L’alienazione nell’Ontologia di Lukács. Etica materialistica al di qua di fede e religione

di

CLAUDIUS VELLAY

S’intende qui fornire una sintesi per sommi capi del concetto di alienazione nell’Ontologia dell’essere sociale di Lukács, con particolare riguardo alla religione come archetipo di ogni manifestazione di alienazione ideologicamente mediata. L’argomento non può essere trattato in modo completo ed esaustivo, dal momento che l’impianto complessivo dell’ontologia di Lukács deve al tempo stesso essere presentato come un progetto di rinnovamento del marxismo in cui si inquadra la comprensione di Lukács dei fenomeni di alienazione, religione e fede. La specificità dell’approccio ontologico di Lukács viene qui chiarita prendendo le distanze da altri tentativi di rinnovamento del marxismo.

1. Progetto di un’ etica materialistica

È bene ricordare sin dall’inizio che l’Ontologia dell’essere sociale di Lukács fu concepita come premessa ad un’etica materialistica e che egli vedeva in essa il suo più importante contributo al rinnovamento, già allora ritenuto irrinunciabile, del marxismo (1). In realtà Lukács intendeva fare seguire alla cosiddetta «grande» Estetica (2)  un’etica materialistica, cioè una filosofia dei valori umani e delle norme su base materialistica. Si tratta di un progetto ambizioso: far derivare da ciò che è, o, più esattamente, da come ciò è diventato, ciò che deve divenire. Lukács respinge in tal modo approcci volti a fondare il comportamento etico o su un potere tra- scendente (divino) o su una componente soggettivo-intuitiva o emotivo-sentimentale. A simili approcci contrappone la propria concezione, secondo cui l’etica è da un punto di vista storico evoluzionistico un prodotto di auto-creazione umana. Dall’intenzione di dimostrare ciò è nata l’Ontologia dell’essere sociale: Lukács si avvide infatti in corso d’opera che un’etica materia- listica esige un fondamento ontologico (3).

2. La struttura dell’«Ontologia»

L’ontologia di Lukács si rifà criticamente alla «philosophia ultima» (4) di Nicolai Hartmann, ed è il progetto di una dottrina completa delle categorie, che riconosce nella struttura dell’essere tre sfere: l’inorganica, l’organica e quella dell’essere sociale (5). Anche se il progetto di Lukács consisteva nell’elaborazione di un’ontologia sociale finalizzata ad un’etica materialistica, tut- tavia risultò necessaria una trattazione, sia pure solo per sommi capi, di tutte le sfere dell’es- sere (compresa la dialettica naturale), anche solo per la comprensione del loro nesso (oggi per esempio particolarmente evidente, se si pensa alla questione ecologica) ed in particolare della derivazione storico-evoluzionistica (6).

Qui Lukács mira «solo» all’elaborazione di quell’ontologia già implicitamente e sostanzialmente presente in Marx, compresa l’ontologia naturale materialistica, la storicità, la processua- lità, la contradditorietà dialettica ecc., e intende definire in generale le possibilità e le condizioni dell’agire umano per far discendere da ciò quelle dell’emancipazione umana (7). Il marxismo viene qui inteso non solo come analisi (economica) del capitalismo e anche non solo come imperativo categorico, dedotto dalla critica della religione, a «rovesciare tutti i rapporti  nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole» (8), ma anche come ampia concezione del mondo, cioè come un sistema capace di spiegare il mondo da un punto di vista storico e filosofico, fondando su base materialistica il grande progetto dell’umanesimo borghese di liberare ed emancipare l’umanità.

Nicolas Tertulian sostiene che proprio per questa ambizione a costruire un sistema storico e filosofico l’opera della maturità di Lukács viene del tutto ignorata o rifiutata (9), per esempio dai rappresentanti della Scuola di Francoforte, come Habermas (10) o anche dagli ex discepoli di Lukács, rivoltisi al postmoderno, come Ferenc Fehér, Agnes Heller, György Márkus, Mihály Vajda (11). La loro critica si può riassumere nella loro convinzione che il tempo delle utopie e delle «grandi narrazioni» nella tradizione del materialismo storico ormai sia passato (12), esattamente nel senso della «fine della storia», più tardi postulata da Fukuyama (13). A prescindere dal fatto che perfino il crollo del progetto socialista, avvenuto nel 1989, non ha significato affatto la fine delle lotte sociali (cosa che avrebbe fatto del capitalismo l’ultimo stadio dello sviluppo umano (14), Lukács avrebbe sicuramente risposto ai suoi critici che la rinuncia ad una concezione del mondo integrata e razionale avrebbe spalancato le porte all’irrazionalismo o alla «ragione impura».

