Ontologia e lavoro nel pensiero dell’ultimo Lukács

di

ANTONINO INFRANCA E MIGUEL VEDDA*

 

È un fatto conosciuto e documentato il vecchio Lukács concepisse – con chiarezza e convinzione crescenti – di costruire un vero e proprio sistema filosofico; idea che prese forma ancora più definita quando, volendo dare una sistemazione definitiva alle sue riflessioni estetiche e critico-letterarie, pose mano alla stesura dell’Estetica1. Siamo all’inizio degli anni Cinquanta, quando nell’Ungheria stalinista, Lukács fu coinvolto nella cosiddetta Lukács-vita [dibattito Lukács]. Con una pronta e diplomatica autocritica, Lukács ottenne lo scopo di ritirarsi dalla politica e dall’insegnamento a vita privata e di dedicarsi alla stesura dell’Estetica (1).
Interruppe il lavoro per partecipare alla preparazione e alla rivoluzione del 1956. Riprese il lavoro all’Estetica dopo il ritorno dall’esilio in Romania, nella primavera del 1957, e all’inizio del 1960 il grande volume era terminato. In quell’occasione scrive a Frank Benseler, il suo editore tedesco, una lettera nella quale dice di avere intenzione, come tomo V dell’edizione delle sue opere com- plete, di scrivere un volume che dovrebbe avere come titolo Die Stelle der Ethik im System der menschlichen Aktivitäten [Il posto dell’etica nel sistema delle attività umane], e aggiunge che si tratterebbe dell’«opera sull’etica alla quale sto lavorando» (2).
Mentre si preparava a scrivere l’etica, Lukács sentì l’esigenza di definire il soggetto che avrebbe dovuto tenere un compor- tamento etico, e in questo modo nasce la determinazione di comporre, come passo precedente all’Etica, una Ontologia dell’essere sociale. La prima notizia sull’intenzione di scrivere questa opera la troviamo in una lettera a Benseler scritta il 19 settembre 1964: «Mi trovo in mezzo al lavoro con l’Etica. Ma è accaduto che la prima parte dell’Etica sarà molto più ampia di quanto mi fossi immaginato. Si convertirebbe, molto verosimilmente, in un libro, a partire da varie prospettive, indipendente, di non meno di 300 pagine. Quando sarà concluso, dovremo decidere se il libro deve apparire come opera indipendente, per esempio, nell’edizione delle opere complete, o provvisoriamente come volume separato. Il titolo dell’opera è Sull’ontologia dell’essere sociale» (3).

In una lettere diretta ancora a Benseler, del 22 gennaio 1965, Lukács scrive di avere cambiato il progetto originale e adesso lavora a un’ontologia e aggiunge: «Non prima di essa posso avvi- cinarmi ad una vera Etica». Lukács incessantemente alla redazione del manoscritto tra il 1964 e il 1968. Il 27 maggio 1968, scrive a Benseler: «Intanto, ho terminato l’ultimo capitolo dell’Ontologia. Adesso viene il dettato e, dopo, la revisione di tutto il manoscritto. Spero di terminare tutto nell’estate, o in autunno. Finalmente!»(4). Tuttavia, il periodo delle revisioni fu ancora lungo – interrotto spesso da altre preoccupazioni difficilmente dilazionabili. Si deve indicare che la preoccupazione per i problemi etici è già manifesta nell’Estetica, nella quale Lukács delineava una netta differenza tra l’uomo intero della quotidianità [«der ganze Mensch»] e l’uomo interamente impegnato [«der Mensch ganz»]. In questo senso, l’Estetica si può considerare una sorta di introduzione al progettato sistema filosofico, che avrebbe compreso l’Ontologia – la seconda opera del sistema che Lukács riuscì a completare – e poi l’Etica. In questo senso l’approccio di Lukács si rovescia e diventa più classico.

Il sistema filosofico aristotelico è preso a modello di qualsiasi altro sistema filosofico; così come lo conosciamo oggi è il frutto del lavoro di sistemazione compiuto da Andronico di Rodi ed è difficile ricostruire esattamente la cronologia della stesura delle singole opere che lo com- pongono. Comunque l’organizzazione che gli ha dato Andronico mostra una sua razionalità. La prima opera è lo strumento (όργανον) stesso del pensare, cioè la Logica, seguono poi le varie scienze teoretiche (Fisica e Metafisica) e poi le scienze dell’uomo (Etica, Politica, Retorica e Poetica). Lukács non scrisse una logica, perché avrebbe usato la dialettica marxiana, a sua volta un rovesciamento di quella hegeliana. Si potrebbe, forse, anche sostenere che una tale funzione è compiuta dal saggio Il giovane Hegel, l’opera che rappresenta il momento di chiarificazione dell’uso metodologico della dialettica hegeliana e marxiana da parte di Lukács. Poi passò a scrivere l’Estetica, quindi rovesciando lo schema aristotelico, ma ben presto ritornò a riconsiderarlo, scrivendo appunto l’Ontologia dell’essere sociale. Come è noto, l’ontologia è una delle forme di metafisica e l’Ontologia è una metafisica. Nicolas Tertulian ha posto in rilievo proprio questo essenziale aspetto dell’opera: «Lukács intendeva mettere in valore sia la tradizione della Metafisica di Aristotele sia quella della Logica di Hegel per erigere la propria ontologia. La sua opera, perciò, voleva essere simultaneamente una ‘metafisica’ e una ‘critica della ragione storica’» (5).
Il lavoro di costruzione del sistema lukácsiano sarebbe continuato, dopo l’Ontologia, con l’etica e la filosofia politica. Di questa ultima Lukács offre un anticipo, il saggio Demokratisierung Heute und Morgen [Democratizzazione oggi e domani], un libretto nel quale polemizza con il Comitato Centrale del Partito Socialista Operaio Ungherese, che aveva deciso che le truppe ungheresi partecipassero all’occupazione della Cecoslovacchia nell’agosto 1968.

