruttamento soprattutto come un aumento del saggio di salario (reale). La sua lettura arriva percio pericolosamente vicina ad una classica formulazione da «compressione» distributiva del saggio di profitto per la via delle lotte salariali. Eventualita possibile,rna che non rni pare ne teoricamente ne storicamente centrale. :E semmai la possibile resistenza diretta sui terreno della valorizzazione immediata – cioe le possibili difficoltà nell’estrarre lavoro vivo in quantita adeguata aile necessita di un aumento del saggio di sfruttamento- che rni pare da individuare quale risposta sociale pili significativa nel caso in cui il capitale riesca a controbattere la tendenza alia caduta tendenziale del saggio di profitto per la via dell’aumento del saggio di plusvalore, e questo a sua volta non dege neri in crisi da realizzo in forza di soluzioni in senso lato «keynesiane». La seconda considerazione da aggiungere ha ache vedere, di nuovo, con uno spun to che deriva dalla Luxemburg. Mi riferisco al modo con cui la rivoluzionaria polacca riformula la sua teoria della crisi nell’Anticritica: un modo che di norma i critici hanno trascurato nella sua originalita. E mi riferisco anche agli sviluppi delle sue tesi da parte di Michal Kalecki(80). La difficoltà che ha in mente la Luxemburg attiene al fatto che il capitalismo e un circuito monetario’ dove la moneta e immessa endogenamente dalla classe capitalistica stessa (oggi diremmo: peril tramite del sistema bancario, di cui pero la Luxemburg fornisce una rappresentazione inaccettabile nei termini del «produttore d’oro»). Non si vede allora come sia possibile realizzare in forma monetaria il plusvalore. Vero dell’incentivo ad investire ne accresce la capacita produttiva. A questo elenco si possono aggiungere il consumo improduttivo provenienti da aree di «rendita», la spesa pubblica «improduttiva», o le forme di spesa caratterizzabili come «spreco».Qui siamo evidentemente vicini alia tematica che sara poi affrontata da Baran e Swe ezy nel Capitate monopolistico, come anche siamo vicini aile tesi avanzate a pin riprese dallo stesso Claudio Napoleoni, primae dopo (rna anche in) queste Lezioni dei primi anni ’70. Nella prossima sezione diro dell’incontro con illibro di Baran e Sweezy da parte di Napoleoni, quale i corsi di Politica economica dei primi anni ’70 ce lo testimoniano. Per l’intanto, mi limito ad osservare che nella misura. in cui il problema del realizzo venga risolto peril tramite di una spesa «improduttiva», e quest’ultima debba essa stessa crescere nel tempo costituendo una sottrazione al plusvalore potenziale – sottrazione che e pero essenziale per permettere la sua crescita a spirale come plusvalore effettivo – la pressione sui saggio di sfruttamento, e dunque le possibili ragioni di una crisi «sociale» dentro la valorizzazione, vengono confermate e intensificate.Qualcosa del genere sembra in effetti dare conto abbastanza bene- insieme ad altri fat tori, rna come causa centrale della «crisi»- dell’esaurimento del modo di regolazione c.d. keynesiano-fordista tra la meta degli anni ’60 e la fine degli anni ’70 (83 ). E qualcosa del ge nere conferma, non solo in teoria rna in pratica, la centralita del saggio di sfruttamento: non soltanto nel rileggere la teoria marxiana del valore-lavoro astratto, rna anche nel riunificare e sviluppare, in modo non scolastico rna creativo (e pero fedele all’ispirazione originaria di Marx), la teoria marxiana della crisi generate. Che e altra cosa dalla teoria del crollo.
4. Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la tendenza all’ aumento del surplus:la compatibilita con la teoria marxiana del valore-lavoro astratto
Veniamo alla ricezione da parte di Claudio Napoleoni del Capitate monopolistico di Baran e Sweezy. Cosa sia il «capitale monopolistico», lo si puo dire in breve ricorrendo alla definizione che ne fomisce Napoleoni stesso nella voce «Capitale». Si tratta di «quella fase della sviluppo capitalistico, in cui sono prevalenti le imprese di tipo mono polistico, ossia quelle imprese che perle lora dimensioni, hanna la possibilita di influire sui prezzi di cio che vendono e di cio che acquistano» (84) .Si tratta di una fase che ha inizio a fine Ottocento per i fenomeni di concentrazione, fusione e assorbimento determinati dalla dinamica stessa della «libera» concorrenza (una concorrenza che passa in modo essenziale per la via della riduzione dei prezzi), e che finiscono con il rendere centrale il grado di monopolio e la battaglia per la «qualita» nell’analisi del meccanismo della sviluppo. Senza che cio significhi la scomparsa della concorrenza in quanta tale, visto che la concorrenza e implicita nella natura privatistica del capitale. Siamo in presenza di un mutamento della forma della concorrenza, non certo di una tendenza all’autopianificazione del capitale. Questa tipo di concorrenza, sostiene Na poleoni, convergendo in molti punti con l’analisi dei due economisti statunitensi, «si esercita con tutti quei mezzi (abbassamento dei costi unitari mediante mutamenti tecnici e organizzativi, pubblicita, ecc.) che valgono a contrastare la sempre possibile «entrata» nel mercato di altre imprese o a indirizzare la spesa dei consumatori verso certe direzioni piuttosto che verso altre» (85).