La «svolta ontologica» nel marxismo (15), avviata da Lukács si propone in particolare di ridare il giusto spazio al soggettivo e all’individuo, assegnando ad essi il posto che loro compete. Nel primo volume dell’Ontologia dell’essere sociale, enunciando la sua dottrina delle categorie, Lukács si occupa principalmente di collegare l’ontologia sociale con una generale ontologia naturale (il loro interfaccia è dato rispettivamente dalle categorie centrali della teleologia e della causalità; come risulta soprattutto dalle argomentazioni dei Prolegomeni) e di derivarne storicamente e filosoficamente un’ontologia materialistica (prendendo le distanze dalla filoso- fia dominata dalla logica e dalla gnoseologia, con la necessità come categoria centrale, e por- tando invece a compimento l’ontologia di Hartmann e Hegel sino a quella di Marx, con l’essere come categoria centrale). Nel secondo volume sono messe a tema questioni findamentali a partire dal lavoro, inteso «come fenomeno originario, come modello dell’essere sociale» (16), passando per la riproduzione sino a giungere all’ideologia e a sfociare infine – come «punto cruciale» (17)  – nel capitolo sull’alienazione. E a tal proposito Lukács sostiene come l’aliena- zione religiosa sia l’archetipo di qualsivoglia fenomeno di alienazione mediato in prevalenza dall’ideologia (18).

Tre esempi di discussioni controverse sul concetto di alienazione

Il concetto di alienazione nella discussione marxista non è affatto incontestato. Per rendersene conto basti indicare qui di seguito solo tre linee di discussione. In primo luogo, il totale rifiuto del concetto di alienazione nella tradizione dell’anti-umanesimo e dell’antistoricismo teorici di Althusser (19)  (una ripresa del rifiuto strutturalista dell’alienazione si trova in Michael Heinrich (20) e, in forma più smorzata, secondo cui l’alienazione sarebbe una nozione confusa, «al quale non si dovrebbe prestar fede» nel Dictionnaire critique du marxisme (21). In secondo luogo la riduzione dei fenomeni di alienazione a situazioni pre-socialiste nei paesi del socialismo reale (22) e in terzo luogo la linea tradizionale del «marxismo occidentale», che vede nell’autorevole opera giovanile di Lukács, Storia e coscienza di classe, uno dei suoi documenti costitutivi (23). Ci si riferisce soprattutto ai rappresentanti della Scuola di Francoforte, come Habermas, o dell’esistenzialismo, come per esempio Sartre (24). Se nelle prime due interpretazioni del concetto di alienazione si tratta di un’emarginazione dei fenomeni di alienazione, l’ultima, al contrario, si distingue per il suo sovradimensionamento: l’alienazione acquista una superiore valenza, sino a divenire eterna «condition humaine».

Il concetto di alienazione: da Hegel al giovane Lukács

È vero che il Lukács maturo evidenzia l’«importanza decisiva» della sua opera giovanile Storia e coscienza di classe proprio riferendosi alla categoria dell’alienazione, che «per la prima volta dopo Marx è trattata come questione centrale della critica rivoluzionaria al capitalismo» (25).
Tuttavia in quello scritto il significato di alienazione rimarrebbe idealistico, «proprio nello spirito hegeliano», perché a costituirne il «fondamento filosofico ultimo» sarebbe «la realizzazione di un identico soggetto-oggetto» del proletariato «nel processo storico». Questa «costruzione puramente metafisica» dell’identico soggetto-oggetto significherebbe «essere più hegeliano dello stesso Hegel» ed intende di fatto «superare il maestro stesso in quanto ad audacia nell’innalzare il pensiero al di sopra di ogni realtà» (26).

In Hegel il processo di alienazione nella storia dello svolgimento dell’umanità è la sua esteriorizzazione (Entäußerung) nell’oggettivazione (Vergegenständlichung) e l’oltrepassamento (Aufhebung) dell’alienazione avviene mediante l’identità soggetto-oggetto nella religione (nella rappresentazione) e nella filosofia (nel concetto (27). Per il giovane Lukács il superamento dell’alienazione avveniva, invece, mediante l’unità – fittizia, come dirà a ragione il Lukács maturo – di soggetto ed oggetto nel partito e nella rivoluzione. Fittizia da un lato perché nel mondo reale – a differenza del mondo idealistico dello spirito assoluto di Hegel – tale unità non può esistere, o nel migliore dei casi può esistere una fusione solo metaforica tra soggetto ed oggetto, e d’altro lato perché non è possibile eliminare del tutto dalla faccia della terra un’alienazione che avviene di pari passo con l’oggettivazione, a meno che non si elimini l’uomo stesso. In particolare questo «errore grossolano e fondamentale» dell’identificazione tra alienazione ed oggettivazione «avrebbe sicuramente contribuito molto al successo» della sua famosa opera giovanile (28), come disse Lukács stesso nella sua premessa del 1967, in larga misura ignorata, alla lungamente rinviata nuova edizione di Storia e coscienza di classe.