Questo approccio classico può apparire scandaloso, ma di solito si scandalizza chi ha qualcosa da nascondere o vede affermarsi ciò che vuole negare assolutamente. Non c’è niente di scandaloso nell’approccio classico di un filosofo che ha fatto del classico la propria concezione della filosofia. Nella sua autobiografia, Lukács ricorda il primo incontro con Ernst Bloch, usando proprio la filosofia classica come la categoria per giudicare il pensiero dell’amico fraterno:

«Incontravo in Bloch il fenomeno che qualcuno filosofava come se l’intera filosofia odierna non esistesse, che era possibile filosofare al modo di Aristotele o di Hegel» (6). E come è noto la filosofia classica è innanzitutto una filosofia sistematica. Che il marxismo poi, in quanto erede della filosofia classica, con Lukács possa essere diventato una filosofia sistematica, non è che la naturale conseguenza di una concezione del marxismo che risale ai suoi stessi fondatori. Sol- tanto chi interpreta il marxismo arbitrariamente, cioè senza un metodo e un sistema categoriale rigoroso e scientifico, può pensarlo come un sistema di pensiero radicalmente nuovo, senza ge- niture, senza padri e per questo arbitrario. Di solito questi pensatori sono anche particolarmente capaci di sintesi teoretiche, cioè di risparmio di categorie e concetti, pervenendo a troppo rapide conclusioni, saltando a piè pari importanti e fondamentali passaggi, leggendo a metà i filosofi, scegliendo nel pensiero dei filosofi ciò che è comodo per le loro elucubrazioni. Chiamiamo questo tipo di lavoro teoretico economia del pensiero, si risparmia sulla fatica di pensare o di ripensare – lavoro ancora più faticoso – ciò che i classici del pensiero hanno, a loro volta, pensato. Questa economia è in fondo una violenza del pensiero, perché le teorie del passato vengono violentate senza il duro lavoro e il sacrificio che lo studio richiede, come avrebbe detto Gramsci a proposito del lorianesimo (7). Newton paragonava i pensatori del passato a giganti sulle cui spalle ogni nuovo pensatore, che era un nano, si arrampicava. Nonostante la condizione di nano ogni nuovo pensatore poteva vedere un po’ più in là del gigante sulle cui spalle era salito, ma in fondo era proprio la statura dei pensatori del passato a far passare in secondo piano la condizione di nano.

Il carattere metafisico dell’Ontologia dell’essere sociale ha attirato su Lukács innumerevoli critiche, tutte accomunate dalla sostanziale non conoscenza dell’opera (8). Ancora più drastiche furono le critiche che provennero dagli ambienti filosofici del marxismo ortodosso e dogmati- co (9), dove era inaccettabile l’idea che si potesse scrivere un’ontologia marxistica. A peggiorare la situazione si tenga conto che si tratta di un’opera di circa 1500 pagine, scritta con uno stile ridondante e prolisso. Inoltre gli stessi allievi di Lukács si sono battuti per boicottarla, perché le preferivano Storia e coscienza di classe, opera senza dubbio importante, ma che anzi assume ancora più importanza perché presupposto imprescindibile della stessa Ontologia, come vedre- mo più avanti. Sulla base di questo giudizio negativo gli ambienti intellettuali di sinistra, che si erano formati su Storia e coscienza di classe, disprezzarono l’Ontologia. Gli stessi allievi di Lukács finirono poi per saccheggiare l’Ontologia senza ritegno (10). Può apparire paradossale che i dogmatici si siano trovati d’accordo con i sostenitori di Storia e coscienza di classe, ma il paradosso è soltanto apparente; entrambe le correnti del marxismo erano abituate all’economia e alla violenza di pensiero. A questo si aggiunga la crisi del marxismo e il crollo del socialismo reale che, invece, che liberare gli intellettuali dalle remore di confronto con un regime anti- democratico e illiberale, li ha liberati dalle remore verso il pensiero democratico e la libertà intellettuale. A tutt’oggi un’edizione completa dell’opera manca in inglese, francese e spagnola.

A seguito delle critiche degli allievi della cosiddetta «scuola di Budapest», Lukács rispose con un altro volume più breve, Prolegomeni a un’ontologia dell’essere sociale. Questioni di principio di un’ontologia oggi divenuta possibile, ma non ebbe il tempo di rivederne il testo, perché la morte lo colse il 4 giugno 1971. Della progettata Etica sono rimasti soltanto gli appunti di preparazione che sono stati pubblicati nel 1994 con il titolo Versuche zu einer Ethik.

Se il progetto di un’ontologia si delinea a Lukács nel 1960, l’interesse verso una concezio- ne marxista più fondamentale, cioè che si avvalesse di una lettura più profonda dei fenomeni sociali, più diretta alla ricerca di categorie e principi fondanti, era apparsa a Lukács dal 1930, da quando a Mosca aveva potuto leggere i Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, che saranno pubblicati soltanto nel 1932. Possiamo parlare di una vera e propria «illuminazione sulla strada di Damasco» da parte di Lukács. Fino a quel momento Lukács non aveva compreso la profondità teoretica della filosofia marxiana, adesso si trovava di fronte a una vera e propria ontologia implicita, con una metafisica della realtà storica unita a una critica dell’economia politica, anzi la critica dell’economia politica si fondava proprio sulla definizio- ne di alcuni principi ontologici fondamentali che Marx aveva usato metodologicamente come punti di riferimento per una critica dell’esistente. La concezione lukácsiana del marxismo ne uscì profondamente trasformata. Infatti, sulla base di questo incontro con i testi del giovane Marx si spiegano alcuni dei principi strutturanti l’estetica di Lukács; così, per esempio, le considerazioni – minuziosamente sviluppate nell’Estetica e nei Prolegomeni ad un’estetica marxista – sulla capacità dell’arte di sollevarsi al di sopra del contingente e del transitorio. È certo che queste considerazioni riannodano trame con il pensiero sviluppato nell’estetica della gioventù; prima di tutto, nella Teoria della storia letteraria (1910) e nella sezione «Il rapporto soggetto-oggetto nell’estetica» dell’Estetica di Heidelberg (1916-1918); ma esiste, nell’opera della vecchiaia, un’importante differenza, nella misura in cui, grazie all’appropriazione della filosofia del giovane Marx, Lukács riesce a superare le vaghezze e oscillazioni del suo pensiero giovanile. Il concetto chiave è, su questo punto, quello di essenza generica [Gattungswesen]; concetto che troviamo spesso in testi quali Sulla questione ebraica (1843) o nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Marx aveva segnalato che, tra i principali pregiudizi causati dal lavoro alienato, si trovano quelli di strappare all’uomo la sua vita generica e ridurre la sua vita a un semplice gioco di egoismi; ma anche sul piano gnoseologico si può dire che la funzione conoscitiva della prassi determina l’ambito degli interessi dell’essere sociale che si conferma, in tal modo, un essere generico.