4.1 La fase monopolistica del capitalismo e il libro di Baran e Sweezy
II volume di Baran e Sweezy e di fatto l’oggetto della penultima sezione della voce«Capitale» di Napoleoni, che peril resto e quasi integralmente dedicata ad esporre la teoria marxiana (senza mai accennare al problema della trasformazione); !’ultima sezione e invece rivolta a un esame di alcuni aspetti della «[t]eoria borghese del capitale»(86). AI Capitale monopolistico sono pero anche destinate alcune lezioni conclusive dei corsi di Politica economica e finanziaria del1971-72 e del1972-3, il cui argomento era definito come «la realizzazione del plusvalore e la politica economica nelle economie capitalisti che modeme». In quel che segue faremo soprattutto riferimento alia sbobinatura di una lezione che e stata conservata integralmente, del 12 maggio 1973.Secondo i due autori statunitensi, il capitale monopolistico accentua le difficolta che il capitale incontra sui terreno della realizzazione del plusvalore di cui si e detto nellasezione precedente. Si badi, cio non ha affatto ache vedere con una presunta superiorita del capitalismo di libera concorrenza sui capitalismo monopolistico come «macchina»per la crescita. Sweezy e troppo buon allievo, oltre che arnica, di Schumpeter per caderein una visione del ristagno ingenua come questa. II suo obiettivo, con Baran, e semmai l’opposto. Primo, mostrare come le potenzialita di crescita vengano incredibilmente sviluppate dalla mutazione monopolistica del capitalisma. Secondo, far vedere come cio dia luogo ad un aggravamento dei problemi che il capitale incontra sui terreno della do manda effettiva, ovvero la difficolta di trovare sbocchi adeguati a consentire lo smercio dei prodotti a prezzi tali da coprire i costi e il profitto: far vedere, dunque, come si instau ri e aggravi una tendenza alla stagnazione. Terzo, chiarire come tale tendenza, invece di inverarsi immediatamente, sia stata efficacemente rna perversamente controbattuta dall’evoluzione concreta del capitalismo stesso, senza rimuovere la deriva verso una crisi immanente che rivelerebbe l’irrazionalita e lo spreco tipici del capitalismo mono polistico, rna per il momento solo spostandola in avanti. II pemo di questa costruzione teorica e interpretativa e la sostituzione alia caduta tendenziale del saggio di profitto mar xiana – letta meccanicisticamente attraverso i canoni del marxismo ortodosso, e dunque giustamente criticata – di una tendenza all’aumento del surplus, o «sovrappiu». Di questa articolazione sofisticata del ragionamento di Baran e Sweezy Napoleoni si rende ben conto. Come si rende ben conto della critica che i due autori rivolgono contro chi, come Berle e Means(87) , sostiene l’avvento di un capitalismo «manageriale» che segnerebbe una separazione tra proprieta e gestione economica delle imprese. E una critica che si svolge prevalentemente sui terreno della contestazione al riferimento empirico costituito dalla realta statunitense, e che pen) Napoleoni conferma anche per la diversa realta italiana. Secondo Berle e Means l’impresa monopolistica e ormai diretta da manager indipendenti dai proprietari (tanto grandi che piccoli), e non sarebbe piu orientata alia massimizzazione del profitto rna alia riduzione dei costi, all’allargamento delle vendite, al miglioramento della qualita, allo sviluppo dell’impresa. Osserva Napo leoni nella lezione: [Baran e Sweezy] concordano nel mostrare che i «manageD>, cioe questo strato so ciale effettivamente esistente, in realta appartiene allo strato superiore dei proprietari. Non esiste affatto il divorzio, la separazione tra gestione e proprieta, rna se mai esiste una differenziazione all’interno della proprieta: nel senso chela proprieta delle imprese e, per un lato, la parte che conta qualitativamente poco (quale che sia la sua estensione quantitativa) costituita da puri proprietari (da puri azionisti); per l’altro lato, esiste sem pre, all’interno della proprieta e non all’esterno di essa, un’altra parte, che Marx avrebbe chiamato dei capitalisti attivi, che sono proprietari essi stessi, e che oltre ad essere pro prietari svolgono questa funzione di controllo. […] Stabilito questo punto, questi autori deducono da questa circostanza una conseguenza che sembra ovvia, e cioe che quali che siano gli scopi particolari che i manager si propongono di ottenere nel dirigere i capitali che hanno sotto controllo, una cosa e sicura, che questi scopi particolari si trovano tutti all’intemo, come altrettante specificazioni di casi particolari, di uno scopo che resta uni tario e fondamentale e non diverso dallo scopo che e sempre stato tipico del processo capitalistico, cioe la massimizzazione del profitto rispetto, si capisce, al capitale costante. Per cui quelle stesse pratiche che, a prima vista, potrebbero far supporre che gli scopi perseguiti non siano quelli della massimizzazione del profitto, quando vengono analizzati con maggiore attenzione mostrano che nel peggiore dei casi si tratta semplicemente di una massimizzazione del profitto condotta semplicemente con riferimento a pili lunghi periodi di tempo di quelli che sarebbero presi in considerazione se si volesse massimiz zare il profitto immediato: cioe una massimizzazione del profitto all’interno di piani di imprese che possono avere la durata anche di parecchi anni. Ovviamente, cio non significa che non possa verificarsi invece un con:flitto sulla poli tica dei dividendi: con i proprietari «puri» che spingono per la massimizzazione del pro fitto distribuito, e i manager che vorrebbero renderlo il piu basso possibile. Un contrasto che viene quasi sempre vinto dai secondi, che hanno in mano il controllo dell’impresa. Ciò non esclude che talora gli stessi manager potrebbero preferire piu alti dividendi, se ciò comporta un aumento del valore del capitale che a sua volta migliora le opportunita di ottenere finanziamenti estemi. Lo scopo prima dell’impresa rimane in ogni caso la massimizzazione del profitto.
