Lukács e la determinazione della svolta metodologica di Marx

di

RONALDO VIELMI FORTES

L’ultima grande opera di György Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale, costituisce un caso particolare nella storia del marxismo, e diverge dal modo in cui il pensiero di Marx è stato compreso nel corso del XX secolo: ha il merito di essere la prima a mettere in rilievo il carattere ontologico delle opere marxiane. In questo senso, la ricostruzione del pensiero marxiano proposta da Lukács possiede una peculiarità nei confronti di ogni edificio teorico innalzato sulla base di asserzioni marxiane: per lui «nessuno si è occupato quanto Marx dell’ontologia dell’essere sociale» (1). Questo carattere ontologico è rimasto oscuro per la rigidità dogmatica in cui il marxismo si è ingolfato dopo la morte di Lenin, e ha respinto, sotto il dominio del flutto staliniano, tutta la discussione sull’ontologia, qualificandola come ideologica, idealista, oppure semplicemente metafisica. In realtà, come suggerisce lo stesso Lukács, questa rigidità non è altro che una risultante specifica delle riflessioni logico-gnoseologiche che hanno dominato tutto lo scenario della filosofia fin dal secolo XVII – includendo in ciò tanto la scienza borghese quanto il marxismo in generale – e che hanno combattuto con vigore ogni «tentativo di basare sull’essere il pensiero filosofico intorno al mondo», considerando come «anacronistica assurdità non-scientifica ogni domanda intorno all’essere» (2). Non importa quanto diverse possano essere le loro pretese politiche, oppure quanto antagonistici possano essere i loro principi filosofici, sono tutte prospettive irrigidite e legate dagli stessi lacci, dal momento che la loro fondazione si pone entro i confini delle discussioni logico-gnoseologiche. Proprio per questo tanto i critici di Marx quanto i suoi seguaci sono stati incapaci di percepire che il centro strutturante del suo pensiero si trova costruito su di un insieme ben fondato di lineamenti ontologici intorno all’essere sociale.

Nonostante le prospettive che ha aperto, l’opera lukacsiana non ha avuto una ricezione all’al- tezza delle sue aspettative. Il destino funesto alla quale è stata condannata si rivela nella debole ripercussione di questi ultimi scritti nel pensiero del secolo XX. Tale fatalità ha per lo meno due motivazioni: da una parte, sorge controcorrente rispetto alle tendenze filosofiche del secolo XX – ancora predominanti nel nostro secolo – nella misura in cui intende proporre la necessità della riflessione ontologica in un mondo dominato dal dibattito logico-gnoseologico; d’altra parte, la pubblicazione integrale dell’opera lukacsiana avviene in un momento sfavorevole, poiché coincide con la caduta del socialismo reale, e, quindi, con la continua affermazione del fallimento del pensiero marxista. Questa duplice fatalità spiega, in parte, la ragione per la quale l’opera di Lukács resta, a tutt’oggi, insufficientemente letta e analizzata. Sull’ultima fase del pensiero lukacsiano si trovano soltanto pochi sparsi studi. Quasi sempre l’autorità intellettuale dello studioso ungherese è riconosciuta soprattutto per Storia e coscienza di classe, opera da lui stesso rinnegata alcuni decenni dopo la pubblicazione giudicandola fortemente dominata da contenuti idealisti hegeliani.

Gli scritti ontologici di Lukács hanno due obiettivi fondamentali: si dirigono contro le let- ture meccaniciste, provenienti principalmente dallo stalinismo, e cercano al tempo stesso di combattere la critica degli avversari di Marx, dimostrando come l’incomprensione – e spesso il rifiuto – dell’ontologia è necessariamente dipendente dalla stessa configurazione della società:

«Se analizzassimo bene le teorie dei gruppi dirigenti politici, militari ed economici del nostro tempo, scopriremmo che questi –consapevolmente o no – sono determinati da metodi di pen- siero neopositivisti» (3).
La lotta suggerita da Lukács al predominio delle riflessioni logico-epistemologiche – in cui può essere incluso il neopositivismo – contempla una prospettiva che concilia posizione teorica e necessità pratica. Contra il predominio manipolatore cui si è ridotta la scienza nel mondo del capitale, l’ontologia ripropone il problema filosofico essenziale dell’essere e del destino dell’uomo. L’incursione lukacsiana nei problemi dell’ontologia non è frutto d’inclinazioni par- ticolari o personali, ma è una congettura che «intende la realtà come qualcosa da trasformare e non semplicemente da manipolare e gestire» (4). Tutta una serie di questioni sia dell’ambito prati- co che di quello teorico devono pertanto essere trattate per mezzo di una corretta comprensione della dinamica dell’essere sociale.

Questa impostazione – teorica e pratica – è la base del richiamo alla necessità di un ritorno a Marx privo delle deviazioni teoriche prodotte dal marxismo. Si tratta di eliminare quelle pagine del marxismo che sviluppano una discussione del tutto estranea alla lettera dell’opera marxiana: l’accusa dell’esistenza in Marx di un determinismo univoco proveniente dalla sfera dell’eco- nomia, che assolutizza la potenza del fattore economico ponendo in secondo luogo l’efficacia delle altre sfere della vita sociale. Ben lungi dall’essere deterministico, il pensiero economico di Marx si fonda sulla concezione della determinazione reciproca delle categorie e dei complessi che formano la dinamica dell’essere sociale.
L’attenzione all’ontologia in Marx offre a Lukács gli elementi passibili di stabilire addirittura la rottura con la gnoseologia. Le sue riflessioni cominciano dalla critica fondamentale che po- stula che in Marx «il tipo e il senso delle astrazioni, degli esperimenti ideali, sono determinati non da punti di vista gnoseologici o metodologici (e tanto meno logici), ma dalla cosa stessa, cioè dall’essenza ontologica della materia trattata» (5).
Si mette così in evidenza la feconda variazione del pensiero di Marx rispetto a tutta la traiettoria della filosofia: «l’oggetto dell’ontologia marxista, diverso dell’ontologia classica e successiva, è quello che c’è in realtà: il compito è indagare l’ente con la preoccupazione d’intendere il suo essere e trovare i diversi gradi e le diverse connessioni al suo interno» (6).

Tutte queste determinazioni, messe rapidamente in rilievo in questo inizio della nostra esposizione, formano la base sulla quale si elevano le principali tesi dell’ontologia lukacsiana. E una gran parte di queste determinazioni sono frutto di un lavoro di scavo, di delucidazione e di svolgimento diretto di elementi fondamentali del pensiero marxiano. Questi lineamenti ontologici trovati nel testo di Marx costituiscono l’insieme degli argomenti centrali utilizzati dal filosofo ungherese per contestare tutto il monumentale edificio teorico marxista che si è costituito intor- no al problema del metodo in Marx. È dunque opportuno, a chiarimento della tesi lukacsiana, seguire tutto l’insieme di argomenti e rilievi analitici che l’autore fa intorno all’opera di Marx.