Marx, d’altra parte, si opponeva ad ogni tentativo di fissare la ʻsocietàʼ come un’astrazione contrapposta all’individuo: l’individuo stesso è l’essenza sociale; nell’essere umano concreto e agente, esiste un’interrelazione dialettica viva tra l’essere generico [Gattungssein] e la coscien- za generica [Gattungsbewusstsein], in tal modo che, come sostiene Marx, l’uomo conferma come coscienza generica la sua vita sociale e riproduce il suo essere reale nel pensiero e, allo stesso tempo, l’essere generico dell’uomo si conferma nella coscienza generica.
Agnés Heller ha segnalato fino a che punto il concetto di Gattungswesen abbia permesso a Lukács di criti- care la mitologizzazione della coscienza di classe proletaria sviluppata in Storia e coscienza di classe: «Spesso Lukács ci segnalò, a noi discepoli, quanto cruciale sia stato per lui la lettura dei Manoscritti economico-filosofici del 1844: la scoperta del concetto di genere umano e il ruolo centrale che sviluppava in Marx l’«essenza generica» gli causarono un gran impatto intellettuale. La ʻclasseʼ non poteva occupare il posto del ʻgenereʼ – in questo modo era arrivato a concepire la posizione di Marx – e proprio questa sostituzione era l’impronta specifica di Storia e coscienza di classe» (11).

In una lettera a Benseler del 26 febbraio 1962, lo stesso Lukács segnala, a proposito degli intensi dibattiti causati da Storia e coscienza di classe durante gli anni Venti, che la lettura dei Manoscritti di Marx lo trattenne, quando si proponeva di realizzare un’esaustiva difesa delle posizioni sostenute nel suo volume di saggi: «Compresi immediatamente che, come Hegel, avevo confuso cosificazione e oggettività, per cui questo complesso di problemi non fu risolto nel mio libro, anzi fu ancor più aggrovigliato» (12). Non appaia casuale che Lukács interpretasse alla luce dei concetti di genericità [Gattungmässigkeit] ed essenza generica la differenza che mette in relazione l’ideale marxiano di prassi trasformatrice e la semplice rivendicazione di certi obiettivi immediati propiziata dalla socialdemocrazia; Tertulian ha segnalato che, quando Lukács sostiene che «vedere, nell’immanenza delle rivendicazioni pratiche e di breve termine del proletariato, obiettivi che puntano alla condizione umana nella sua universalità; o, quando rifiuta di dissociare il programma di piccole riforme dall’obiettivo finale, che è il salto dal re- gno della necessità a quello della libertà, cerca […] di rendere visibile la coscienza generica dell’umanità in quanto realtà costitutiva del movimento proletario» (13).

L’insistenza sul concetto di essenza generica permette, poi, di evitare il conformismo social- democratico quanto la fallace mitologizzazione del proletariato propiziata dal marxismo sovie- tico. Riguardo a quest’ultimo, va ricordato che Marx concepiva la rivoluzione, non come un semplice processo di liberazione della classe opera soggiogata dal capitalismo, bensì come un modo di concludere la preistoria dell’umanità e aprire il cammino affinché – una volta abolite le classi – gli esseri umani realizzino pienamente la propria genericità.

La situazione politica non permise al filosofo ungherese di esprimere immediatamente la sua mutata concezione del marxismo. Si era all’inizio del periodo più feroce dello stalinismo e Lukács si dovette rifugiare in Unione Sovietica, visto che su di lui pendeva la richiesta di estradi- zione in Ungheria dove lo attendeva una condanna a morte, avendo partecipato alla Repubblica dei Consigli del 1919. Soltanto l’Austria e la Germania gli avevano offerto asilo politico e dopo di esse rimaneva soltanto l’Unione Sovietica. La salita al potere di Hitler costrinse Lukács a rifugiarsi a Mosca, dove iniziò un sodalizio intellettuale con Mihail Lifsic e si dedicò alla critica letteraria e alla stesura degli scritti preliminari per la vasta ricerca sull’irrazionalismo che più tardi sarebbe stata esposta ne La distruzione della ragione. Alla fine degli anni Trenta, aveva scritto Il giovane Hegel, ma anche questo libro – uno dei punti più alti della produzione filosofica lukácsiana – non era in linea con l’interpretazione stalinista di Hegel e il libro su pubblicato soltanto nel 1948 in Svizzera (14). Lukács nel 1941 fu anche arrestato e detenuto per un mese dalla polizia stalinista, che gli sequestrò un libro su Goethe e la dialettica, che non fu più ritrovato. Nel 1945 Lukács tornò in Ungheria e poté iniziare una regolare ricerca filosofica, risale a quel periodo la recensione al libro di Fogarasi e la stesura dell’Estetica, prima, e dell’Ontologia, dopo.

Dunque la trasformazione di prospettiva degli anni Trenta segna circa quaranta anni della sua produzione intellettuale ed è un cambiamento ancora più profondo di quanto possa essere considerato il passaggio al marxismo alla fine del 1918. Rifiutiamo l’idea che nello sviluppo intellettuale di Lukács ci siano fratture, ma soltanto cambiamenti di prospettiva, e questo degli anni Trenta è senza dubbio il più significativo, tanto da portare Lukács a un tentativo di rifonda- zione del marxismo, tentativo che purtroppo è rimasto incompiuto, anche a causa della distrazione che le critiche degli allievi della «scuola di Budapest» gli causarono. È molto probabile che Lukács avrebbe potuto lasciare un’etica più definita di quanto siano gli appunti che adesso possediamo.