4.2 La lettura «marxiana» di Baran e Sweezy nel Napoleoni dei primi anni ’70
Il punta che impegna di pili Napoleoni nella sua lezione e pero, comprensibilmente (date le tesi presenti sulla teoria del valore e della crisi di cui si e detto nelle due sezio ni precedenti) un altro: ed e la giustificazione da parte di Baran e Sweezy della legge dell’aumento tendenziale del sovrappil’t formulata dai due autori, e la sua compatibilita o meno con la teoria marxiana del valore. Per capire la ragione di cio, e bene contestua lizzare la lezione all’intemo della discussione sullibro che aveva avuto luogo ovunque, e anche in Italia, negli anni immediatamente precedenti. Una discussione nella quale le argomentazioni dei due autori statunitensi erano state interpretate un po’da tutti come un rigetto della teoria marxiana del valore e della crisi88 • 11 che non poteva non interes sare, rna anche non poteva non porre problemi, al Napoleoni delle Lezioni e della voce sull’Enciclopedia Garzanti. Cioe al Napoleoni che con quel Marx intendeva ora instau rare una relazione di continuita e ripresa (come soprattutto le Lezioni testimoniano), e che pero parimenti si trovava ad incorporare alcuni aspetti della teoria del capitalismo monopolistico di Baran e Sweezy (come soprattutto la voce conferma).Per capire come quelle interpretazioni potessero essere formulate in un sensa che dava per scontata una discontinuita forte di Baran e Sweezy nei confronti di Marx e sufficiente tomare allo stile e a qualche frase di quellibro. Allo stile, innanzi tutto. Quellibro, la cui stesura era iniziata nel 1956, non intendeva affrontare il problema del capitale mo nopolistico dentro un apparato categoriale troppo esplicitamente legato al marxismo. In alcune parti, anzi, quelle sui monopolio, si comprometteva con strumentazioni analitiche di taglio marginalistico: pili utilmente Baran e Sweezy avrebbero potuto invece giovarsi dei contributi eterodossi di Kalecki e di Sylos Labini. Circostanza che Sweezy stesso, nell’intervista a Savran e Tonak, giustifica con l’obiettivo di risultare appetibili ad un pubblico di studenti radical rna non educati dentro la tradizione, appunto, marxiana: «So we did use quite a lot of Keynesian and neoclassical and monopoly theory concepts like marginal revenue curves, Keynesian ideas of savings and investment as a way of analy zing the accumulation process, things of that sort»(89).Ma spingevano a quelle interpretazioni anche i contenuti dellibro. Perche e indubbio che nel Capitate monopolistico il loro approccio al surplus e presentato con frasi che possono apparire fortemente e volutamente in contrasto con qualsiasi continuita con il concetto di valore marxiano: noi preferiamo il concetto di surplus al tradizionale concetto marxiano di «plusvalore», poiché quest’ultimo nella mente di colora che hanna consuetudine con la teoria mar xiana si identifica probabilmente con la somma del profitto, dell’interesse e della rendita.E vera che Marx dimostra-in alcuni passi del Capitate e delle Teorie del plusvalore- che il plusvalore comprende anche altri elementi come le entrate della stato e della chiesa, le spese per trasformare le merci in moneta, e i salari dei lavoratori improduttivi. In generale, tuttavia, Marx considerava questi elementi come fattori secondari eli escludeva dal suo schema teorico fondamentale. Noi sosteniamo che nel capitalismo monopolistico questa impostazione non e piu giustificata e speriamo che un cambiamento nella terminologia contribuira al necessaria mutamento nella posizione teorica (90). Gioco presumibilmente, come si è detto, oltre alla chiara volonta di allargare la defi nizione cantabile di plusvalore in modo da pater dare spazio aile spese statali e «impro duttive», anche la volonta di recidere ogni richiamo tradizionale alia teoria della caduta tendenziale del saggio del profitto. L’obiettivo era infatti di sottolineare il problema della determinazione del plusvalore e della sua distribuzione dallato della domanda, in una situazione in cui le regale che reggevano il meccanismo capitalistico erano pero drasti camente mutate rispetto al capitalismo di libera concorrenza. Non solo: si doveva anche chiarire chela deriva verso un capitalismo pili organizzato non riduceva affatto (secondo la classica interpretazione di Hilferding, e di tutto un filone della socialdemocrazia tede sca) rna semmai aggravava la tendenza alla crisi del capitale.Quello chee certo e che Sweezy, a distanza di vent’anni, anche qui, come nel caso della trattazione del rapporto tra valore e prezzo di produzione.nella Theory of Capitalist Development,formula delle considerazioni autocritiche. Dice infatti nell’intervista a Savran e Tonak: Perhaps that was a mistake. We had originally planned a couple of other chapters for Monopoly Capital which would have done more by way of explaining the relations be tween our conceptual framework and the Marxian value analysis. These chapters were in very rough draft, not publishable in the book or in any other form when Baran died, so there was no possibility of including them in the book. And I don’t know whether they would have succeeded, or whether they were worth the attempt(91) .Vista che il punta e poco nato, vale la pena di entrare un po’piu in dettaglio con un paio di altre considerazioni e citazioni. Nell’introduzione alia seconda stampa dell’edi zione greca del Capitate monopolistico Sweezy scrive (92) : Judging from [the] reviews and from criticisms appearing in many books and articles, I am sorry to have to say that there has been a great deal of misunderstanding of what Baran and I intended to say. This is not the place to attempt to review and correct these misun derstandings, but I would like to take the opportunity to clarify our position on one point. Many of our Marxists critics have stated, as though it were a self-evident fact, that Baran and Sweezy reject the Marxist theory of value (hence, also by implication, the theory of surplus value). This is not so.At no .time in our long period of association and collaboration did it even occur to us to reject the Marxist theory of value. Our procedure in Monopoly Capital was to take the labor theory of value as granted and go on from there. I can now see that this was an error. We should