1. Ontologia e metodo in Marx

Lukács comincia le sue riflessioni rilevando l’errore compiuto dal marxismo riguardo al problema del metodo di Marx, la cui espressione più piena essere osservata nella negligenza – e anche nell’abituale incomprensione – che caratterizza la lettura della cosiddetta Introduzione del ’57, pubblicata per la prima volta da Kautsky nel 1907. Questo testo costituisce uno dei rari momenti in cui Marx si dedica direttamente al problema del metodo. Per Lukács la quasi completa mancanza di considerazione di questo testo si comprende in base all’egemonia gno- seologica in filosofia, riverberatasi fortemente all’interno dello stesso marxismo, e che, nella maggior parte dei casi, ha portato il marxismo all’«abbandono della critica dell’economia politica per sostituirla con una semplice economia come scienza nel senso borghese» (7). Si è così trascurata la critica ontologica all’economia, elemento chiave per capire l’essere e il destino dell’uomo. Questa dimensione del pensiero dell’economia è stata sostituita da una concezione dell’economia intesa sul modello della scientificità borghese. Con questa impostazione, Lukács non soltanto propone il problema del necessario confronto dell’ontologia con la gnoseologia, ma arricchisce la discussione introducendo tutta una serie di elementi del pensiero marxiano che rompono alla radice con la tradizione filosofica predominante. La posizione di Marx davanti al problema della conoscenza separa nettamente due di- stinti complessi di problemi: «l’essere sociale che esiste indipendentemente dal fatto che venga conosciuto più o meno correttamente, e il metodo per afferrarlo idealmente nella maniera il più possibile adeguata» (8).
Tale proposta filosofica non ha per centro l’esame delle categorie del pensiero come elementi originali nel processo di comprensione ideale della realtà. Diversamente dai postulati della tradizione gnoseologica, le categorie non sono forme a priori del pensiero, ma nessi ed interazioni inerenti alle cose stesse. Contro le tendenze predominanti nel XX secolo, l’enfasi ricade sul rilievo dato alla priorità delle determinazioni stesse dell’essere rispetto alla coscienza. È una tesi che pone il problema della conoscenza su altre basi: non si tratta di stabilire le possibilità e i limiti della conoscenza, ma di un procedimento che mette direttamente al centro della riflessione l’oggettività in tutta la gamma delle sue determinazioni e nessi.
La peculiarità di questo procedimento impone all’esposizione lukacsiana di percorrere tutta la costruzione analitica di Marx intorno ai complessi economici, giacché i lineamenti più generali dell’ontologia dell’essere sociale ricevono chiarimento soltanto all’interno dell’analisi di questi complessi effettivi. Tale compito implica anche il lavoro di paragone con alcuni scritti di gioventù, particolarmente con i Manoscritti economici-filosofici del ‘44, in cui si trovano già presenti importanti aspetti di questa linea di pensiero. Nei Manoscritti il primato dell’oggettività sulla coscienza è affermato decisamente. E in questo testo troviamo anche per la prima volta esplicitamente la determinazione dei tratti ontologici dell’oggettività:
Un essere [Wesen] che non abbia un oggetto fuori di sé non è un essere oggettivo. Un essere che non sia esso stesso oggetto nei confronti di un terzo non ha alcun essere per suo oggetto, cioè non si comporta oggettivamente, il suo essere non è oggettivo. Un essere non oggettivo è un non-essere [ein Unwesen] (9).

Così Lukács commenta questo passo:
Già qui Marx respinge tutte quelle concezioni secondo cui determinati elementi «ultimi» dell’essere avrebbero ontologicamente una collocazione privilegiata rispetto a quelli più complessi, più composti, e secondo cui nel caso di questi ultimi le funzioni sintetiche del soggetto conoscente svolgereb- bero un certo ruolo nel che cosa e nel come della loro oggettività (10).
Le parole finali di questa citazione sono rivolte contro il pensiero kantiano. Nella gnoseologia formulata da Kant il soggetto occupa un ruolo di rilievo perché compie ad ogni momento la sintesi concreta della conoscenza rispetto ad un’oggettività. Tale impostazione culmina nell’af- fermazione tassativa dell’inconoscibilità della cosa in sé. L’allusione a Kant non è casuale. Lukács osserva l’influsso della sua filosofia all’interno dello stesso marxismo che, per il fatto di trovarsi distante dalla prospettiva ontologica, è stato costretto talvolta a ricorrere alla filosofia kantiana per colmare supposte lacune presenti nel pensiero di Marx.
Lukács mette in risalto la categoria della relazione come attributo imprescindibile di tutto l’essere oggettivo: essere oggettivo implica essere oggetto per altri. La relazione non appare come un dettaglio fortuito, casuale, come un semplice accidente, e tanto meno è un processo di sintesi promosso dal soggetto della conoscenza, ma costituisce un’effettività ed un attributo ineliminabile della costituzione ontologica dell’essere. Quindi, gli elementi, le categorie e le proprietà dell’essere si presentano sempre in forma embricata: le sue categorie occupano una posizione particolare all’interno di una totalità articolata. L’oggettività è un attributo proprio dell’essere, inteso come un complesso di complessi, e una tale prospettiva promuove una rot- tura diretta con la nozione che ritiene che l’essere si possa definire sulla base di certi elementi semplici, non complessi, che determinano nella sua perennità, unicità e purezza la sostanzialità di una certa forma dell’essere. L’essere in Marx – chiarito, per mezzo di questo termine, come una totalità strutturata nella forma di complesso di complessi dinamico ed eterogeneo – si distingue radicalmente dalle concezioni tradizionali della filosofia, particolarmente da quelle dell’idealismo tedesco. Non si tratta della cosa in sé postulata da Kant, neanche «dell’essere non determinato» hegeliano, ma di una totalità dinamica costituita da molteplici determinazio- ni, cioè da complessi i cui elementi si trovano in costante interazione ed interrelazione all’interno della totalità dell’essere sociale.

Lo sviluppo dell’analisi dell’oggettività conduce Lukács al riconoscimento di tre principi centrali dell’ontologia di Marx: la priorità ontologica [ontologische Priorität], il mutuo compenetrarsi dell’economico e del non-economico nell’essere sociale e il momento soverchiante [übergreifende Moment]. Tale discussione apre la strada anche alla dimostrazione della peculiarità del «metodo» marxiano di comprensione della realtà, descritto dalle nozioni di astrazione isolatrice [isolierende Abstraktionen], di esperimento ideale [Gedankenexperiments] e di scio- glimento dell’astrazione [Abstraktionsauflösungen]. Il chiarimento di queste nozioni e di questi principi è l’obiettivo principale dell’analisi che faremo a partire da questo punto.