Nel quadro della filosofia successiva alla «svolta ontologica», Lukács definisce il lavoro come «il fenomeno originario [Urphänomen], il modello [Modell] dell’essere sociale» (15).
Urphänomen, come è noto, è un termine della teoria scientifica goethiana. Goethe parlò anche di un fenomeno puro [reines Phänomen] o di un fenomeno principale [Haupterscheinung]; il termine si riferisce, nell’opera dello scrittore tedesco, all’essenza percettibile negli stessi fenomeni. La pianta e l’animale originari, la metamorfosi, il magnetismo, la polarità e la progressione, ma anche l’amore e la produttività creatrice, la volontà etica, ecc. sono presentati come Urphänomene fisici o etici. Ma il fenomeno originario non è un concetto semplicemente ideale; non è dietro i fenomeni, bensì si trova immediatamente nelle cose singolari (rebus singularibus]; non si rivela attraverso la speculazione astratta, bensì mediante l’osservazione diretta all’oggetto. Questa considerazione attenta dell’oggetto, orientata a descrivere il fenomeno originario, è accompagnata secondo Goethe da sorpresa,  in concordanza con il θαυμάζειν platonico e aristotelico. Si potrebbe sostenere che l’interesse goethiano verso il mondo oggettivo, al fine di riconoscere in esso le possibilità suscettibili di sviluppo da parte del soggetto, rappresenta una delle basi, non solo per la teoria del realismo sviluppata ne La particolarità  dell’estetico, ma anche per la concezione del lavoro presente nell’Ontologia; ma si deve aggiungere che questa influenza era già presente in Hegel, che aveva già ripreso nel suo pensiero filosofico le proposte goethiane (16).

Ma nell’Ontologia, Lukács indica indirettamente il lavoro anche con il termine «forma originaria» [Urform] (17). Nell’Estetica lo aveva definito «forma fondamentale» (18)  e nei Prolegomeni all’Ontologia dell’essere sociale, il lavoro è definito ʻfondamentoʼ [Fundament] e «caso-modello» (19)  [Modellfall]. Ci troviamo di fronte a un’apparente confusione terminologica, diciamo apparente perché, al di là dei diversi termini usati, emerge chiaramente l’intenzione di Lukács di interpretare il lavoro come un principio originario dello sviluppo umano, come indicano i termini di «fenomeno originario», di «forma originaria», di ʻfondamentoʼ o «forma fondamentale». Lukács intende che con il lavoro un essere organico ha messo in moto un processo che lo porterà a divenire uomo. L’essere organico, a sua volta, era sorto dall’essere inorganico, ma la complessità dell’essere organico presenta un livello maggiore rispetto alla forma d’essere precedente, cioè all’essere inorganico. Lo stesso rapporto avviene tra essere sociale e essere organico: l’essere sociale è un complesso di complessi che presenta un livello di complessità maggiore di quello dell’essere organico.

Visto che il lavoro diventa anche il «caso-modello» a partire dal quale si costituiscono alcuni complessi, come il linguaggio o il valore, allora potremmo definire il lavoro anche come «mo- mento soverchiante» [Übergreifendes Moment]. Infatti dal lavoro sorgono il linguaggio come necessità di una comunicazione tra esseri umani che partecipano allo stesso processo produttivo o originariamente alla stessa battuta di caccia. Dal lavoro sorge anche il valore, quando all’uomo si presentano alternative tra oggetti che possono risultargli utili se trasformati in strumenti di lavoro. Il carattere alternativo costringe l’uomo a scegliere, ma la scelta può essere operata soltanto se l’uomo è in grado di avere chiaro cosa è utile a lui. Il carattere di scelta pone l’uomo di fronte alla libertà della propria elezione e alla libertà dei suoi atti. Naturalmente una scelta libera può essere causa di tragedie, come per esempio, sbagliarsi nella scelta di un cibo che può rivelarsi pericoloso per la sua salute. In un primo momento l’uomo interagisce con l’ambiente circostante sulla base dell’adeguazione di questo ambiente alla riproduzione della propria vita. L’uomo riconosce la necessità dentro la quale si trova ad operare e il carattere libero delle sue scelte cresce parallelamente alla sua capacità di riconoscere l’utilità dei suoi gesti e degli oggetti che lo circondano.

Da queste brevi considerazioni possiamo notare che i valori etici hanno un’origine pressoché congiunta con il sorgere stesso dell’uomo. Magari in un momento iniziale possono essere limi- tati dall’egoismo individuale, ma poi tendono a trasformarsi in patrimonio comune del genere umano, perché aiutano alla riproduzione della vita umana. Anzi il rispetto anche dei valori etici, oltre che la capacità di comunicazione, cioè il possesso di un linguaggio comune con altri uomini, sono il fondamento della continua riproduzione dell’appartenenza al genere umano da parte di un essere umano individuale. L’uomo riproducendo la propria vita riproduce il genere umano e il lavoro è lo strumento principale di questa riproduzione. Il lavoro collettivo o la specializzazione del lavoro aumentano ancora di più la possibilità di riprodurre la propria vita e sollevano la riproduzione del genere umano a livelli sempre più alti. In tal modo l’essere umano individuale si sente sempre più appartenente a un genere più vasto, a un complesso sempre più complesso, riconoscendosi come membro del genere umano nella misura in cui la propria esperienza diventa patrimonio comune e l’esperienza degli altri patrimonio proprio. Nasce così l’individuo, che è un in-dividuum, cioè un essere la cui natura è composta da elementi inseparabili che sono la sua singolarità e la sua appartenenza al genere umano. In pratica ogni essere umano è una comunità, perché è in un rapporto di relazione reciproca [Gemeinschaft, che in tedesco è anche ʻcomunitàʼ] con sé stesso, con gli altri e con il genere. Questa è la concezione più innovativa che l’Ontologia di Lukács ci presenta e vediamo nascere l’individuo proprio nel lavoro, come essere che appartiene a un genere, si tratta di una nuova concezione della soggettività che è originata dal lavoro e nel lavoro. Tutti i valori etici che contraddistinguono la singolarità, la comunità e la genericità si possono fare risalire al momento in cui il lavoro è diventato il principio originario dell’essere umano.