have begun our analysis with an exposition of the theory of value as it is presented in volume I of Capital. We should have then proceeded to show that in capitalist reality, values as determined by socially necessary labor time are subject to two kinds of modification: first, values are transformed into prices of production, as Marx recognized in volume 3; and second, values (or prices of production) are transformed into monopoly prices in the monopoly stage of capitalism, a subject which Marx barely men tioned, for the obvious reason that all of Capital was written well before the onset of the monopoly capitalist period. At no time did Baran and I explicitly or implicitly reject the the ories of value and surplus value but sought only to analyze the modifications which become necessary as the result of the concentration and centralization of capital. If we had pursued this course, I believe many misunderstandings could have been avoided. Sui punto, molto velocemente, si toma ancora una volta in una nota al saggio di Swe ezy compreso in The Value Controversy dove si sostiene che se i prezzi di monopolio non sono altro che prezzi di produzione trasformati, cio non di meno «shifting from value to monopoly price have important consequences for the accumulation process, which is not true of shifting from value to price of production»(93).Il riferimento e qui’ mi pare’ proprio alla legge dell’aumento tendenziale del surplus. E però, si deve dire, dal libro del 1966 non risulta immediatamente chiaro come si debba intendere la conciliabilita tra teoria del valore-lavoro e tendenza all’aumento del sovrappiu. Talora Baran e Sweezy sembrano istituire un confronto tra capitalismo monopolistico e capitalismo concorrenziale, e limi tarsi quindi ad arguire che il surplus nel primo caso eccederebbe il surplus nel secondo caso. Altre volte invece, pili significativamente, sembrano sostenere che la forma mo nopolistica del prezzo consentirebbe un incremento ulteriore del sovrappiu rispetto alia situazione che emerge dalla dinamica del processo immediato di valorizzazione. Le Lezioni di Napoleoni intervengono soprattutto su questa seconda, cruciale, questione. Se si prende la seconda strada, si incontrano delle difficolta evidenti in un approccio che si vorrebbe incentrato sulla teoria del valore alia Marx. La ragione e palese, e Napoleoni la espone con riferimento ad un passo poco citato del libro terzo del Capitale. Qui Marx sostiene che monopoli naturali o artificiali rendono possibile un prezzo di monopolio superiore al prezzo di produzione e al valore delle merci. Marx chiarisce subito, pero, che «i limiti dati dal valore delle merci non sarebbero per questa soppressi» (94). ll modo di determinazione dei prezzi non puo infiuire sulla formazione del valore e del plusvalore: incide soltanto sulla distribuzione del plusvalore tra i vari capitali. 11 prezzo di monopolio consente semplicemente di appropriarsi di una parte del profitto delle altre imprese, invece di spalmarlo uniformemente tra tutte: «La ripartizione del plusvalore tra le diverse sfere di produzione subirebbe indirettamente una perturbazione locale, che pero lascerebbe invariati i limiti di questa plusvalore stesso»(95). E anche possibile che la merce con prezzo di monopolio entri nel consumo necessaria dell’operaio: in tal caso, essa potrebbe falcidiare il salario reale facendolo scivolare al di sotto del valore della forza-lavoro, nel caso in cui quest’ultimo fosse originariamente al di sopra dellivello fisico minima di sussistenza. L’extra-profitto del capitale monopolistico deriverebbe allora o da altri capitali o da una possibile redistribuzione dal salario al profitto, comunque di dimensioni ridotte. Commenta Napoleoni: Questa proposizione di Marx e rigorosamente coerente con la teoria del valore lavoro: il valore e il lavoro oggettivato nelle merci, e la forma di mercato entro cui questa oggettivazione avviene non ha nessuna rilevanza rispetto all’entita di questa oggettivazione. ll plusvalore dipende dal modo in cui illavoro complessivo si ripartisce fra lavoro necessaria e pluslavoro: e in questa ripartizione, salvo questo caso che stiamo considerando, di nuovo la forma di mer cato non interviene. Quando e che interviene la forma di mercato? Quando si deve stabilire come questo plusvalore si ripartisce fra i vari capitali, ed eventualmente tra operai e capitalisti se ilsalario e interessato da prezzi di monopolio e nella misura in cui lo sia. Questo non significa chela tesi di Baran e Sweezy non possa essere resa compatibile con l’approccio marxiano, almeno secondo Napoleoni. Se infatti la loro conclusione non puo implicare che il capitale monopolistico produce di per se pili plusvalore di quanto ne produrrebbe se la situazione, tutto il resto rimanendo invariato, fosse liberamente concorrenziale, essa puo pero far riferimento ad altri due processi. Processi a cui in ef fetti, secondo Napoleoni, i due economisti statimitensi rimandano nelloro libro, sia pur confusamente. n primo processo ha ache vedere con la dinamica dellaforza produttiva dellavoro nel capitalismo monopolistico. Data la forza produttiva dellavoro e in CQrrisporidenza di un determinato salario· reale si determina un particolare livello del plusvalore indipenden temente dalla forma della concorrenza. «Se pero si potesse affermare che, nel caso del capitale monopolistico, c’e una crescita di produttivita [della forza produttiva] dellavoro maggiore di quanto accadrebbe in una situazione concorrenziale, allora la tesi di Baran e Sweezy avrebbe un senso [coerente con la teoria del valore marxiana e la sua teoria del prezzo di produzione e del prezzo di monopolio]» (96) .II capitale monopolistico estenderebbe la base su cui si produce plusvalore, ovvero la forza produttiva dellavoro, attraverso una tecnologia migliore. «Se questa tesi e giusta, allora e chiaro che potrebbe essere attribuita al capitalismo monopolistico una tendenza ad aumentare il plusvalore maggiore di quanto altrimenti si avrebbe»(97). E, aggiunge, questa tesi e importante «per non fare delle critiche romantiche al monopolio, critiche di tipo arretrato: questa tesi che il monopolio comporta l’arretratezza- arretratezza tecnologica, arretratezza nella spinta allo sviluppo capitalistico-questa