Per chiarire i principi fondamentali dell’ontologia e per determinare la peculiarità innovatrice del metodo marxiano, Lukács si rifà all’Introduzione del ‘57 in cui la posizione marxiana di fronte a questo complesso di problemi appare solida. L’analisi di questo testo rafforza l’enfasi sull’oggettività, già presente nel testo dei Manoscritti, oltre a mettere in rilievo la peculiarità della nozione di totalità all’interno della riflessione di Marx.
Quando si dice che l’oggettività è una primaria proprietà ontologica di ogni essente, si afferma per conseguenza che l’essente originario è sempre una totalità dinamica, un’unità di complessità e processualità (11).

Il rilievo dato alla totalità – qui definita come un’unità di elementi all’interno di una processualità – comporta l’immediato rifiuto di qualsivoglia identità con la concezione empirista che associa direttamente il raggiungimento della verità alla sperimentazione e all’osservazione della fatticità del mondo. Seguendo le indicazioni marxiane, Lukács afferma che la totalità, che è il punto di partenza di ogni analisi, ha il carattere di un «principio generalissimo» e nella sua im- mediatezza non attribuisce in alcun modo, un’«essenza» e una «costituzione». È la prospettiva assunta da Marx quando inizia l’analisi segnalando come in un modo immediato questa totalità appaia come la popolazione, che costituisce «il reale e il concreto». Si tratta però soltanto di una rappresentazione caotica del tutto, con cui raggiungiamo soltanto delle mere rappresentazioni incapaci di restituire la ricchezza di determinazioni e relazioni che informa l’insieme effettivo dei nessi della realtà in questione (12). Con le parole di Lukács:

Sia che prendiamo la totalità stessa immediatamente data oppure dei suoi complessi parziali, la conoscenza immediatamente diretta della realtà immediatamente data incontra sempre delle mere rappresentazioni. Queste perciò devono essere meglio determinate con l’aiuto di astrazioni isolatrici. L’economia come scienza all’inizio ha imboccato in effetti questa strada; è andata sempre più avanti sulla via della astrazione, finché è nata la vera scienza economica, che parte dagli elementi astratti lentamente conseguiti per «intraprendere di nuovo il viaggio all’indietro» arrivando ancora alla popo- lazione, «ma questa volta non come a una caotica rappresentazione di un insieme, bensì come a una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni» (13).

Con l’economia politica diventa possibile, per la prima volta, mettere in rilievo gli elementi decisivi della sfera economica. Attraverso il lavoro scientifico delle astrazioni – l’astrazione isolatrice – vengono identificati nella realtà del complesso parziale dell’economia elementi semplici, categorie importanti di questa dimensione sociale. Il lavoro scientifico culmina nell’effettuazione del viaggio all’indietro, in cui gli elementi costitutivi di questo complesso parziale sono ricostruiti nel pensiero nelle loro effettive interazioni ed interrelazioni, il che permette al pensiero l’apprensione della reale ricchezza di determinazioni e relazioni che compongono la realtà:

Nel tentativo di determinare a livello generalissimo i principi decisivi della sua costruzione, possiamo dire introduttivamente che si tratta di un vasto processo d’astrazione come punto d’attacco, a partire dal quale, sciogliendo man mano le astrazioni metodologicamente inevitabili, tappa dopo tappa viene aperta la strada che conduce il pensiero a cogliere la totalità nella sua concretezza chiaramente e riccamente articolata (14).

È dunque duplice la via di questi procedimenti: la prima considera la forma ed i criteri che determinano le vie dell’isolamento astrattivo degli elementi costitutivi del complesso; e la seconda considera il modo della ricostruzione nel pensiero degli effettivi nessi interattivi esistenti entro gli elementi del complesso. Sin dall’inizio Lukács mette in rilievo come nell’opera marxiana le categorie del pensiero siano prima di tutto «complessi processuali dell’essere», elementi effettivi dei «complessi totali» messi in risalto dal lavoro dell’isolamento astrattivo. Asserzione valida anche per le cosiddette categorie semplici, ossia gli elementi isolati nel mo- mento iniziale del procedimento analitico. In questo senso, il lavoro d’isolare astrattamente determinati elementi della realtà non è un procedimento che costruisca – come punto di partenza della riflessione – dei semplici concetti o definizioni ipotetiche da sperimentarsi empiricamente. L’aspetto centrale è che «è l’essenza della totalità economica stessa che prescrive la strada da fare per conoscerla» (15).

Senza voler esaurire qui la trattazione della nozione di astrazione isolatrice, osserveremo soltanto che Lukács sostituisce tutto un insieme di espressioni utilizzate da Marx – quali «determinazione più precisa» [nähere Bestimmung], «concetti più semplici» [einfachere Begriffe], «astrazioni più sottili» [dünnere Abstrakta] ecc. (16) – sintetizzando il procedimento d’investigazione per mezzo dell’espressione da lui stesso coniata: astrazione isolatrice [isolierende Ab- straktionen]. Con ciò non si sta semplicemente sottolineando una semplice peculiarità nell’uso di termini distinti, ma s’intende dimostrare come la scelta lukacsiana possa implicare una sop- pressione di momenti importanti della riflessione di Marx circa la procedura del processo d’investigazione.

Infatti, come riconosce Marx, i precursori dell’economia politica realizzarono grandi conqui- ste in questo campo isolando elementi decisivi del complesso dell’economia. Ciononostante, il lavoro di rilevamento degli effettivi nessi delle categorie appare nelle opere di economia poli- tica quasi sempre deformato ed impreciso. E ciò, come accusa Marx, è in gran parte motivato da un ordinamento essenzialmente logico-sillogistico delle categorie dell’economia. Ai fini del nostro discorso non interessa però stabilire o descrivere i motivi dei limiti di questi economisti, ma evidenziare quello che Marx prescrive come il secondo passo necessario del processo di riproduzione ideale della realtà, il cosiddetto «viaggio all’indietro». Si tratta di un percorso che porta dalle semplici astrazioni alla considerazione e apprensione dei nessi effettivi esistenti entro le categorie che compongono la totalità. In altre parole, dopo aver percorso il cammino dal concreto caotico alla determinazione delle categorie semplici, tutto il lavoro dell’astrazione consiste nel fare figurare nel piano dell’ideazione il multiforme groviglio di determinazioni della realtà. Il problema della specificità del metodo in Marx sta fondamentalmente nel modo in cui le categorie sono isolate dall’astrazione e, principalmente, nel modo in cui sono riordinate nel pensiero nelle sue specifiche interazioni, nel compito di scioglimento dell’astrazione.
C’è una chiara distinzione tra il procedimento marxiano e il metodo che comunemente può essere identificato come quello degli economisti politici. Questa differenza consiste nella fu- sione in Marx dei principi della scientificità con i procedimenti astrattivi propri del sapere filosofico:

È dunque della massima importanza mettere in luce con la maggior esattezza possibile, in parte con osservazioni empiriche, in parte con esperimenti ideali astrattivi, il loro modo di funzionare in dipendenza da determinate leggi, cioè capire bene come sono in sé, come entrano in azione nella loro purezza le loro forze interne, quali interrelazioni sorgono fra essi e altri «elementi» quando vengano escluse le interferenze esterne. È chiaro dunque che il metodo dell’economia politica da Marx desi- gnato come «viaggio all’indietro» presuppone una cooperazione permanente fra modo di lavorare storico (genetico) e modo di lavorare astrattivo-sistematizzante, che mette in luce le leggi e le tenden- ze. L’interrelazione organica e perciò feconda di queste due vie della conoscenza è tuttavia possibile soltanto sulla base di una critica ontologica permanente di ogni passo in avanti, e infatti ambedue i metodi mirano da angolature diverse a comprendere i medesimi complessi di realtà. L’elaborazione puramente ideale, quindi, può facilmente scindere quel che sul piano dell’essere forma un tutt’uno e attribuire alle sue parti una falsa autonomia, e ciò può avvenire sia in termini empirico-storicistici che in termini astrattivo-teorici. Soltanto un’ininterrotta e vigile critica ontologica di quanto viene ricono- sciuto come fatto o connessione, come processo o legge, può a questo punto ricostituire nel pensiero la vera intelligenza dei fenomeni (17).