Il lavoro è, quindi, la forma originaria di prassi. Ogni attività umana imita o riproduce, in for- me mutate, l’atto originario del lavoro. La struttura che fa da modello è quella della teleologia, che Lukács riprende da Hegel e Nicolai Hartmann. Nel capitolo su Hegel contenuto nella pri- ma parte dell’Ontologia, Lukács sostiene che in Hegel si trova una falsa e una vera ontologia. La vera ontologia è il riconoscimento da parte di Hegel di categorie e strutture concrete della vita quotidiana degli uomini e la loro interpretazione in chiave storica, mentre la falsa ontologia consiste nella trasformazione idealistica e gerarchizzante di queste categorie e strutture. Il caso più emblematico di questo rovesciamento idealistico si trova propria nella categoria della ʻteleologiaʼ contenuta nella Scienza della Logica di Hegel. Naturalmente Lukács tiene anche presente l’approfondimento che Marx compie nell’ormai celebre passo de Il capitale sull’ape e l’architetto della teleologia. In tal modo, Lukács dimostra di avere appreso la lezione marxista del rovesciamento che Marx condusse sulla filosofia hegeliana.

La teleologia per Hegel si divide in tre momenti: la posizione dello scopo soggettivo, l’indagine sui mezzi per realizzare tale scopo e lo scopo realizzato, con conseguente conservazione del mezzo usato. Secondo Hegel, la teleologia presuppone un concetto: «La relazione dello scopo è perciò più che un giudizio; è il sillogismo del libero concetto per sé stante che si riconnette con se stesso mediante l’oggettività» (20). Il concetto si presenta come realizzazione dello scopo, in quanto unità di essere oggettivo con lo scopo ideale. L’unico modo di connettere uno scopo con l’oggettività è il mezzo per realizzare tale scopo.
Il mezzo, quindi, svolge la stessa funzione di un medio di un sillogismo formale, cioè esso è insieme oggetto immediato e relazione estrin- seca verso l’estremo dello scopo; quest’ultimo fornisce di determinatezza esteriore il mezzo e da oggetto meccanico lo trasforma in strumento (21). L’aspetto teleologico del lavoro è, quindi, il momento in cui la soggettività si oggettivizza o il razionale si fa reale.

Lukács riconosce la profondità d’analisi della tematica hegeliana e recupera il concetto di «astuzia della ragione» [List der Vernunft] nella sua originaria accezione, espressa nella Scienza della logica (22). Con l’astuzia della ragione Hegel spiega dialetticamente il sorgere del nuovo dal rapporto di due enti naturali: mezzo e oggetto da trasformare con il lavoro. Lukács, nel riprendere l’impianto categoriale della teleologia hegeliana (23), pone in rilievo l’interesse di Hegel nei confronti dello strumento di lavoro, considerato come mezzo di dominio sulla natura e mediante il quale il processo teleologico può essere considerato come la traduzione del concetto nella realtà.
Hegel andò oltre una tale interpretazione cogliendo il carattere non solo di medium dello strumento, ma anche il fatto che esso rappresenta il perdurare del lavoro nel tempo, grazie anche alla conservazione dello strumento di lavoro una volta che sia terminata l’attività lavorativa. Hegel riconosce allo strumento una validità superiore allo scopo, perché lo strumento può servire a diverse singolarità. Questa interpretazione della teleologia hegeliana permette a Lukács di esprimere i nodi concettuali attorno ai quali si è formata la concezione marxiana dello sviluppo della storia in conseguenza del rapporto del lavoro con la proprietà oggettiva degli strumenti di produzione.

Marx riportò chiaramente, ma con una valenza rivoluzionaria e una centralità pratico-teorica inedite fino a quel momento, ciò che Hegel aveva espresso in nuce nel suo sistema. Il tentativo di Lukács di segnalare una continuità fra i due filosofi tedeschi emerge su questo aspetto della dialettica del lavoro in forma ancora più netta che in altre occasioni. Già ne Il giovane Hegel, Lukács aveva colto l’importanza che riveste lo strumento anche nelle opere del primo Hegel:

«L’analisi concreta della dialettica del lavoro umano supera in Hegel l’antinomia di causalità e teleologia, mostrando il posto concreto che la finalità umana consapevole occupa all’interno del contesto causale complessivo senza spezzare questo contesto, senza doverne uscire e fare appello a quale principio trascendente, ma anche […] senza perdere le determinazioni specifiche della finalità del lavoro» (24). Il fatto che Lukács sia stato attento anche alle opere giovanili di Hegel, in particolare alla Fenomenologia dello spirito, ma che abbia analizzato quest’opera soprattutto ne Il giovane Hegel, può essere dovuto a due ragioni: la prima è storica, nel 1938, quando scrisse Il giovane Hegel, il vecchio Hegel era ritenuto dalla critica stalinista un apologi- sta della reazione prussiana e, quindi, era impossibile rivalutarlo.
La seconda è più complessa: un’analisi attenta del testo hegeliano ci mostra che l’impostazione che Hegel ha dato della teleologia è ontologica nella Scienza della logica, mentre è fenomenologica nella Fenomenologia dello spirito e Lukács ha affrontato l’aspetto fenomenologico del concetto di lavoro in Storia e coscienza di classe, mentre nell’Ontologia ha analizzato il principio originario del lavoro, cosa che richiedeva una lettura attenta dell’impianto logico-scientifico della Scienza della Logica piuttosto che quello storico-fenomenologico della Fenomenologia dello spirito. Infatti in Storia e coscienza di classe, il lavoro si presentava sotto la forma fenomenica della merce, come lavoro salariato e alienato, a sua volta una forma reificata e estraniata di prassi. Nell’Ontologia il lavoro è, invece, il principio fondamentale dell’individuo e della sua soggettività, cioè dell’uomo che fa storia e riproduce nella coscienza e nella prassi della sua vita quotidiana la propria umanità. Questa spiegazione ci permette di legare le due maggiori opere marxiste di Lukács in un rapporto di continuità e non di opposizione, come hanno cercato di fare gli allievi della «scuola di Budapest».