Guardando indietro, Lukács giudica l’opera come espressione dei suoi «anni di apprendistato del marxismo» (29), nei quali era rimasto legato alla tradizione dell’idealismo, dal momento che l’analisi di fenomeni economico-sociali non aveva ancora riconosciuto nel lavoro il suo punto di partenza (30). La completa adesione di Lukács al materialismo si compie solo all’inizio degli anni Trenta, durante il suo soggiorno a Mosca presso l’Istituto Marx-Engels, sotto «l’impressione sconvolgente» – Lukács parla addirittura di uno «shock» (31) –, che avevano esercitato su di lui i Manoscritti economico-filosofici del 1844, riscoperti e a quell’epoca quasi del tutto decifrati. Questa nuova lettura di Marx fece crollare «tutti i pregiudizi idealistici» (32) di Storia e coscienza di classe e diede l’avvio al suo interesse per l’ontologia, che sfociò più di trent’anni dopo nel suo capolavoro filosofico, l’ Ontologia dell’essere sociale.

Oggettivazione ed alienazione

Soprattutto l’idea marxiana dell’«oggettività come proprietà materiale primaria di tutte le cose e le relazioni» (33) e dell’oggettivazione, della produzione oggettiva, come «modo naturale all’uomo di assimilare il mondo» (34)  scossero i fondamenti teoretici di Storia e coscienza di classe. Dunque, mentre l’oggettivazione appartiene inscindibilmente all’uomo e per tale motivo può ben essere considerata un’«eterna» condizione umana, l’alienazione costituisce «una particolare anomalia» (35), che il Lukács maturo analizza (rifacendosi a Marx) sia come fenomeno che si manifesta storicamente ad un determinato livello della divisione del lavoro (36), sia come fenomeno superabile in linea di principio dall’uomo stesso e collegato a determinate condizioni storico-sociali.

Rappresentanti della Scuola di Francoforte, Sartre e altri esistenzialisti tendono a considerare l’alienazione come condizione umana permanente, come oscura «condition humaine» (37), che (nel migliore dei casi) è bene sottoporre ad una continua critica ideologica (38). In questo atteggiamento Lukács vede la prosecuzione della posizione degli hegeliani di sinistra degli anni ʼ40 dell’Ottocento, già criticati da Marx, secondo la quale conoscenza, analisi, smascheramento ecc., riferiti all’alienazione, coincidevano con l’oltrepassamento della medesima, mentre ciò che era veramente necessario era il suo superamento pratico (39). Per Lukács si ripete lo stesso canone della «supremazia della teoria pura» nel XX secolo, riguardo a concetti come «esser- gettato, deideologizzazione, provocazione, happening ecc.» (40).

Prendendo le distanze da tali concezioni, legate a sintomi di superficialità, Lukács insiste sulla critica del capitalismo da parte di Marx e sulla sua prospettiva di liberazione universale dell’uma- nità. Il marxismo non si limita a fornire una profonda analisi delle cause sociali dello sfruttamento e dell’oppressione, ma mira anche al superamento dell’alienazione mediante l’emancipazione della personalità umana sotto ogni possibile aspetto: il comunismo, inteso come vero inizio della storia dell’umanità, viene proclamato nel Manifesto del Partito comunista come una società, «in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti» (41).

Dalla critica della religione alla critica dei rapporti alienanti

 Per Marx ogni critica parte dalla critica della religione, e ciò non solo concependo la religione come una «dichiarazione» di cosa non compresa, che attiva una sorta di corto circuito, come il fulmine, la morte ecc. – questo è l’orientamento prevalente della tradizione materialistica sin dall’antichità –, bensì criticandola come sostituzione per una mancata autorealizzazione: gli uomini si rifugiano in una forma fantastica di autorealizzazione, dal momento che le condizio- ni esistenti non consentono una vera autorealizzazione (42). Lukács mostra come Marx superi la critica di Feuerbach, secondo la quale sarebbe l’uomo a creare la religione e non viceversa Dio a creare l’uomo: la critica dell’alienazione religiosa come «coscienza capovolta del mondo» dev’essere integrata dalla critica dei rapporti sociali capovolti. La vera autorealizzazione è pos- sibile solo superando il limite della modernità capitalistica. Il punto di riferimento ontologico di questa modernità non è il «citoyen» idealistico, ma l’autentico «homme» sociale, l’uomo borghese egoista: l’altro, la società, l’ente generico, non rappresenta una possibilità di autorea- lizzazione, bensì è limite, ostacolo e concorrente (43).

Marx vede nell’atteggiamento astorico di Feuerbach (44) il fattore principale della sua impossibilità di riconoscere le condizioni sociali del superamento dell’alienazione in generale e di quella religiosa in particolare. Per Marx solo l’esperienza pratica dell’essere umano nel co- munismo renderà infine superfluo l’interrogativo teorico riguardante l’essere nell’aldilà. Per lui riconoscere la storia dell’uomo come autocreazione mediante il lavoro rappresenta la base teorica per l’oltrepassamento della religione. Marx non ha mai dichiarato la religione come nemico capitale da abbattere mediante una battaglia anti-religiosa (45). Invece di superarla, l’ateismo borghese resta ancora imprigionato nella sfera d’influenza dell’alienazione religiosa, come ultimo «stadio del teismo, del riconoscimento negativo di Dio» (46).