La risoluzione metodologica marxiana consiste in una «sintesi di nuovo tipo», che unisce nel suo procedimento tanto l’esperimento ideale quanto l’osservazione empirica. L’osservazione empirica diverge dalla sperimentazione ideale nella misura in cui si rivolge principalmente al problema della genesi dei complessi. Questa regolazione del procedimento astrattivo- sistematizzante impedisce a quest’ultimo di stabilire delle false connessioni, cioè di ricostruire attraverso criteri meramente logici la totalità, a danno delle effettive connessioni che di fatto costituiscono la realtà. Ciononostante, la semplice osservazione empirica non sarebbe capace per se stessa di stabilire le leggi e tendenze centrali della realtà economica. La molteplicità di determinazioni che costituiscono il groviglio della totalità impedisce di intravvedere queste tendenze e leggi nel modo in cui appaiono, e si rivela così necessario il lavoro di isolare astratta- mente complessi parziali, in modo da farli operare come in stato di purezza, senza interferenze che oscurino l’essenza delle loro relazioni.

Espressa per mezzo di queste determinazioni generali, la riflessione lukacsiana sul metodo di Marx ne mostra la natura indistinta – non è né l’uno né l’altro procedimento, ma tutti e due allo stesso tempo – e difficile da precisare. Un riferimento però all’analisi lukacsiana della forma di esposizione del III Libro del Capitale rende tali considerazioni più chiare. Se osserviamo il corso degli avvenimenti storici, vediamo che le figure del capitale mercantile, monetario e della rendita della terra sono forme delle relazioni economiche precedenti il capitale industriale, che diventa nella società capitalista la figura preponderante. Però, questa fattualità storica, ossia l’ordine di successione storica di queste figure, non conferisce la recta comprensione delle sue funzioni all’interno del processo di produzione. Quindi, l’osservazione empirica, storica in questo caso, per quanto importante, non rivela la vera natura dei nessi di questi complessi parziali nell’effettività della socialità vigente. Esponendo la natura di questo problema, Lukács così si pronuncia:

il capitale commerciale e monetario e la rendita fondiaria altrimenti non potrebbero venir disposti senz’altro nella compagine concreta del complesso dell’economia. La loro genesi storica è la pre- messa per comprenderne teoricamente l’attività attuale nel sistema di una produzione schiettamente sociale, quantunque — o proprio perché — questa deduzione storica non possa spiegare in modo diretto il ruolo da essi definitivamente assunto. Questo dipende infatti dal loro subordinarsi alla produzione industriale, mentre prima che quest’ultima sorgesse avevano condotto a lungo una esistenza autonoma e in tale autonomia, nonostante un certo permanere della loro specificità, avevano adempiuto funzioni economico-sociali del tutto diverse (18).

Le figure del capitale commerciale e monetario sono riconfigurate non appena s’instaura la nuova logica economica della società capitalista. Il capitale industriale, sorgendo come figura soverchiante nel seno di una socialità ormai trascorsa, passa a determinare in modo decisivo e ad imporre un nuovo sviluppo alle figure precedenti. Soltanto per mezzo dell’astrazione isolatrice, che pone al centro della riflessione le categorie decisive della forma vigente della for- mazione sociale, si può individuare con rigore il complesso di tendenze e leggi che modellano, rimodellano e conferiscono nuove funzioni alle categorie preesistenti. Ciò significa che, essenzialmente e nella loro costituzione, questi elementi prima autonomi si trasformano e acquistano nuove connessioni all’interno della totalità; questa ristrutturazione del complesso totale della società li informa in conformità con la necessità e determinazione della figure che s’impongono come quelle preponderanti di questa nuova formazione sociale.

Il carattere di queste determinazioni conferisce alla stessa astrazione un aspetto completa- mente diverso da quello che troviamo nei sistemi economici formati secondo i modelli tipici della già menzionata scientificità borghese. Nel processo d’indagine vengono isolate le carat- teristiche centrali, ontologicamente decisive, che prescrivono in termini più generali le linee direttrici del processo stesso. L’astrazione isolatrice non è per nulla un concetto, inteso come una semplice formulazione ideale all’interno di un sistema che rappresenta dati nessi passibili di essere dimostrati nella realtà. Le categorie sono per Marx «forme di essere, determinazione dell’esistenza». L’astrazione non è una costruzione ideale del pensiero volta alla comprensione della realtà, ma è parte costitutiva della stessa realtà; è apprensione ideale di determinati nessi parziali presenti nell’oggettività, è dunque rappresentazione ideale di qualcosa di effettivamente posto sul piano della realtà, che è attributo dello stesso essere.

Lukács individua gli elementi necessari per dimostrare la sua tesi nel libro II del Capitale, laddove Marx, trattando del problema della riproduzione semplice, si pronuncia circa il procedimento astrattivo realizzato in questo momento della sua riflessione:
La riproduzione semplice su scala invariata appare come un’astrazione in quanto, da un lato, su base capitalistica, l’assenza di ogni accumulazione o riproduzione su scala allargata è un’ipotesi im- probabile, dall’altro, le condizioni nelle quali si produce non rimangono perfettamente invariate (e questo è presupposto) in anni differenti […]. Ma, quando si svolge l’accumulazione, la riproduzione semplice ne costituisce sempre una parte, può essere quindi considerata a sé ed è un fattore reale dell’accumulazione (19).

Gli elementi che confermano la tesi dell’astrazione isolatrice compaiono qui decisamente. In questo momento dell’astrazione analitica, sono posti provvisoriamente di lato gli aspetti quantitativi della relazione discussa, così come determinate funzioni del complesso della riproduzione del processo capitalista. L’astrazione non è, in questo contesto, un costrutto teorico volto alla risoluzione del problema, ossia la creazione di una forma non esistente, meramente figurativa ed opposta all’effettivamente esistente, ma l’isolamento parziale di un complesso di funzioni e dinamiche effettivamente esistenti. L’isolamento è soltanto un momento dell’analisi, qualcosa di provvisorio, tanto che successivamente quegli elementi messi di lato nell’analisi di questo com- plesso parziale sono di nuovo introdotti per pensare la riproduzione nella sua forma ampliata.