Lo scopo posto nel lavoro è per Marx, così come per Lukács, il momento in cui l’ideale diventa un elemento fondamentale della realtà sociale-materiale, in quanto determina la serie causale delle determinazioni d’essere. È il momento in cui Marx riprende il momento ideale e lo recupera all’interno della sua prospettiva materialistica. Il ruolo della teleologia è accresciuto dal fatto che essa, tramite il lavoro e la sua funzione di principio diventa l’elemento fondante la socialità; quindi, la genesi della società sta anche nel pensiero dell’uomo. Ponendosi su questa linea di continuità fra Hegel e Marx, Lukács ripercorre tutte le tappe del pensiero marxiano della dialettica del lavoro e rintraccia nella δΰναμις [potenza] aristotelica, così come aveva fatto lo stesso Marx, lo strumento per l’emergere di una nuova oggettività. Aristotele riveste un ruolo importante nell’impianto teoretico dell’Ontologia e la lettura che Lukács dà del filosofo greco è quanto mai ʻmodernaʼ.

Propria da Aristotele Lukács riprende la teoria della mimesi o del rispecchiamento. Il momento ideale si presenta anche nella teoria del rispecchiamento, che ha suscitato le critiche più forti negli ambienti filosofici. Già nell’Estetica Lukács aveva trattato dell’argomento so- stenendo che il rispecchiamento è la riproduzione nella mente umana degli oggetti esterni. Riproduzione che è condotta secondo le specifiche capacità della mente umana e, quindi, non secondo la natura oggettiva degli oggetti. Lukács ha posto in rilievo con particolare insistenza che, in arte e letteratura, il rispecchiamento significa, innanzitutto, che i fatti rappresentati sono mimesis, cioè un’imitazione nella quale sono sospese la funzione pratica e la necessità di ripro- durre un originale esterno; nell’Estetica si segnala che il comportamento estetico sorge quando l’interesse è posto nell’immagine riflessa in quanto tale, e non nella fedeltà di questa immagine a un originale esterno; per portare un esempio, ripreso dallo stesso Lukács: la danza divenne un’arte autentica, cioè un’arte autonoma, quando gli uomini, prendendo le distanze dai bisogni immediati della vita quotidiana, smisero di praticarla con fini magico-religiosi e cominciarono a provare un interesse immediato al rispecchiamento stesso, cioè al proprio atto di ballare. Qui la connessione immediato-concreta tra l’elemento riflesso e la realtà esterna rimase sospesa e il prodotto artistico costituisce una oggettività propria.

Nella prassi lavorativa e nella scienza – che sono strettamente vincolate tra di loro – l’uomo intende gli oggetti secondo i propri scopi e valori, quindi sostanzialmente secondo il valore di utilità che un oggetto può avere o meno per l’attività lavorativa. Dunque lo stesso Lukács rileva il rapporto pressoché inscindibile di rispecchiamento e posizione teleologica, sebbene tra essi siano eterogenei (25). Il rispecchiamento nell’atto di riprodurre nella coscienza l’essere in sé degli oggetti naturali, opera un superamento del distacco tra soggetto e oggetto, superamento che, in questo stadio del processo lavorativo, è presente solo nella coscienza, nel mondo ideale.
Il superamento ci indica l’esattezza del rispecchiamento di un oggetto nella mente umana, esat- tezza necessaria per passare alla posizione dello scopo e alla produzione degli oggetti, in modo che essi siano possessi spirituali dell’essere sociale. Il rispecchiamento si fonda sulla categoria della possibilità (26)  in quanto si può creare una realtà e farla interagire con la realtà naturale, tra- sformandola in una nuova oggettività. Si genera, così, un terzo momento rispetto al soggetto e all’oggetto che funge da mediazione, come rileva nella conferenza Le basi ontologiche dell’attività dell’uomo (27).

Lukács concepisce il rispecchiamento entro la coscienza come il primo passo per differenziare l’uomo e l’animale, infatti con il rispecchiamento la coscienza svolge un ruolo primario per la fissazione dello scopo da realizzare, mentre negli animali essa è un mero epife- nomeno. Si viene così a formare un processo dialettico, che messo in moto dal rispecchiamento dell’oggetto naturale nella coscienza umana, crea una catena causale che si concretizza in una nuova oggettivazione e determina l’acquisizione di altre proprietà dell’essere sociale e rappre- senta il nuovo che si è formato nella coscienza in conseguenza dell’atto di rispecchiamento. Qui possiamo cogliere il carattere dialettico della concezione lukacsiana della coscienza.

L’Ontologia dell’essere sociale è un’opera che rinnova non soltanto la tradizione della grande filosofia classica, ma anche permette di estendere gli interessi filosofici a branche della scien- za che erano rimaste sostanzialmente marginali nella riflessione filosofica contemporanea. Ci riferiamo alla paleoantropologia. Qui non possiamo approfondire adeguatamente le riflessioni di Lukács sul processo di ominizzazione dell’uomo, ma non c’è dubbio che la riflessione lukacsiana sul passaggio dall’essere organico all’essere sociale nasce dalla ricerca paleoantropologica. Si tenga conto che l’Ontologia è un’opera dell’inizio degli anni Sessanta, quando ancora non erano state elaborate le teorie più avanzate sull’ominizzazione e, quindi, Lukács riteneva il lavoro, in sostanza la prassi, come il principio dominante il passaggio dall’animale all’uomo. Oggi la situazione è notevolmente mutata e il lavoro o la capacità di manipolare l’ambiente, come direbbero i paleoantropologi, non è più ritenuta l’elemento dominante il passaggio, perché vi si sono aggiunti la posizione eretta, cioè la struttura scheletrica dell’uomo, la fertilità mensile delle donne, la grandezza della scatola cranica e la piccolezza dei molari con la conse- guente maggiore dimensione del cervello umano, l’uso delle mani e la visione anteriore e, last but not least, il patrimonio genetico dell’essere umano. Secondo noi, però, nessuno di questi fattori è dominante, ma tutti insieme, ed altri che qui abbiamo tralasciato per ragioni di spazio, hanno determinato il lento processo di ominizzazione dell’uomo.