Il concetto di alienazione di Lukács

Lukács fa proprio l’approccio rigorosamente storico di Marx a tutti i fenomeni reali. Più volte egli ricorda la massima di Marx, secondo cui in fondo c’è un’unica scienza, la storia (47) ed è possibile comprendere un fenomeno, soprattutto se di natura sociale, solo a condizione che se ne capiscano la genesi e il modo in cui esso si è evoluto (48). Tale approccio storicizzante influenza anche il concetto lukacsiano di alienazione. Il carattere processuale dell’essere sociale si manifesta chiaramente quando Lukács descrive l’alienazione come contraddizione fra il mol- tiplicarsi delle qualità e delle capacità ed il loro confluire nell’unità sintetica della personalità (49). Sebbene Lukács già parli per esempio di specialisti, chiamati a lavorare in squadra, «le cui raffinate e coltivate abilità specialistiche sono al massimo grado distruttive per la personalità» (50), questo fenomeno si osserva oggi ben più frequentemente che non quarant’anni fa. Mentre la velocità di acquisizione di nuove abilità, oggi, nell’epoca dei computer, così come i tempi di attesa necessari a raggiungere il dominio tecnico dell’ambiente da parte di ciascun singolo (51) si dilatano enormemente, la capacità di conferire un senso etico, legato a prospettive politico- sociali adeguate, nella migliore delle ipotesi ristagna.

È proprio la dimensione rigorosamente storico-dinamica del concetto di alienazione di Lukács a vanificare l’obiezione comune, secondo la quale l’alienazione va intesa come allontana- mento da un essere metafisico di sostanza immutabile e sempre presupposto come già noto (52). Punto di riferimento di tale modo di concepire l’alienazione sarebbe una natura già innata nel (singolo) uomo o un’immagine dell’uomo ben consolidata e definitiva (53). Ma quest’immagine fissa e definitiva dell’uomo Lukács l’avrebbe sicuramente respinta come reificazione, come fe- ticismo, tendente a cristallizzare l’evoluzione essenzialmente dinamica dell’uomo come essere sociale e avrebbe anche respinto un’osservazione dell’individuo che tenda ad isolarlo dal contesto sociale. Nella sua dottrina completa delle categorie egli non tratta né di essere e divenire, né di genere ed esemplare come coppie di concetti logicamente opposti, bensì come espressioni concettuali di determinazioni dell’essere universali e realmente coesistenti (54).

Perciò anche i fenomeni di alienazione, la specificità del genere umano e la personalità sono per Lukács prodotti dell’evoluzione della società umana e continuano costantemente ad evol- versi con essa. Da un lato, egli nega dunque un’idea di progresso ingenuamente meccanicistica che idolatra il continuo sviluppo tecnico delle forze di produzione come criterio unico ed esclu- sivo di progresso, e che, ciò facendo, perde di vista e minaccia di distruggere le basi naturali ed irrinunciabili dell’uomo (55). Dall’altro lato adduce argomenti anche contro un’idealizzazione romantica di presunte antiche età dell’oro, pur riconoscendo spesso ai sostenitori di tali argomentazioni una critica lucidissima e pungente dei moderni fenomeni di alienazione (56).

Così alla progressiva evoluzione della società si accompagna di pari passo un crescente grado di alienazione, per lo più sotto la forma, relativamente moderna, dell’auto-alienazione (57): pensiamo solo al fenomeno della motivazione, in ampia misura interiore, e dell’autonomia di governo del processo lavorativo, per esempio di ingegneri, che proprio per questo sono portati ad esigere un maggior grado di sfruttamento. Il maggior grado di sfruttamento è di fatto l’espressione economica di una maggiore auto-alienazione. E questa è tanto più grave, quanto più l’ingegnere in questione è convinto del fatto che l’incremento di produttività, da lui stesso indotto, serva veramente alla propria auto-realizzazione individuale (58). Ideologi neo-liberali del potere, come Richard Florida, millantano il fatto che classi sociali, come quella a cui si è fatto cenno, siano «classi creative» egemoniche (59). All’aumento del livello di auto-alienazione nel segmento più alto dei dipendenti salariati si accompagna la diffusione di forme di alienazione primitive, che si ritenevano in parte ormai superate, nel segmento più basso del lavoro salariato precario (60). Entrambe le suddette evoluzioni in controtendenza, che del resto costituiscono un esempio attuale della tesi dell’ineguaglianza tipica dei processi storico-sociali (61), servono alla fin fine entrambe ad incrementare il grado di sfruttamento.