 2. Le conseguenze metodologiche dei principi ontologici fondamentali di Marx

 L’esperimento ideale – sintesi dell’osservazione empirica e del procedimento astrattivo- sistematizzante – estrae con le astrazioni i momenti più decisivi del complesso; pensa questi momenti nella loro forma pura, per mezzo delle interrelazioni categoriali direttamente vincolate alla categoria posta come centro della riflessione, senza, tuttavia, perdere di vista la totalità dell’essere sociale. È soltanto per mezzo della percezione essenziale della totalità come un complesso di complessi che diventa possibile comprendere come mai l’esperimento ideale ed anche l’astrazione isolatrice non violentino la realtà creando aspetti parziali autonomi ed indipendenti, ma si fissino nelle interazioni effettive dei complessi parziali e degli elementi che compongono il complesso analizzato. La nozione di complesso di complessi è decisiva nella determinazione del ruolo delle astrazioni nel processo di cattura dell’effettivamente esistente. L’accento ricade sull’avvertenza per cui
ogni «elemento», ogni parte, qui è anche un intero, l’«elemento» è sempre un complesso con proprietà concrete, qualitativamente specifiche, un complesso di forze e rapporti diversi che agiscono insieme.
Tale complessità, però, non elimina il carattere di «elemento»: le categorie autentiche dell’economia sono, proprio nella loro complicata, processuale complessità, effettivamente –ciascuna a suo modo, ciascuna al suo posto – qualcosa di «ultimo», qualcosa che è bensì ulteriormente analizzabile, ma non ulteriormente scomponibile nella realtà (20).

Si deve rilevare qui l’idea della qualità specifica degli elementi introdotta da Lukács. Essa risponde direttamente al problema della determinazione delle categorie ontologicamente cen- trali e decisive del complesso. Il procedimento astrattivo ha bisogno di specificare il tenore e il carattere peculiare delle relazioni categoriali esistenti nella dinamica interattiva del complesso:

«Queste relazioni comprendono però non solo la coordinazione paritetica, ma anche la sopraordinazione (Überordenung) e la subordinazione (Unterordnung)» (21). Le relazioni categoriali non sono dello stesso ordine, rilevanza e grado, nella misura in cui la presenza di date categorie all’interno del complesso può presentarsi nella forma di un presupposto necessario per l’esistenza di altre categorie. Ciò conferisce a questi elementi una posizione di priorità o di anterio- rità ontologica sugli altri. Tali considerazioni ci riportano alla nozione di priorità ontologica, che in termini generali può essere presentata affermando che una data categoria «può esistere senza la seconda, mentre il contrario è ontologicamente impossibile» (22).

Si tratta di una determinazione simile alla tesi materialista secondo cui «l’essere ha una priorità ontologica rispetto alla coscienza» (23), poiché quest’ultima può esistere soltanto fondandosi su qualcosa che è. Ampliando il campo in cui opera questo principio ontologico, Lukács insiste sul fatto che in Marx la relazione tra l’economia e le altre sfere della socialità ha come base l’idea della priorità ontologica delle categorie della produzione e della riproduzione della vita in relazione alle altre funzioni dell’essere sociale. Il marxismo volgare ha capitolato di fronte all’idea del determinismo dell’economia proprio perché non ha percepito la tematizzazione effettuata da Marx intorno alla produzione e riproduzione della vita come priorità ontologica nell’ambito dell’essere sociale. Questa priorità non implica alcun determinismo nei confronti della vita spirituale degli uomini, ma un’anteriorità, un presupposto che fornisce il campo di possibile svolgimento «del mondo delle forme di coscienza» (24).

Lo stesso tema è ripreso nell’analisi svolta da Lukács intorno alla costruzione del Libro III del Capitale. La sua dimostrazione ridimensiona l’ambito e la forma di attuazione del principio della priorità ontologica, quando viene meno il vincolo col problema della relazione della sfera economica con le altre sfere della pratica sociale, ma dimostra come la sopra-ordinazione, la subordinazione e la coordinazione paritetica siano presenti nella relazione della sfera economi- ca con le altre sfere della socialità del capitale costituita:
Solamente nella terza parte il capitale commerciale e monetario (come anche la rendita fondiaria) acquistano un ruolo concreto nella ripartizione del profitto. La priorità ontologica del plusvalore, che domina in assoluto, come abbiamo già visto, anche qui si rivela da ultimo insopprimibile, in quanto esso è l’unico punto in cui sorge nuovo valore; ora però il plusvalore trasformatosi in profitto viene diviso fra tutti i rappresentanti, economicamente necessari anche se non creano nuovo valore, della divisione sociale del lavoro, e l’analisi di questo processo, che, ancora una volta, non possiamo qui esaminare nei particolari, costituisce l’aspetto essenziale della terza parte (25).

La categoria del plusvalore costituisce una priorità ontologica nella misura in cui è il presupposto necessario della categoria dell’interesse, del profitto commerciale, della rendita della terra ecc. Il plusvalore è l’unico valore nuovo. La dinamica delle altre figure del capitale è determinata dalla distribuzione fra le ramificazioni del nuovo valore che sorge a partire dal capitale industriale. Sotto la forma del profitto e del saggio generale di profitto il plusvalore è ripartito fra le distinte figure che compongono la totalità economica del capitale. Queste figure, dunque, esistono nella socialità del capitale sulla base del valore prodotto nella sfera produttiva. La loro autonomia è sempre relativa, dal momento che in questa forma di socialità tali categorie acquistano funzioni e caratteristiche subordinatamente al plusvalore – che è la condizione sine qua non per il loro persistere come istanze operative nella sociabilità del capitale. La priorità ontologica presente all’interno dell’ordinamento societario del capitale non ha dunque una validità universale, ma storica, essendo necessaria soltanto nel contesto di questa socialità e finché questa persisterà.

La priorità ontologica della categorie economiche – valore e plusvalore – si lega direttamente al principio ontologico del momento soverchiante: l’anteriorità che si realizza in questa situa- zione dipende dalla centralità di una categoria che articola i nessi esistenti, di una categoria gerarchicamente decisiva nell’ordinamento e direttrice del complesso in questione. Proprio per questo l’astrazione isolatrice può partire da essa come tappa iniziale dell’esposizione dei nessi effettivi del complesso. Non si tratta di un punto di partenza scelto aleatoriamente, ma di un elemento centrale dell’articolazione dell’effettività:

Questa centralità della categoria del valore è un fatto ontologico, e non un «assioma» che faccia da punto d’avvio a deduzioni puramente teoriche o magari logiche. Tuttavia, una volta riconosciuta, questa fatticità ontologica porta di per sé oltre la propria mera fatticità; la sua analisi teorica mostra immediatamente che essa è il punto focale delle più importanti tendenze di ogni realtà sociale (26).