è una tesi non pili valida, e Baran e Sweezy la respingono»(98).II secondo processo riguarda il salario, rna in una situazione un po’diversa da quella con siderata da Marx. Nel caso a cui fa riferimento l’autore del Capitale e vero che ilcapitalista che vende all’operaio un bene salario al prezzo di monopolio ottiene un valore aggiuntivo. E anche vero, però, che cio potrebbe voler dire che tutti gli altri capitalisti saranno costretti a pagare salari pili elevati. Tomeremmo cosi al caso in cui il capitale che gode di condizioni di monopolio ottiene ilsuo extra-profitto attraverso una diminuzione del profitto di altri capitali, senza alcun aumento tendenziale del sovrappili come plusvalore. C’e pero un altro meccani smo che potrebbe a questo punto mettersi in azione. Si torni ad ipotizzare un aumento della forza produttiva dellavoro; se vi corrispondesse un aumento del saggio di salario reale nella stessa proporzione, e se l’intensita capitalistica si muovesse allo stesso ritmo della forza pro duttiva dellavoro, ilsaggio del profitto rimarrebbe costante. D’altronde, in regime monopolistico i prezzi possono essere controllati dai capitalisti monopolistici, e questo aumento po trebbe addirittura essere «accomodato» dall’autorita monetaria. Cio significa che, anche se il conflitto salariale potrebbe nel tempo dare luogo ad aumenti di salario reale potenziali, questi ultimi vengono di fatto progressivamente erosi dal capitale, in forza appunto di quell’aumento dei prezzi che gli e possibile praticare vista la particolare struttura di mercato. In una situazione di libera concorrenza il salario reale segue da vicino i movimenti del salario monetario. Cosi none in condizioni di monopolio. «In questo senso dinamico, nel caso del capitale monopolistico noi abbiamo, a partire dai salari, un trasferimento verso i profitti del valore addizionale creato dall’incremento della produttivita [forza produttiva] del lavoro»(99). Questa seconda strada all’aumento tendenziale del plusvalore, osserva Napoleoni, e tanto pin rilevante quanto pin, nel capitalismo contemporaneo, il salario di pende da un conflitto tra le classi sociali: il che rende tanto pin significativa la possibilita da parte del capitale di sfruttare una configurazione monopolistica del mercato. E se questo e vero si giustifica Ia premessa su cui il libro e basato, anche se tutto cia [nellibro] e argomentato diversamente: il problema del realizzo di questo «sovrappiu» si pone in termini gravosi al capitale proprio per la [sua] tendenza ad aumentare. Ancora una volta, occorre notare come ogni pratica che aumenti il profitto all’interno del processo di produzione pone un problema opposto sui terreno della realizzazione. Questo problema si pone in termini esasperati nel caso del capitate monopolistico (100 ).A ben vedere, questo e esattamente il modo con cui Napoleoni rappresenta il capitale monopolistico nella voce Capitale. La linea di lettura scelta e quella che scioglie nel senso della continuita con la teoria marxiana del (plus)valore quelle che nella lezione registra come ambiguita nellibro di Baran e Sweezy. AI tempo stesso, con tutta eviden za, Napoleoni sovrappone al ragionamento dei due economisti statunitensi propri spunti teorici e interpretativi del capitalismo contemporaneo(101). Come nella lezione del maggio 1973, nella voce di enciclopedia la tendenza all’aumento del sovrappin («parte del valo re il cui assorbimento da parte del mercato e condizionato dalla spesa per consumi non salariali e dalla spesa per investimenti») viene fatta dipendere da un lato, dall’accelerazione del processo di abbassamento dei costi unitari, qual e consentita dall’aumento delle dimensioni d’impresa e percio dalla possibilita di adottare nuove tecnologie e nuovi metodi di organizzazione dellavoro, e, dall’altro lato, dalla pos sibilita che le imprese hanno di influire sui prezzi rispetto ai salari monetari, contrastando cos’ila tendenza, che il salario reale altrimenti avrebbe in virtu della forza sindacale, a so pravanzare gli incrementi di produttivita. Se la spesa per investimenti e il consumo diretto dei capitalisti non sono, insieme, sufficienti ad assorbire questo sovrappiu, si determina un vuoto di domanda, che, se none colmato per altre vie, rende soltanto potenziali e non reali i maggiori profitti insiti nell’accrescimento del sovrappiu (102). La difficolta di realizzo viene a questo punto risolta secondo modi «estemi» o «inter ni». Per quelli esterni, Napoleoni ricorre pin all’argomento leninista dell’investimento in aree sostanzialmente precapitalistiche per ottenere un saggio del profitto pin elevato di quello che sarebbe possibile nel centro (giustificandolo con la presenza di un pili basso costo dellavoro) che a quello luxemburghiano di una domanda aggiuntiva netta di merci. Tra quelli interni, seleziona i seguenti: le spese per pubblicita e simili delle imprese stes se; laformazione di ceti improduttivi ( consumatori rna non produttori di sovrappiu) come le burocrazie pubbliche e private, l’intermediazione commerciale pletorica, la borghesia finanziario-speculativa, i quali danno tutti vita a una domanda per consumi che ha come sorgente il plusvalore rna e solo indirettamente spesa della classe capitalistica; la spesa pubblica, in particolare se in disavanzo, non necessariamente utile [meglio: i cui valori d’uso non rientrino nel processo di riproduzione], in particolare la spesa militare: L’esempio di queste pratiche configura un capitalismo che e aggressivo verso l’esterno, e che ha rilevanti elementi di «improduttivita» all’intemo, dove la «produttivitiD> e determinata secondo i criteri del capitalismo stesso, e dove, d’altra parte, il termine di riferimento e costituito dalle potenzialita implicite nello stesso capitale monopolistico, e non dai risultati conseguiti dal capitalismo concorrenziale,-che aveva una dinamica certamente nieno accentuata. ll capitale monopolistico, che pure ha modificato sostanzialmente ilclassico andamento ciclico del primo capitalismo, e dunque soggetto ad una particolare instabilita, dovuta alia compresenza della tendenza inflazionistica derivante dalla possibilita di amministrare i prezzi, e di quella defiazionistica, derivante dalla difficolta di realizzazione(103) In questa citazione