Non esiste necessità assoluta, ma solo condizionata

L’idea di progresso di Lukács è orientata a vedere nel massimo dispiegamento della personalità individuale l’orizzonte dello sviluppo sociale. Però non è lecito supporre che la tendenza storica ad una sempre maggiore evoluzione dell’essere umano risponda ad una qualche garanzia, di qualunque tipo essa possa essere o addirittura ad una necessità intrinseca. Per Lukács il materialismo meccanicistico della necessità assoluta dell’epoca staliniana, così come anche quello della Seconda Internazionale, costituiscono una forma di reificazione irrigidita del marxismo, che di fatto diventa causa essenziale del suo (momentaneo) declino (62). Per Marx non esi- steva una necessità assoluta, bensì solo una necessità condizionata: «se…allora» (63), e ad esistere era sempre e solo il pensiero in posto all’interno di alternative possibili. A questo proposito Lukács ricorda (64) il passo del Manifesto del Partito Comunista, in cui si dice che la lotta di classe finisce sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta (65). Così, è pur vero che per Lukács un vero futuro per l’umanità esiste solo in una società comunista, ma questa possibile prospettiva di sviluppo non contiene alcun automatismo, alcuna forza, capace di garantirne in maniera certa il successo (66).
In questo senso Lukács rifiutò già molto prima del 1989 la formula, recitata a mo’ di litania, di un «impossibile ritorno alla vittoria del socialismo». Un’analisi ontologica illuminata della realtà può, secondo Lukács, osservare di fatto solo fenomeni di legalità condizionata, dal momento che per lui le necessità assolute appartengono ad un modo di vedere del tutto reificante (67).

Religioni della necessità trascendente e immanente

Mentre l’ontologia filosofico-scientifica analizza la realtà oggettiva, per scoprire quale sia il reale margine d’azione della prassi (a partire dal lavoro sino all’etica), l’ontologia religiosa tradizionale parte da tentativi volti a conferire un senso alla vita (quotidiana) del singolo e co- struisce un’immagine del mondo che promette la soddisfazione del bisogno religioso (68). Nelle religioni il destino dell’anima e, dunque, di ciò che è più essenziale alla personalità particolare ed individuale, viene ineluttabilmente determinato da poteri trascendenti e viene garantita per l’eternità la realizzazione dell’uomo nell’aldilà. Il panteismo rinascimentale, definito da Lukács filosofia di transizione, certo fece sparire il dio trascendente dall’ontologia, o per lo meno lo fece sbiadire al punto di trasformarsi in qualcosa di totalmente inconsistente (69), tuttavia sostituì ad esso un’immagine del mondo del Deus sive natura (Spinoza), che sostituisce la destinazione divina del mondo con un’analoga autodeterminazione, che si realizza per necessità (assoluta (70).

La nuova filosofia offriva in questo modo copertura ed appoggio alla borghesia in piena ascesa che dichiarava di volersi impadronire del potere, conferendo una consacrazione ideologica al concetto di (ineludibile) progresso (71).

Il concetto della specificità del genere umano in Lukács

Il concetto di alienazione in Lukács si può anche descrivere come contraddizione tra il livello di sviluppo della «specificità del genere umano in sé» e la restante realizzazione della «specificità del genere umano per sé» (72). Egli distingue nell’ente generico tra il livello dell’insieme dei rapporti sociali di volta in volta raggiunto – il quale corrisponde al livello raggiunto in quel momento dalla produttività, alle assegnazioni di funzione ad esso correlate, oltre che al livello di prestazioni richieste agli individui – ed una prospettiva di maggiore evoluzione della personalità umana, insita nella dinamica dello sviluppo, anche se per niente automatica, all’interno di una società essa stessa in evoluzione. Lukács chiama il livello raggiunto in un determinato momento «specificità del genere umano in sé», mentre nella «specificità del genere umano per sé» compare la prospettiva di emancipazione dell’individuo, la quale in ultima analisi si può realizzare pienamente solo nel comunismo (73).

Ad ogni livello evolutivo della società gli uomini in un primo momento sono vincolati al loro ruolo particolare, alla loro funzione nell’ambito della «specificità del genere umano in sé». Al tempo stesso la «specificità del genere umano in sé» di volta in volta raggiunta apre un orizzonte di possibilità di iniziative concrete, volte a realizzare la «specificità del genere umano per sé» (74). Così, ad esempio, l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione è solo la prima e generica base del comunismo, cioè essa si muove ancora nell’ambito della «specificità del genere umano in sé». Ma, al di là di questa, esistono forme di chiara espressione della personalità, che mirano alla «specificità del genere umano per sé» e al superamento dell’alienazione, capaci di stabilire una relazione concreta e consapevole con il genere umano nel suo complesso (75).

L’orientamento ideologico ad un perfezionamento il più possibile completo della personalità, che lega consapevolmente il destino personale a quello dell’intero genere umano, cioè l’orien- tamento alla «specificità del genere umano per sé», secondo Lukács, è testimoniato anche dall’efficacia e dal fascino, capaci in alcuni casi di durare per interi millenni, che eminenti per- sonaggi storici esercitano sulle generazioni successive (76). Come esempi di tali personalità egli nomina tra gli altri Socrate, la leggendaria figura di Antigone oppure anche Gesù. A proposito di quest’ultimo, la tradizionale critica marxista alla religione presenterebbe una lacuna, perché si limiterebbe ad analizzare il messaggio cristiano solo sotto l’aspetto della famosa critica della religione come oppio dei popoli (77).
Tale tolleranza e disponibilità al compromesso sbaglia per difetto e misconosce il messaggio profondamente umano ed umanistico che il cristianesimo offrirebbe, orientando la profonda aspirazione alla perfezione degli individui verso l’intera umanità e indirizzandola così alla vera «specificità del genere umano per sé». Il marxista francese Lucien Sève sottolinea il fatto che già per l’ateismo premarxista il grande enigma consisteva proprio nella vitalità della religione: come è possibile, egli si domandava, che un fenomeno solo negativo, una semplice illusione della coscienza, possa dispiegare un effetto così enorme sulla storia? (78) Marx spiegò con la sua teoria dell’alienazione economica, intesa come matrice storica dell’alienazione in generale, compresa quella religiosa, non solo la sua nascita, ma soprattutto il suo vero contenuto, che consisterebbe nella protesta (alienata) contro la vera alienazione (79).