Il movimento necessario del procedimento astrattivo che va dall’isolamento ideale di una data categoria fino alla costruzione ideale del concreto pensato rivela un’altra dimensione dell’astrazione isolatrice:
l’astrazione, per un verso, non è mai parziale, cioè non viene mai isolata per via astrattiva una parte, un «elemento», ma è l’intero settore dell’economia che si presenta in una proiezione astratta, nella quale, data la provvisoria esclusione ideale di determinati nessi categoriali più ampi, le catego- rie venute così al centro del campo possono dispiegarsi con pienezza e senza interferenze, esibendo la loro legalità interna in forme pure. Tuttavia l’astrazione dell’esperimento ideale, per l’altro verso, rimane in costante contatto con la totalità dell’essere sociale, inclusi i rapporti, le tendenze ecc. non rientranti nell’economia. Questo peculiare, paradossale, di rado compreso metodo dialettico riposa sul già accennato convincimento di Marx che nell’essere sociale l’economico e l’extraeconomico di continuo si convertono l’uno nell’altro, stanno in un’insopprimibile interazione reciproca, da cui però non deriva, come abbiamo mostrato, né uno sviluppo storico privo di leggi e irripetibile, né un dominio meccanico «per legge» dell’economico astratto e puro. Ne deriva invece quella organica unità dell’essere sociale in cui alle rigide leggi dell’economia spetta per l’appunto e solo la funzione di momento soverchiante (27).

 Approfondendo la discussione intorno all’idea della totalità come un complesso di complessi, e determinando la forma della sua realizzazione nell’effettività, sono introdotti qui due lineamenti ontologici importanti: il momento soverchiante – cui si è già accennato sopra – e l’idea dell’interpenetrazione fra la sfera economica e quella extraeconomica [außerökonomischen] (28). Anche quest’ultima contribuisce a giustificare la centralità della categoria del valore, definita come momento soverchiante nella dinamica della produzione e riproduzione della vita sociale.
Tale nozione è chiarita attraverso l’analisi della merce forza-lavoro, da cui, secondo Lukács:
«debba necessariamente derivare la presenza continua di momenti extraeconomici nella realizzazione della legge del valore anche nella compravendita normale di questa merce» (29). La lotta fra il «capitalista collettivo» e «l’operaio collettivo» illustra come momenti extraecono- mici della quotidianità si trovino determinati dalla «necessità dettata dalla legge del valore». Secondo Lukács, questa determinazione è chiaramente presente nel Capitale, particolarmente nell’esposizione della legge del valore, che rimanda in seguito al problema dell’accumulazione originaria. L’accumulazione originaria costituisce il momento in cui è presentata
una secolare catena di atti di forza extraeconomici mediante la quale soltanto hanno potuto essere realmente create quelle condizioni storiche che hanno fatto della forza-lavoro quella merce specifica che costituisce la base delle leggi teoriche dell’economia del capitalismo (30).

L’interpenetrazione dell’economico e dell’extraeconomico è rivelata per esempio dalle for- me violente mediante cui furono impiantate in Inghilterra le basi della società capitalista. Non soltanto tendenze economiche ne determinarono la nascita, ma anche un insieme di misure non direttamente economiche adottato per la sua implementazione. Le leggi dell’economia prescri- vono un insieme di tendenze che si attuano per mezzo di un altro insieme di azioni non direttamente legate a questa sfera. «Questo mutuo compenetrarsi dell’economico e del non-economi- co nell’essere sociale incide a fondo nella stessa dottrina delle categorie [Kategorienlehre]» (31), facendo sì che il principio dell’interpenetrazione fra le due sfere influenzi direttamente la stessa struttura espositiva del Capitale: in un primo momento si tratta di determinare le categorie centrali più generali che operano direttamente nella sfera dell’economia, rivelandone gli elementi più decisivi, così come la struttura generale della dinamica delle categorie del complesso economico. Successivamente si procede alla dissoluzione di questo grado preliminare dell’astrazione, aggregando le effettive interrelazioni che questo complesso possiede con altri complessi operanti anch’essi nella dinamica sociale. La struttura dell’opera che comincia con l’esposizione del più astratto si volge subito alla «totalità concreta»: l’esposizione della forma pura della legge del valore culmina, dopo una serie di mediazioni, nel manoscritto non concluso sulle classi, ossia, aggiunge all’analisi le ripercussioni determinanti che si trovano al di fuori della sfera specifica dell’economia.
Con le parole di Lukács:
vi si pongono sperimentalmente connessioni legali pure, omogenee nella loro astrattezza, e l’azio- ne esercitata su di loro, talvolta fino a superarle, da componenti più ampie, più vicine alla realtà, inserite successivamente, per arrivare infine alla concreta totalità dell’essere sociale (32).

In questo contesto possiamo individuare il principio del momento soverchiante, che qui appare nella determinatezza e delimitazione della categoria decisiva che regola l’interpenetrazione fra le due sfere:
Non per nulla Marx nel Capitale ha studiato come prima categoria, come «elemento» primario, il valore. E in particolare l’ha studiato nel modo in cui esso si presenta nella sua genesi: da un lato questa genesi ci rivela la storia di tutta la realtà economica in un compendio generalissimo, in astratto, ridotta a un solo momento decisivo, dall’altro lato la scelta mostra subito la sua fecondità perché queste categorie, insieme con i rapporti e le relazioni che derivano necessariamente dalla loro esistenza, illuminano appieno quel che di più importante c’è nella struttura dell’essere sociale, la socialità della produzione (33).

La categoria «valore» salda i lineamenti più fondamentali fin qui descritti, e occupa una posi- zione privilegiata fra questi complessi nella misura in cui costituisce l’elemento d’intersezione fra le due sfere della dinamica sociale; è il momento soverchiante poiché questa legge emi- nentemente economica incide direttamente nella sfera non-economica, fondando, per esempio, il campo e la base degli sviluppi della lotta di classi. Queste due determinazioni ontologiche fondamentali giustificano anche il punto di partenza della riflessione marxiana, ossia, l’inizio dall’isolamento astratto di questa categoria, posta al centro della riflessione con l’intento d’illuminarne le tendenze e gli orientamenti più generali.

L’analisi del valore non è, perciò, un’astrazione concettuale che introduca i primi elemen- ti dell’economia sulla base di criteri eminentemente gnoseologici, ma è la pura trattazione, l’esposizione dei nessi più decisivi della sfera economica presi isolatamente, senza l’interferenza di altri elementi costitutivi, che, presi in considerazione in questa tappa iniziale dell’analisi categoriale, oscurerebbero l’autenticità dei nessi che si trovano direttamente avviluppati in essa. Mediante l’isolamento astrattivo si mette in risalto il complesso parziale, così da delineare la sua dinamica ed l’insieme delle sue tendenze nel modo più chiaro e preciso.