sono evidenti due punti dove la personale rilettura e curvatura da parte di Napoleoni dell’argomentazione di Baran e Sweezy e implicita rna chiara. II primo e che l’improduttivita di questo capitalismo none definita rispetto a un metro di misura che sia diverso da quello del sistema reale che si espone e si critica. II punto di vista e cioe- marxianamente- del tutto e integralmente immanente. II Secondo e che il ragionamento di Baran e Sweezy viene ridefinito in modo da dar conto di quella com presenza di stagnazione e in.flazione che peril nostro autore caratterizza in modo ormai duraturo il capitalismo italiano, e globale, degli anni ’70. II discorso prende una torsione particolare. Nel capitalismo monopolistico, viste le sue differenze dal capitalismo di Iibera concorrenza, si ridefinisce il modo con cui si configura la crisi generale per difficolta di realizzazione del plusvalore. Su questo spunto fornito da Baran e Sweezy Napoleoni innesta pen) la forma in cui nelle nuove condizioni storico-sociali si rende attuale la tendenza alia caduta tendenziale del saggio del profitto, da lui riletta in modo «non meccanicistico>>. La variabile chiave e il possibile aumento del salario reale come reazione all’ «insostenibilita» dell’aumento della sfruttamento. Si tratta di un tema che abbiamo visto essere al centro delle Lezioni di Torino dei primi anni Settanta. E sufficiente tomare indietro di due colonne nella voce dell’Enciclopedia Europea per vedere chiudersi la logica stringente del discorso di Napoleoni. II capitalismo sfugge alia crisi da realizzo mediante l’espansione di un’area di «rendita» che, se rende la massa del profitto che viene appropriato dalle imprese minore di quella potenziale, consente pen) di realizzare quella minore quantita di profitto. Si impedisce cosi al sistema economico di scivolare nella crisi aperta. Qualora in questa particolare struttura sociale intervengano le lotte salariali, e possibile che queste ultime, aggiungendosi alia rendita, comprimano il profitto effettivo senza che il capitale si decida mai a sostituire il salario alia rendita come forma di domanda(104). Quando le lotte dei lavoratori si esprimono in un salario reale che aumenta pin della forza produttiva dellavoro, il capitale in condizioni monopolistiche re agisce con l’aumento dei prezzi. Se l’inflazione come meccanismo di recupero del profitto si rivela un’arma spuntata, e cioe incapace di moderare l’aumento delle retribuzioni reali, il salario come costo si aggiunge al prelievo costituito dalla rendita: la caduta del profitto si conferma, dando origine ad una crisi strutturale del rapporto capitalistico. Oppure l’arma dell’inflazione si rivela efficace, rna a questa punta «viene allo scoperto il potere sociale e politico dei ceti improduttivi, che, diventando essi stessi il principale fattore d’inflazione, tolgono quest’ultima al controllo del capitale e danno luogo, di nuovo, a un elemento di crisi» 105• I due casi possono anche darsi in combinazione tra diIoro – e questa e secondo Napoleoni quanta in realta avviene in quegli stessi anni in Italia. Ecco che [l]a situazione attuale delle societa capitalistiche viene dunque a configurarsi come una situazione in cui i procedimenti a disposizione del capitale (sul terreno della struttura so ciale e su quello della politica economica) per alleggerire le sue contraddizioni oggettive sono altrettanti motivi di rafforzamento dell’efficacia, sul terreno economico, dell’oppo sizione di classe esercitata dal proletariato (106). Chi ha buona memoria vede bene che lungo questa percorso argomentativo prendono corpo e sangue le tesi con cui Napoleoni, nell’introduzione alia seconda edizione di Smith, Ricardo, Marx del1973, definisce un programma di ricerca di ripresa della teoria del valo re-lavoro astratto come teoria economica da riprendere sui terreno strettamente analitico, e non soltanto su quello dell’indagine filosofica attorno a alienazione e reificazione (107).Si tratta: di ricostruire la teoria del valore e quella della crisi rendendosi conto che la distinzione tra le due e arbitraria; di ridefinire le ragioni della crisi da realizzo e da caduta tendenziale del saggio del profitto, mostrandone i rapporti; e di ricondurre le varie forme della crisi alia natura in senso proprio contraddittoria del capitale. Una opposizione che ha come suo sbocco inevitabile «l’opposizione, non sporadica rna sistematica e irriducibile, dei produt tori al rapporto sociale in cui i produttori stessi sono inclusi. L’opposizione operaia, in altri termini, e nell’ambito del sistema, la disarmonia sistematica pin irriducibile»(108).
4.3 Una teoria del crollo «sociale», e Ia reazione del capitate aile lotte operaie
Il lettore che mi ha seguito sin qui capisce da se che l’accordo tra chi scrive e questa prospettiva teorico-politica e ampio rna non completo. In estrema sintesi, e scegliendo solo alcuni punti tra i molti che si potrebbero sollevare, due cose possono esser dette. La prima riprende quanto gia si e sostenuto nella sezione 3 sulla teoria della crisi. Una volta giunto a definire le ragioni della crisi «sociale» del rapporto capitalistico Napoleoni tende, forse come eredita mai superata della fase «ricardiana», a tradurla nei termini di un aumento salariale invece che – anche, rna soprattutto – nei termini di un antagoni smo potenziale sul terreno stesso della valorizzazione immediata, per quel che riguarda i modi e i tempi dell’erogazione dellavoro vivo in quanto tale. Ma questo rimanda anche ai limiti della ripresa da parte di Napoleoni della stessa teoria del valore marxiana, prima ancora di iniziare il discorso sulla crisi, come si e visto nella sezione 2. La seconda cosa da dire, e su cui non credo valga la pena di spendere molte parole, e che – certo contro le intenzioni: rna chiarissimamente – 1’applicazione al capitale mono polistico della teoria marxiana della crisi nella rilettura dei primi anni ’70- come le stesse considerazioni contenute nella voce «Capitale» e nella seconda edizione di Smith, Ricardo, Marx chiariscono oltre ogni dubbio-fa degenerare la posizione diNapoleoni in una nuova teoria del crollo «sociale». Senza dubbio originale e interessante. Ma fallace. ·E chiaro che qui le posizioni di Napoleoni e Sweezy si rispecchiano