La religione tiene gli uomini prigionieri del loro particolare

Purtroppo, secondo Lukács, il contenuto sociale del messaggio cristiano, come per esempio le speranze sociali delle classi più deboli dei primordi del cristianesimo in una redistribuzione delle ricchezze della terra che avvenisse nell’al di qua – collegato all’idea della parusia – verrebbe del tutto vanificato dalla promessa della redenzione nell’aldilà. Tali speranze fiori- rono per esempio in seguito all’esortazione a cacciare i mercanti dal tempio e giustificarono l’estendersi dell’adesione al cristianesimo delle prime sette cristiane, formate da plebei. In- vece, il rinvio della parusia ad un tempo lontano e non determinabile costituisce la base per la trasformazione della setta di Gesù in Israele in chiesa universale del cristianesimo (80). L’idea reificante dell’eterna redenzione dell’anima individuale, che è l’essenza propria e più autentica dell’uomo, in un sicuro aldilà trascendente significa cristallizzare gli individui nella loro particolare personalità, rendendoli prigionieri della «specificità del genere umano in sé». Perciò l’obiettivo principale della religione consisterebbe proprio nel recingere gli uomini dentro la loro peculiarità (81).

Secondo la storia dell’evoluzione (82), la religione nascerebbe dall’idea, basata su un’interpretazione analogica del lavoro, dell’influsso diretto delle forze ancora ignote della natura nella magia: dall’esperienza della struttura teleologica del lavoro nascerebbe la credenza secondo cui sarebbe possibile per esempio far piovere grazie all’intervento di forze magiche. Però la magia, secondo Lukács, è una forma di reificazione, ma non ancora una forma di alienazione, dal momento che in quegli stadi così iniziali dell’evoluzione umana non si sarebbe ancora giunti alla formazione di una vera e propria personalità individuale (83). Nel quadro di un sempre maggior grado di complessità sociale, il passaggio dalla magia alla religione consiste nel fatto che l’uomo si vede costretto a rinunciare al proposito di dominare con mezzi magici, e cioè – in analogia con il lavoro – direttamente, gli eventi naturali (e in maniera crescente anche l’ambiente sociale). Al posto di un influsso diretto dei mezzi magici s’insinuano, per così dire, gli dèi, il cui favore bisogna guadagnarsi con preghiere, sacrifici ecc. (84).

Sull’origine di personalità ed alienazione

Questo processo avanza tanto più quanto più l’uomo, evolvendo, esce dall’originaria e protettiva comunità primordiale, capace di dare un senso alla vita. Solo dopo il dissolvimento della cultura della polis – nell’etica della polis il «bene comune» era in primo piano e la vita privata assurge ad unico modo di essere del singolo uomo. Da questo momento diventa ormai ineludibile la questione del senso da dare alla vita individuale (85). La religione, intesa come forma primordiale dei fenomeni di alienazione ideologica, poggia sull’idea di un mondo teleologi- camente posto, a cui il destino particolare del singolo è inesorabilmente soggetto. In questa concezione del mondo il destino personale di ciascun credente costituisce un punto nodale nell’essere, determinato come trascendente. La realtà è percepita come espressione di una provvidenza che viene dall’alto, specialmente in occasione di eventi dolorosi, come per esempio la morte di congiunti. Filosoficamente parlando, ciò significa, secondo Lukács, escludere il caso dalla realtà oggettiva, e, oltre a ciò, interpretare quest’ultima in modo egocentrico. La religione perpetua in tal modo la struttura di una vita quotidiana che ruota intorno all’Io – ciò diventa particolarmente evidente nell’astrologia –, perché la propria persona viene considerata come centro di avvenimenti teleologicamente destinati (86).

Funzione d’ordine ed oppio dei popoli

Alla chiesa – a differenza della setta e del movimento eretico – compete innanzitutto una funzione d’ordine nel regolare la vita quotidiana, funzione che tuttavia gradatamente viene assunta da istituzioni statali o laiche. A ciò si aggiunge una funzione conservatrice della religione, come si evince anche dalla definizione di religione come «oppio del popolo» (87): l’orientamento verso l’aldilà ultraterreno, considerato come realtà più vera ed autentica – capace di garantire eterna e  totale realizzazione – sminuisce necessariamente i tentativi laici di evasione dalla terrena appartenenza alla «specificità del genere umano in sé», e anche la battaglia ideologica contro l’alienazione e l’auto-alienazione viene in tal modo indebolita (88).