Possiamo quindi affermare che tanto il punto di partenza quanto la stessa forma espositiva non sono una scelta aleatoria dell’autore, poiché è l’oggetto stesso ad imporre i passi e le fasi della sua esposizione. La dialettica – termine non a caso poco utilizzato da Lukács nel corso della sua analisi – appare non come scelta o come un’applicazione del metodo posta come riferimento e fondamento all’esposizione di un problema, ma è l’espressione del movimento e della dinamica interattiva ed interrelazionale posta nella realtà stessa, nei più diversificati gradi della sua composizione.

3. Forma di esposizione e struttura del «Capitale»

Lukács percorrerà tutto Il Capitale per dimostrare come la costruzione marxiana esprima gli aspetti essenziali che si sono messi in luce. Marx parte dell’astrazione sui generis, per intraprendere in seguito il cammino di ritorno verso ciò che è determinato più riccamente. In altri termini: se in un primo momento occorre isolare le categorie e i complessi decisivi per mezzo dell’astrazione isolatrice, il passo successivo implica la ricomposizione della totalità nelle sue molteplici articolazioni ed interazioni. Si tratta di un procedimento che implica ciò che il nostro autore denomina scioglimento dell’astrazione, momento che costituisce la consolidazione del processo della conoscenza, apprensione ideale della ricchezza di determinazioni del concreto:

Che, nonostante la totale evidenza realistica, per Marx si tratti comunque di un’astrazione, è di- mostrato dalla struttura complessiva dell’opera stessa. La sua composizione consiste per l’appunto nell’introdurre di continuo nuovi elementi e tendenze ontologici nel mondo originariamente riprodot- to in base a tale astrazione, nel mettere in luce scientificamente le nuove categorie, tendenze, connes- sioni che in tal modo sorgono, finché abbiamo davanti a noi e comprendiamo l’intera economia come centro motore primario dell’essere sociale. Il passo immediatamente successivo che deve essere fatto conduce al processo complessivo stesso, dapprima visto in generale (34).

 Dopo una lunga serie di dimostrazioni sulla natura delle astrazioni e le tappe della loro dissoluzione nel corso dell’opera di Marx, Lukács sintetizza così tutto il percorso marxiano:

Solo l’avvicinamento alla costituzione concreta dell’essere sociale, che gli viene dall’aver compreso il processo di riproduzione nella sua totalità, permette a Marx di sciogliere ulteriormente le astrazioni dell’inizio. Ciò avviene nella teoria del saggio del profitto. Valore e p1usvalore continuano a rimanere le categorie ontologiche fondamentali dell’economia del capitalismo. Al livello di astrazione della prima parte è sufficiente affermare che soltanto la qualità specifica della merce forza-lavoro è in grado di creare nuovo valore, mentre i mezzi di produzione, le materie prime ecc. nel processo lavorativo semplicemente mantengono il loro valore. La concrezione della seconda parte fornisce un’analisi del processo complessivo per molti aspetti ancora sulla stessa base, in quanto come elementi del ciclo figurano il capitale costante e variabile nonché il plusvalore. Qui risulta vero che nel processo com- plessivo – considerato nella sua pura generalità, cioè prescindendo in maniera metodologicamente consapevole dagli atti singoli che nella realtà lo costituiscono – la legge del valore resta in vigore senza cambiamenti. E si tratta di nuovo di una constatazione giusta e importante sul piano ontologico, perché le deviazioni dalla legge del valore nella totalità necessariamente si compensano l’un con l’altra. Con formula semplice si può dire: il consumo (incluso il consumo produttivo della società) non può essere maggiore della produzione. Naturalmente qui si astrae dal commercio con l’estero; ma correttamente, giacché proprio in questo caso è sempre possibile sopprimere senz’altro tale astrazione e studiare le variazioni che in tal modo si verificano nel complesso delle leggi. Va notato di passata che tutta la questione cade, se oggetto immediato delle teorie diviene l’economia mondiale (35).

Nei due primi libri del Capitale le categorie del valore e del plusvalore si trovano fissate dall’astrazione: esse appaiono immobili, come a costituire lo sfondo su cui si svolge la dinamica della realtà economica, ancora pensata attraverso l’isolamento di complessi parziali della to- talità. Anche nel Libro II, che introduce il processo di circolazione, la legge del valore continua ad essere momento ontologicamente prioritario, dal momento che la circolazione non può mai prescindere dal processo della produzione, retto e mosso in base alla produzione del plusvalo- re. In questi due primi momenti dell’esposizione, la legge del valore figura senza prendere in considerazione le deviazioni esistenti nella totalità della realtà economica – per esempio, quelle originate dalla tendenza livellatrice del saggio generale del profitto.

Nel Libro III le astrazioni giungono alla loro completa dissoluzione. Essa consiste per Lu- kács nella considerazione di quegli atti singolari che agiscono direttamente sul complesso di leggi e tendenze vigenti nella realtà economica. Le categorie dell’economia compaiono questa volta nella loro reale e concreta articolazione con le categorie più superficiali, quelle cioè poste sul piano dell’immediatezza, alla superficie dei fenomeni economici. La legge del valore in questa dimensione subisce la determinazione di altre tendenze reali, senza perdere, tuttavia, il carattere di anello centrale, che articola in modo decisivo – in quanto momento soverchiante – la dinamica della totalità. Nel complesso totale dell’economia questi momenti specifici della sfera economica – le leggi tendenziali prese nel loro «per sé» e gli atti singolari – si trovano in mutua determinazione. Non si tratta di semplici epifenomeni o riflessi passivi di una legge perenne, rigida ed irrevocabile, ma di fenomeni che incidono sulle leggi tendenziali alterando il modo con cui queste si realizzano nell’effettività economica. In altri termini, la legge originaria che dà corso alla possibilità di altre leggi e dinamiche – ugualmente importanti – subisce l’influsso diretto di quello che, nella scala di successione degli atti, è posto come istante secondario. La legge del valore determina, resta determinante, però è a sua volta determinata, sormontata e ridimensionata da un insieme di elementi che si fondano su di essa e sono da essa riconfigurati – in questo caso gli atti singolari degli individui, che la realizzano e la trasformano nelle loro attività quotidiane. È in questo senso che si deve comprendere l’affermazione secondo cui l’«economia [è] il centro motore primario dell’essere sociale».

Questo rilievo decisivo, accresciuto dall’analisi lukacsiana dei principi fondamentali del pensiero di Marx, fornisce indizi pertinenti per la confutazione critica della rotta seguita dalla filosofia e dalla scienza negli ultimi quattro secoli, e rende inoltre possibile la confutazione delle deviazioni del marxismo. Buona parte delle discussioni predominanti all’interno del marxismo vanno proprio in direzione contraria alle riflessioni di Lukács che abbiamo esposto qui. Basti insistere ancora sulle nozioni di momento soverchiante e priorità ontologica, da non confondersi affatto con l’idea di un determinismo dell’economia sulle altre sfere. La produzione non determina immediatamente ed unilateralmente tutto il complesso di sviluppi della totalità sociale. Essa opera soltanto – e questo non è poco – come base insopprimibile sulla quale è posto il complesso delle altre determinazioni, ugualmente esistenti ed operanti nella socialità – è in questo senso che la produzione possiede una priorità ed una preponderanza su oltre sfere. La sfera dell’economia concede e prescrive il campo di possibili realizzazioni alla dinamica sociale, delimita il territorio delle attuazioni umane. Non c’è una direzione cieca e univoca dettata dalla sfera economica, nella misura in cui questa interagisce inseparabilmente con le altre istanze della società. L’errore sta allora nel considerare questa relazione o come un’identità immediata, riducendo così tutto l’insieme delle determinazioni sociali al bisogno economico – attitudine tipica del marxismo volgare, dalla II Internazionale fino a Stalin –, oppure come opposizione esclusiva, eliminando qualsiasi nesso interattivo fra la dimensione economica e le altre.