come una fotografia sviluppata fa con il suo negativo. Negli anni ’60 e ’70 Sweezy e il gruppo della Monthly Review sono convinti di una sostanziale integrazione della classe operaia «cen trale», e ripongono le loro speranze nelle dinamiche e nei movimenti alla «periferia». Napoleoni e al contrario convinto che negli anni ’60 e primi ’70 abbia luogo una acutiz zazione del conflitto di classe nel «centro» del capitalismo. Gioca qui, come e chiaro, il diverso punta di vista da cui i due autori guardano in questi anni a cio che succede. La posizione di Sweezy potrebbe a prima vista essere paragonata a quella espressa da Kalecki in un articolo sulla <<riforma fondamentale» del capitalismo scritto con Tadeusz Kowalik, e pubblicato in italiano nel1970 su Politica ed economia, la rivista diretta daAntonio Pesenti (109).Quella di Napoleoni potrebbe invece sembrare in continuita con il Kalecki del 1943-44, che nega la possibilita di un capitalismo di piena occupazione e alti salari come situazione perma nente, per le conseguenze che questo avrebbe di destabilizzazione del dispotismo capitalistico nei luoghi di produzione(110) I due scritti di Kalecki potrebbero a loro voita apparire in contrad dizione tra di loro. fu un caso il capitalismo keynesiano e giudicato impossibile, se visto come regime stabile. Nell’altro caso la tesi e all’opposto quella di una ormai compiuta stabilizzazione del capitalismo postbellico, grazie appunto aile politiche economiche keynesiane. Le cose stanno un po’diversamente. Nelloro articolo del1970, i due economisti polac chi alludono ad una «riforma cruciale» che avrebbe «relativamente stabilizzato» il capita lismo. Ma l’espressione individua soltanto una limitata e temporanea stabilizzazione del capitalismo rispetto all’instabilita drammatica, politica ed economica, che si da nell’inter ludio tra le due grandi guerre mondiali. Nulla di meno, rna nulla di pili: e anche qualchecosa di largamente condivisibile. Il che non toglie (come Kowalik oggi riconosce(111)che Kalecki, come anche Sweezy, sottostimassero le contraddizioni del capitalismo «centrale» di quegli anni. Su questo all’epoca lo sguardo di Napoleoni era piu Iucido. C’e pero un «rna». Quello sguardo era oscurato dalla mancata percezione che alla situazione di crisi «sociale» del capitale di allora si sarebbe inevitabilmente opposta una fase di lunga ristrutturazione dell’economia e della societa capitalistiche. Napoleoni percepisce il mutamento del rapporto di classe favorevole allavoro come sostanzialmente permanente, per cui la sua lucidita iniziale presto si traduce in una sostanziale cecita nei confronti delle metamorfosi dell’universo capitalistico che si andava preparando. Assieme all’abbando no del marxismo da parte di Colletti, che gli aveva fornito la gamba filosofica su cui far camminare la propria rilettura di Marx, l’incapacita di vedere dietro l’apparente stallo nei rapporti di classe il procedere di una rivoluzione «passiva» capitalistica- nella forma della svolta neoliberista, e in quella della trasformazione radicale dei processi capitalistici di lavoro- spiega il rapido esaurirsi di questa fase «marxiana» di Napoleoni.Da questa punto di vista, si deve dire, «regge» meglio il seguito dell’elaborazione di weezy. E indubbio che lo Sweezy degli anni ’70 e in grado di procedere creativamente nella sua analisi del capitalismo monopolistico, apportandovi un arricchimento essenziale. Ci riferiamo al ruolo cruciale del debito, e in particolare dellajinanza, negli articoli e nei libri che scrive con Harry Magdoff. Una strada lungo la quale l’economista statu nitense anticipa sulla Monthly Review e in alcuni saggi molte delle tesi sull’instabilita finanziaria, nel suo ruolo tanto patologico quanta al tempo stessofunzionale all’accumu lazione, che poi saranno ribadite (e, certo, approfondite) nel mondo postkeynesiano so prattutto da Minsky, e che in parte tracimeranno nella stessa economia mainstream per il tramite di Stiglitz 112 • Per rimandare ad un testo gia citato, 1’intervento a Londra del 1978, basti ricordare come Sweezy li chiarisca che l’esplosione del debito, pubblico e privata, introduce meccanismi qualitativamente nuovi, e segna una discontinuita di rilievo. Se vogliamo cercare le basi di una lettura adeguata dei caratteri finanziari del «nuovo capi talismo» come economia del debito, non separata dal destino dellavoro nel processo di valorizzazione, e a quell’eredita che dobbiamo almena in parte rifarci (assieme ad altre: dentro e fuori il marxismo) (113). E parimenti indubbio che nell’intervista a Savran e Tonak Sweezy caratterizza la situazione sociale del «centro» capitalistico con considerazioni che – dopo la contro-rivoluzio ne di Volcker, Reagan e Thatcher; e dopo gli effetti devastanti delle modificazioni nella morfologia dellavoro che stiamo sperimentando -nulla hanno perso della loro attualità:
I think the traditional Marxist theory was overoptimistic in its outlook. I think it un derestimated, not only the integration of the working class into the system, but also the fragmentation of the working class, the breaking up of its component parts, which don’t really relate to each other in the way that Marxists used to think of as normal. They used to think the capitalist process itself tended to homogenize the working class, bring toge ther workers and give them certain common ways of looking at the world, a common psychology, a common class consciousness. It doesn’t seem to be happening anywhere. In those places like France and Italy where it seemed maybe that the traditional model had more relevance, there the fragmentation is taking place too, the break-up of the unified working-class unions and parties seems to be advancing just as it is in Britain and the United States. I don’t see any integrating tendencies. […]The working class, and the left in general, is being very strongly attacked. As you know, the union movement is disinte grating, and the standard of living of workers is being attacked. And the first necessity to get something started is to fight against that.
Il che evidentemente significa che l’integrazione none un dato, e nemmeno un risultato delle tendenze spontanee del capitalismo. E l’esito di una Iotta possibile, e di un conflitto sociale e politico.