Il lavoro è stato, però, un fattore di grande sintesi tra tutti questi altri fattori, perché il lavoro rimane tutt’oggi patrimonio unico del genere umano. Nessun altro animale lavora, anche se può usare strumenti, può anche migliorarli secondo uno scopo che si è posto, ma non li conserva per ulteriori successivi atti lavorativi. Soltanto l’uomo conserva gli strumenti del lavoro e li lavora. Nessun altro filosofo prima di Lukács aveva usato il lavoro come il principio dell’ominizzazione e più di qualsiasi altro filosofo, compreso il teologo e filosofo Teilhard de Chardin, Lukács ha usato le ricerche della paleoantropologia per ricavarne concetti fondamentali per la sua riflessione teoretica. Anche per questo Lukács è un nano, ma su spalle di giganti.

                                                                                                                                                                                                                                                                       Note

*       Il presente saggio è l’Introduzione alla traduzione spagnola, realizzata da Miguel Vedda, al capitolo sul lavoro dell’Ontologia dell’essere sociale, cfr. G. Lukács, Ontologia del ser social. El Trabajo, Buenos Aires, Herramienta, 2004.

1       Si tenga presente la dedica dell’Estetica alla moglie Gertrud, nella quale Lukács fa riferimento all’inten- zione di scrivere un’estetica più ampia comprendente altri due volumi e un’etica.

2       Cfr. «Nachwort» a Prolegomena. Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins, F. Benseler (hsgb.), Darm- stadt und Neuwied, Luchterhand, 1986, p. 731.

3       Ibidem.

4       Ivi, p. 736.

5       N. Tertulian, Teleologia e causalità  nell’ontologia di Lukács, «Critica Marxista» 5 (1980), p. 90. An- che Ferenc Tökei riconosce il carattere allo stesso tempo classico e rinnovatore dell’ontologia marxista dell’ultimo Lukács, cfr. F. Tökei, L’ontologie de l’être sociale. Notes sur l’œuvre posthume de György Lukács (1885-1971), «La Pensée» 206 (1979), pp. 29-37.

6       G. Lukács, Pensiero vissuto. Autobiografia in forma di dialogo, a cura di I. Eörsi, tr. it. di A. Scarponi, Roma, 1983, p. 27.

7       Gramsci allude con questo termine (ispirato al pensatore – che critica duramente – Achille Loria) agli aspetti bizzarri che caratterizzano la mentalità di un gruppo di intellettuali italiani che si distaccano per mancanza di spirito critico e sistematico, per trascuratezza nell’esercizio dell’attività scientifica, per man- canza di centralizzazione culturale. Cfr. A. Gramsci, «Lorianesimo» in Id., Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, quaderno n. 28. Altri riferimenti al «lorianesimo» si possono trovare nelle note ai quaderni 3, 6, 8 e 9. C’è anche un’edizione separata del quaderno: A. Gramsci, Lorianesimo, Roma, Editori Riuniti, 1992.

8       Facciamo una semplice considerazione, per comprendere il metodo della ricerca filosofica attuale: il pri- mo testo ontologico di Lukács è apparso nel 1969 in ungherese (Az ember gondolkodás és cselekvés ontológiai alapzatai [I fondamenti ontologici del pensiero e dell’attività dell’uomo], «Magyar Filózofiai Szemle» 13 (1969), pp. 731-742; nel 1971 sono apparsi in tedesco i primi capitoli dell’opera, esattamente i capitoli su Hegel, su Marx e sul lavoro. La prima edizione integrale dell’Ontologia è la traduzione in ungherese nel 1976. Nello stesso anno uscì la traduzione italiana della prima parte e nel 1981 la traduzione italiana della seconda parte. L’edizione integrale in lingua originale, cioè in tedesco, dell’Ontologia è apparsa nel 1984. Eppure Giuseppe Bedeschi, sulla base di un libro-intervista (Conversazioni con Lukács, Bari, De Donato, 1968), in cui lo spazio dedicato all’Ontologia non va oltre le 40 pagine, liquida in due pagine un’opera di oltre 1.500 pagine (cfr. G. Bedeschi, Introduzione a Lukács, Laterza, Bari, 1970, pp.

78-80). Ancor più Lucio Colletti, che in Tra marxismo e no, Laterza, Bari, 1979, p. 82, la giudica «una metafisica tardo ottocentesca» e nient’altro, dando l’impressione che a un giudizio così superficiale corrispondesse un’altrettanto superficiale conoscenza dell’opera. Si consideri poi la ricezione in Germania sulla scorta del racconto dell’incontro tra la Heller e Habermas a Francoforte (cfr. F. Feher, A. Heller, Gy. Markus, M. Vajda, Premessa alle «Annotazioni sull’ontologia per il compagno Lukács» (1975), «Aut Aut» 157-158 (1977), p. 14). In quell’occasione la Heller espose a Habermas le tesi principali dell’Ontologia e il filosofo tedesco rispose con un forte giudizio negativo. Vista l’opposizione della Heller al progetto dell’opera, nascono i primi sospetti sul come vennero esposti i temi principali dell’Ontologia. Poi lo stesso giudizio di Habermas lascia perplessi, perché un filosofo del suo prestigio sul semplice rac- conto orale stronca un’opera di oltre 1500 pagine. Eppure sulla scorta di giudizi del genere l’opera è stata successivamente quasi ignorata. Sulla genesi e ricezione dell’Ontologia cfr. F. Benseler, «Zur Ontologie von Georg Lukács» in U. Bermbach e G. Trautmann (hrsg.) Georg Lukács. Kultur, Politik, Ontologie, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1987, pp. 253-262.