Nell’opera marxiana troviamo indicazioni importanti a conferma di ciò. Anche se Marx non ha mai scritto un testo specifico su tali questioni, nell’insieme della sua opera possiamo trovare passi che avvalorano i principi ontologici rivelati da Lukács. In un arco che va dal periodo della Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico fino agli ultimi scritti economici, questi indizi si fanno presenti nella forma di lineamenti intorno alle categorie dell’essere sociale operanti come lineamenti fondamentali del modo d’indagine marxiano. Abbiamo visto, per esempio, nei Manoscritti economici-filosofici del ‘44, una costatazione enfatica che sostiene la linea di ragionamento messa in luce da Lukács, e cioè che «un essere non oggettivo è un non-essere», dando con ciò rilievo al carattere sensibile e relazionale di tutto l’essere. È una prospettiva in gran parte riaffermata nelle sue opere posteriori, quando nei Rohenwurf (1857-1858) afferma che le categorie sono «determinazione dell’esistenza, forme d’essere»n (36). O ancora nelle Glosse marginali al «Manuale di economia politica» di Adolph Wagner (1880):

io non parto da «concetti» […]. Ciò da cui parto è la forma sociale più semplice in cui si presenta il prodotto del lavoro nell’attuale società, il prodotto in quanto ‘merce’. Io analizzo la merce […] nella forma in cui essa appare (37).

Qui Marx respinge l’idea di aver lavorato con concetti a priori,  che regolino l’indagine dell’oggetto in questione. Anche qui le determinazioni dell’essere attuano come criteri per la fondazione della conoscenza.
I principi messi in evidenza, sulla base dei testi marxiani, forniscono, dunque, validi argomenti per una critica radicale delle tendenze filosofiche ancora predominanti nel nostro secolo. L’orientamento promosso dal pensiero marxiano va ben al di là della semplice ipotesi politica rivoluzionaria, o il mero dibattito sul metodo della conoscenza, poiché il centro della sua riflessione è sempre il problema dell’essere e del destino umano. Proprio per questo l’opera marxiana non è una semplice opera di scienza economica, ma un’ontologia dell’essere sociale con tutta la complessità che questa comporta.

 

[Traduzione italiana dell’autore, rivista da Marco Vanzulli]

 

 

Note

1       G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale, a cura di A. Scarponi, Roma, Editori Riuniti, 1976, I, p. 3.

2       G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale, tr. it. di A. Scarponi, Milano, Guerini e Asso- ciati, 1990, p. 3.

3       G. Lukács, Die ontologischen Grundlagen des menschlichen Denkens und Handelns, in R. Dannemann e F. Benseler (hrsg.), Objektive Möglichkeit: Beiträge zu Georg Lukács «Zur Ontologie des gesellschaftli- chen Seins», Opladen, Westdt. Verl., 1995, p. 31.

4       A. Scarponi, Prefazione a Per l’ontologia dell’essere sociale cit., p. XII.

5       G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 302.

6       W. Abendroth, H.H. Holz e L. Kofler, Conversando com Lukács, Rio de Janeiro, Paz e Terra, 1969, p. 15.

7       G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 283.

8       Ibidem.

9       K. Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEGA I, 2, Berlin, Dietz Verlag, 1982, pp. 408-409, tr. it di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1968, p. 173.

10     G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 284.

11     Ibidem.

12     Cfr. K. Marx, Introduzione ai «Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica», in K. Marx – F. Engels, Opere XXIX. Scritti economici di Karl Marx. Luglio 1857 – febbraio 1858, a cura di N. Merker, Roma, Editori Riuniti, 1986, pp. 33-34.

13     G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 285.

14     Ivi, I, p. 289.

15     Ibidem.

16     «Se dunque incominciassi con la popolazione, avrei un’immagine caotica dell’insieme, e attraverso una determinazione più precisa perverrei sempre più, analiticamente, a concetti più semplici; dal concreto immaginato ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici» (K. Marx, Introduzione ai «Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica» cit., pp. 33-34).

17     G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, pp. 286-287.

18     Ivi, I, p. 310.

19     K. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie, Buch II, in Werke, Berlin, Dietz Verlag, Band 24,1963, pp. 393-394, tr. it. di D. Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1993, Libro II, pp. 413-414.

20     G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 287.

21     Ibidem. Abbiamo corretto la traduzione, citando direttamente dal testo tedesco (G. Lukács, Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins, Neuwied und Berlin, Luchterhand,1986, p. 582), dal momento che qui il traduttore italiano modifica drasticamente il testo di Lukács sopprimendo il termine Überordenung. Pur riconoscendo la difficoltà di trasporlo in italiano, data l’assenza di un corrispondente diretto, questa sop- pressione diviene problematica nella misura in cui la nozione di sopra-ordinazione (si tratta di un nostro neologismo) è per Lukács un elemento decisivo, poiché corrisponde direttamente alle nozioni di priorità ontologica e di momento soverchiante.

22     G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 288.

23     Ibidem.

24     Ibidem.

25     Ivi, I, p. 309.

26     Ivi, I, p. 294.

27     Ivi, I, p. 290.

28     Non si tratta di un termine coniato da Lukács, ma è preso dall’opera marxiana: lo si trova, ad esempio, nel III Libro del Capitale, cfr. K. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie, Buch III, in Werke, Berlin, Dietz Verlag, Band 25, 1983, p. 799, tr. it. cit., Libro III, p. 902.

29     G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 291.

30     Ivi, I, p. 292.

31     Ivi, I, p. 291.

32     Ivi, I, p. 292.

33     Ivi, I, p. 293.

34     Ivi, I, pp. 302-303.

35     Ivi, I, pp. 306-307.

36     K. Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, Berlin, Dietz Verlag, 1953, p. 26, tr. it. di E. Grillo, Firenze, La Nuova Italia, 1968, I, p. 32.

37     K. Marx, Randglossen zu Adolph Wagners «Lehrbuch der politischen Ökonomie», in K. Marx – F. Engels, Werke, Berlin, Dietz Verlag, Band 19, 1973, pp. 368-369, tr. it. in K. Marx, Scritti inediti di economia politica, tr. it. di M. Tronti, Roma, Editori Riuniti, 1963, p. 175.