5. Conclusioni (in cerca di una continuazione)
In una lettera a Michael Lebowitz che ho citato in esergo, Sweezy da, da «Vecchio», tre consigli a un giovane «marxista». Non citare Marx ogni due frasi. Sviluppare pili «liberamente» il proprio stile e le proprie formulazioni. Polemizzare vigorosamente con i propri contemporanei: «ne hanno disperatamente bisogno». E indubbio che lo stesso Sweezy, come pure Napoleoni, siano stati un ottimo esempio di un marxismo eterodosso, non dogmatico, interiormente libero. L’unico di cui abbiamo davvero bisogno. A questo stile, per quel che riguarda il secondo e il terzo consiglio almeno, ho anche cercato di attenermi in questa sede, come altrove. Pili difficile, invero, rispettare il primo consiglio in un lavoro che in qualche modo alla teoria del valore e della crisi di Marx non puo non fare direttamente riferimento… Che di uno sviluppo creativo dell’eredita marxiana- e dunque anche dellascito diNa poleoni e di Sweezy- vi sia bisogno ce lo dicono, con la loro forza, i «fatti» stessi. Essi portano scritta in se una sfida vera, e l’ultima citazione di Sweezy ci aiuta a dipaname i termini, se la leggiamo tenendo a mente una lontana rna non per questo meno importante tesi di Rosa Luxemburg. Eduard Bernstein aveva avanzato contro Marx 1’argomento di una persistenza delle piccole-medie imprese contraria, secondo il socialdemocratico tedesco, alla previsione di una loro scomparsa in forza della tendenza al monopolio. Nella seconda edizione di Riforma sociale o rivoluzione? Luxemburg ribatteva che non era affatto questa l’idea di Marx(114). ll piccolo capitale e il pioniere della rivoluzione tecnica, e non ha dunque alcun riscontro all’intemo dell’«economia politica critica» l’idea di un tramonto graduale e rettilineo della piccola e media impresa. «ll processo di sviluppo reale e anche in questo caso assolutamente dialettico, e si svolge costantemente tra opposti» (115) .E spiegava: accade al capitale di essere preso, come il mondo dellavoro, tra due tendenze opposte, l’una «positiva» o «stimolatrice» e l’altra invece «depressiva’. Nel caso. del mondo dellavoro, la tendenza positiva e quella per cui lo sviluppo capitalistico lo riunifica, omogeneizzandolo e concentrandolo in fabbriche sempre pili grandi; mentre quella depressiva e quella per cui quello stesso sviluppo lo frantuma, dividendolo e indebolendolo. Nel caso della piccola e media impresa, la tendenza positiva e quella per cui periodicamente esso ha la possibilita di ricostituirsi e riemergere, nei vecchi settorirna anche e soprattutto in nuove sfere; quella depressiva e legata al continuo salire del livello di produzione, chefa perire il piccolo capitate assorbendolo nel grande. La lotta del piccolo capitale, delle piccole e medie imprese, con il grande capitalenone da concepire come una battaglia regolare, in cui le truppe della parte pili debole si esauriscono direttamente e quantitativamente sempre di pili, rna come un periodico falcidiamento del piccolo capitale, che poi rapidamente rifiorisce per esser di nuovo fal cidiato dalla grande industria (116) .
Ad altra occasione lo sviluppo di questo suggerimento, che ci pare esser stato larga mente ignorato nella trattazione marxista sull’economia industriale e dell’innovazione. Certo, come mi ha fatto notare in una corrispondenza privata Giacomo Becattini, alcuni aspetti di queste pagine di fine Ottocento ricordano il Marshall di Industry and Trade. Ed e pure vero che Rosa Luxemburg vede nel piccolo capitale pili imprese capitalistiche gia costituite come tali che invece, secondo la tradizione distrettuale, qualcosa che nasce non (soltanto) capitalistico e che esprime, insieme, volonta di arricchirsi e volonta di affermare la propria personalita. Per chi scrive, sta qui, in questa impostazione di Rosa Luxemburg, la possibile base di una visione non armonicistica dei sistemi di piccola e media impresa, e degli stessi distretti. Per altri- del tutto comprensibilmente- vi e invece, in queste pagine, una visione sanamente dialettica certo, rna forse un po’troppo fastidiosamente conflittualistica. Il filo che qui preme pen), in conclusione, tirare e un altro. La Luxemburg e esplicita in continuita piena, a me pare, con Marx: ed e questa continuita oggi a fare proble ma – nel pensare che mentre per il lavoro «Vince» la tendenza «positiva», quella alia riunificazione, per il piccolo capitale vince la tendenza «depressiva», quella al monopo lio e dunque all’accorciamento dei tempi di vita della piccola e media impresa. Vince dunque la tendenza alla stagnazione del capitale, visto che «il piccolo capitale e l’avan guardia del progresso tecnico, e il progresso tecnico e il battito di polso dell’economia capitalistica» (117) . L’opera di Sweezy (con Baran e Magdoff) in fondo cerca di spiegare come la tendenza alia stagnazione si sia si acuita dopo l’esaurirsi della libera concor renza, rna come essa sia stata sinora sempre efficacemente controbattuta all’interno del capitalismo monopolistico.A chi scrive sembra che vi sia oggi qualche cosa di pili. Nella fase attuale del capitalismo, una fase che ha inizio dalla meat/fine degli anni ’70-gli anni in cui Napoleoni abban dona il Marx «economista», mentre Sweezy cerca i modi per continuarlo e rinnovarlo -la situazione si e del tutto invertita rispetto alia previsione della Luxemburg, e di Marx. Per quel che riguarda illavoro e prevalsa la tendenza «depressiva». Nel caso del piccolo capita le-sarebbe meglio dire: della dimensione delle unita produttive capitalistiche – e prevalsa la tendenza «positiva», in un contesto di sempre maggiore «snellimento» delle imprese. I due fenomeni a me sembrano strettamente legati. II capitalismo che abbiamo di fronte e sempre pili un capitalismo «organizzato». Esso e pen) sempre meno legato alla pura e semplice crescita della dimensione d’impresa. Anche per questo produce sempre meno una omogeneizzazione della condizione «concreta» dellavoro dentro la stessa produzione. In somma: centralizzazione senza concentrazione. Edi fronte a questi fenomeni che e urgente uno sviluppo della teoria marxiana che sia, per un verso, fedele allo spirito della teoria del (plus)valore e della crisi, rna anche, per l’altro verso, altrettanto libero e creativo di quanto non sia stato, alloro tempo, l’approccio di Napoleoni e Sweezy, pur nelle loro diversita. Come si sarebbe detto una volta: Hie Rhodus, hie salta!