9       Vedi le critiche nell’ambito del socialismo reale, in particolare di Bayer e Klopkine, che hanno definito rispettivamente ʻanacronisticaʼ e ʻidealisticaʼ un’opera come l’Ontologia (cfr. W. Beyer, Marxistische Ontologie. Eine idealistiche Modenschöpfung, «Deutsche Zeitschrift für Philosophie» 11 (1969), pp. 1310-1331; le critiche di Klopkine sono riportate da F. Tökei, L’ontologie de l’être sociale. Notes sur l’œuvre posthume de György Lukács (1885-1971) cit., p. 35). Anche in Ungheria, paese dal quale ci si poteva aspettare qualche difesa d’ufficio dell’Ontologia sono arrivate soprattutto dall’Archivio Lukács poche e deboli difese dell’opera. In generale per la conoscenza del pensiero di Lukács ancor più deleterio è stato il blocco imposto dal regime comunista alla pubblicazione di buona parte dei materiali conservati presso l’Archivio Lukács, come ad esempio tutti i carteggi, così è mancato sostanzialmente alla sua opera di diffusione dell’opera. Il sostanziale disinteresse verso il pensiero di Lukács, in generale, e dell’Onto- logia, in particolare, da parte dei ricercatori dell’Archivio Lukács si può notare dal pressoché assoluto abbandono degli studi lukacsiani dopo la caduta del comunismo in Ungheria.

10     Si tenga presenta la Sociologia della vita quotidiana di Agnés Heller che ripropone tanti temi e contenuti della stessa Ontologia dell’essere sociale, spesso ricalcandola.

11     A. Heller, «Lukács’ Later Philosophy», in Id. (ed.), Lukács revalued, Oxford, Basil Blackwell, 1983, p. 177.

12     Briefwechsel zur Ontologie zwischen Georg Lukács und Frank Benseler in R. Dannemann und W. Jung (hrsg.), Objektive Möglichkeit. Beiträge zu Georg Lukács’ «Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins». Frank Benseler zum 65 Geburtstag, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1995, p. 93.

13     N. Tertulian, Georges Lukács. Etapes de sa pensé esthétique, tr. fr. F. Bloch, Paris, Le Sycomore, 1980, p. 257.

14     Composto durante la prima metà degli anni Trenta, il libro – secondo dichiarazioni di Lukács – fu conclu- so già nell’autunno del 1937; nel 1942 Lukács lo presentò come tesi dottorale a Mosca, ma riuscì soltanto a pubblicarlo nel 1948 a Zurigo.

15     Cfr. G. Lukács, Ontologia dell’essere sociale, tr. it. di A. Scarponi, Roma, Editori Riuniti, vol. II, 1981, p. 13.

16     La relazione tra Goethe e Hegel fu studiata da Karl Löwith nello studio Goethes Anschauung der Urphä- nomene und Hegels Begreifen des Absoluten, incluso nel suo classico Da Hegel a Nietzsche (tr. it. di G. Colli, Torino, Einaudi, 1979).

17     G. Lukács, Ontologia dell’essere sociale cit., p. 73.

18     G. Lukács, Estetica, tr. it. di A. Marietti Solmi, Torino, Einaudi, 1970, p. 9.

19     G. Lukács, Prolegomeni all’Ontologia dell’essere sociale. Questioni di principio di un’ontologia oggi divenuta possibile, tr. it. di A. Scarponi, Milano, Guerini e Associati, 1990, p. 175.

20     G. Hegel, Scienza della logica, tr. it. A. Moni rivista da C. Cesa, Bari, Laterza, 1974, Libro III, sez. 2, cap. 3, p. 840.

21     Cfr. ivi, p. 846.

22     «Che poi lo scopo si metta nella relazione mediata con l’oggetto e frapponga fra sé e l’oggetto un altro oggetto, che si può riguardare come l’astuzia della ragione» (ivi p. 848).

23     Nei Prolegomeni, Lukács definisce un «geniale episodio» la teleologia hegeliana del lavoro (cfr. G. Lu- kács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 23).

24     G. Lukács, Il giovane Hegel, tr. it. di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1975, p. 481.

25     «I due atti eterogenei di cui stiamo parlando sono: da una parte il rispecchiamento il più possibile esatto della realtà presa in considerazione, dall’altra il correlativo porre quelle catene causali che, come sappia- mo, sono indispensabili per realizzare la posizione teleologica» (G. Lukács, Ontologia dell’essere sociale cit., vol. II, p. 36).

26     Qui mi limito a segnalare quanto Lukács sia legato alla categoria della possibilità a partire da Storia e coscienza di classe, quando attribuisce al proletariato una coscienza di classe possibile, anche se ancora non pervenuta a maturazione e a piena espressione. D’altronde la possibilità è una categoria dell’intel- letto a partire da Kant e il principio di ragione sufficiente di Leibniz non è altro che l’anticipazione della possibilità come categoria logica. Lukács riconosce a Kant un’attenuazione del carattere di necessità (cfr. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., cap. 3, p. 154) e, quindi, tenendo conto che la possibilità insieme alla necessità e alla esistenza compongono il gruppo della modalità, allora si può dedurre che un diminuito carattere della necessità lascia più spazio alla categoria della possibilità nella definizione di una modalità oggettuale.

27     «La conoscenza in generale distingue assai nettamente fra l’essere-in-sé, oggettivamente esistente de- gli oggetti e il loro processo conoscitivo» (G. Lukács, «Le basi ontologiche del pensiero e dell’attività dell’uomo» in Id., L’uomo e la democrazia, tr. it. di A. Scarponi, Roma, Editori Riuniti, 1975, p. 27).