Tre modi per uscire dall’alienazione: scienza, arte, etica

Lukács vede invece nella scienza, nel comportamento eticamente motivato e nell’arte tre condotte che rendono possibile all’uomo superare la sua individualità immediata (89): in primo luogo, lo stesso svolgersi della quotidianità porta già con sé necessariamente un superamento almeno parziale del particolare, in quanto esso tendenzialmente costringe a prendere cono- scenza del mondo con obiettività. Questa tendenza acquisisce nella scienza un fondamento sistematico. La scienza si caratterizza pertanto per Lukács per il metodo disantropomorfizzante e orientato ad una conoscenza oggettiva del mondo, che tende necessariamente a superare la particolarità degli individui. In secondo luogo, per Lukács anche il comportamento etico – il «sentirsi a proprio agio nella vita stessa, la dedizione incondizionata ad un’idea, destinata a questa vita» (90) – si distingue per l’attitudine ad avvicinare gli individui ad una posizione, pro- pria dell’umanità, nella quale diventa loro possibile istituire un rapporto concreto e consapevole col genere. In terzo luogo, l’uomo, grazie all’arte (antropomorfizzante), può elevarsi al di sopra della propria particolarità nell’esperienza della catarsi – della «profonda commozione» e «purificazione», sia nel creare, sia nel recepire opere d’arte –, e può stabilire un nesso tra il proprio destino e quello del genere. Proprio in questo consiste per Lukács il tratto centrale distintivo «della grande arte» (91). Queste tre possibilità di appagamento della legittima aspirazione ad una piena realizzazione della personalità umana vengono spesso purtroppo precluse dalla realtà sociale. Allora gli individui s’inaridiscono e si cristallizzano o arroccandosi nella difesa della propria particolarità immediata, con le frustrazioni che ne conseguono, oppure rifugian- dosi in una sublimazione religiosa con la sua promessa di salvezza dell’anima individuale nell’aldilà. E così le difficoltà che la vita quotidiana frappone alla realizzazione del desiderio di una vita piena formano una base permanente che rende possibile l’insorgere spontaneo del bisogno religioso (92).

Base per il rinnovamento del bisogno religioso

Per Lukács il bisogno religioso è radicato intimamente, profondamente ed inscindibilmente in ogni personalità umana individuale e privata. Esso è volto a dare un significato ed un carattere di essenzialità agli eventi che accompagnano il singolo uomo, alla salvezza dell’anima personale ad opera di una forza trascendente, ove l’essere trasfigurato ultraterreno appare come l’essere autentico, superiore e più degno. Perciò il bisogno religioso nella sua forma originaria è innanzitutto qualcosa d’individuale: la ricerca da parte dell’individualità della salvezza e fe- licità dell’anima che le circostanze soggettive ed oggettive della vita reale non le consentono. E tuttavia il modo in cui si esprime il bisogno religioso è sociale, anche se certamente molto vario e diversificato (93).

Già nel processo storico della nascita della religione il bisogno religioso si nutre di affetti incontrollati, che nascono dall’incertezza di fronte ad un ambiente incompreso. Il (maggiore o minore) «cerchio del non conoscibile», che sin dall’inizio accompagna gli orientamenti teleologici nel lavoro, si manifesta nella speranza di riuscita o nella paura delle conseguenze dell’insuccesso. Ma questa non è assolutamente una condizione solo transitoria nell’evoluzione dell’esistenza umana. Nel lavoro, come condizione esistenziale antropologica generale  dell’uomo, gli orientamenti teleologici ed i processi esecutivi causali si scontrano come processi reali eterogenei. Siccome è in linea di principio escluso che si possa comprendere completamente la complessità dell’insieme causale, si giunge per forza ad una discrepanza (più o meno grande (94) tra gli obiettivi perseguiti, che stanno alla base delle decisioni specifiche degli individui, e i risultati concreti del loro agire (95). La sostanziale impossibilità di prevedere tutte le conseguenze delle nostre azioni costituisce così, mediante il disorientamento emotivo, una possibile e persi- stente base di rinnovamento del bisogno religioso (96).

Con Epicuro contro paura e speranza

Mediante il controllo razionale e pratico della vita quotidiana, Lukàcs ritiene comunque possibile reprimere l’influenza dominante degli affetti sul modo che l’uomo ha di vedere il mondo. In una lettera del 23 gennaio 1961 al suo editore della Germania occidentale, egli dice di condividere l’idea epicurea di Spinoza e di Goethe, che rifiutavano paura e speranza in quanto affetti, capaci di mettere a repentaglio la libertà di un’umanità autentica (97). A questo riguardo Lukács mostra un atteggiamento piuttosto riservato anche nei confronti del «principio della speranza» di Bloch (98). Preferiva, invece, parlare di fiducia riguardo alla prospettiva (99). E qui non si tratta solo di una sottigliezza semantica. Piuttosto della convinzione che sia possibile sperare in un miglioramento sociale, non solo in modo emotivo e pertanto irrazionale, ma che sia anche possibile capire in modo razionale e migliorare le condizioni sociali, intervenendo attivamente, cosa che, a sua volta, potenzia il senso di fiducia. Perciò non si troverà mai nel Lukács maturo uno dei motti spesso forzati di Gramsci, come «pessimismo della ragione, ottimismo della volontà», preso peraltro in prestito dallo scrittore francese Romain Rolland (100).

Fede marxista?

D’altra parte è logico che Uwe–Jens Heuer, portavoce del Foro marxista del partito «Die Linke», nel suo ultimo libro su Marxismo e fede, faccia riferimento al passo citato da Gramsci (101). Dal punto di vista del Lukács maturo però, egli rende un pessimo servizio al marxismo, pretendendo di affermare che una fede aldilà – pardon: al di qua, naturalmente (102) – della fede in Dio sia un sostegno irrinunciabile dell’azione marxista (103). Ci sarebbe bisogno di una fede nel marxismo, in quanto «lottare, agire e perfino mettere in gioco la propria vita» avrebbero luogo certamente «non in base a conoscenza scientifica, bensì ad un’intima convinzione» (104). Contro le «valutazioni unilaterali di Lenin», egli si sforza perciò di «salvare in certo qual modo l’onore» di Kant e Fichte (105). Soprattutto il risalto che essi danno alla coscienza morale (106), secondo Heuer, fa dei due filosofi classici dell’idealismo tedesco importanti punti di riferimento per il rinnova- mento di un’etica marxista.
È tuttavia davvero stupefacente che Heuer si riferisca, oltre che a Gramsci e a Bloch, anche a Lukács come referente di un rinnovato modo di pensare il rapporto fra marxismo e religione (107). Per esempio quando dà ad intendere che ci sarebbe una linea di continuità dalla ricerca neo- kantiana dei «socialisti etici» Max Adler e Otto Bauer di un «assenso morale», che – aldilà della necessità economica – possa motivare la lotta per il socialismo sino all’etica di Lukács, che si rivolgerebbe al senso di responsabilità e alla coscienza del singolo, da cui la filosofia sociale (marxista) non potrebbe in alcun modo esimerlo (108).

È senz’altro vero che nel giovane Lukács si possono trovare appigli che giustificherebbe- ro questa convergenza di posizioni, ma fare di lui in toto un testimone chiave, atto a fondare alla maniera neo-kantiana una fede ed un’etica che motivino alla lotta per il socialismo, non solo passa sotto silenzio il fatto che il Lukács maturo criticò i suoi scritti giovanili, specialmen- te quelli dedicati all’etica, come prigionieri di un «messianesimo rivoluzionario, idealistico e utopistico» (109), ma ignora anche la maggior parte dell’eredità filosofica, che Lukács ci ha lasciato.

Intanto Lukács respinge più volte esplicitamente il neo-kantismo, per esempio criticando le posizioni di alcuni rappresentanti della Scuola di Marburgo (quali Hermann Cohen e Paul Natorp (110), e anche in occasione del confronto con Nicolai Hartmann, che ruppe con la Scuola di Marburgo, rinunciando con ciòalla sua posizione di «principe ereditario» e votandosi all’ontologia (111). Altrettanto esplicitamente Lukács criticò le correnti legate a Bernstein e ai marxisti austriaci Otto Bauer e Max Adler (112), i quali – il più delle volte prendendo le distanze dalla do- minante e meccanicistica assolutizzazione della necessità dei vincoli economici, che si trova ad esempio in Kautsky o Plechanov – aspiravano ad «integrare» il marxismo con la filosofia di Kant, e così facendo, a giudizio di Lukács, si affermavano autonomamente in senso gnoseologico-borghese (113). Mentre il materialismo meccanicistico (ma anche ad esempio la dottrina della predestinazione) assoggetta tutto l’essere ad una necessità omogenea ed assoluta, la netta bipartizione di Kant in pura conoscenza naturale e morale pura contiene un insormontabile dualismo del mondo (114). Ma questa completa separazione dei regni della ragion pratica e teorica implica anche necessariamente un fondamento idealistico, che apre un campo molto vasto alla fede (religiosa), e sul quale possono germogliare svariate forme di volontarismo soggettivo.

Difesa gnoseologica per la religione

La filosofia kantiana si distingue inoltre per l’affermazione dell’autonomia della teoria, della metodologia e della logica della conoscenza, che trova nel neopositivismo e nella filosofia ana- litica la sua espressione più pura e costituisce il nocciolo del confronto ideologico nella filosofia della nostra epoca (115). Per Lukács la missione sociale della teoria della conoscenza, giunta con Kant a dominare la filosofia, consiste nel garantire ideologicamente l’egemonia delle scienze naturali – nel senso di uno sviluppo scientifico libero da qualsiasi ostacolo come condizione essenziale all’espansione capitalistica – conservando però al tempo stesso un margine ideolo- gico di azione per un’ontologia religiosa, di cui socialmente si avverte il bisogno per assicu- rarsi il dominio (116). La sua più pura espressione nel neopositivismo – e qui esso si incontra con l’esistenzialismo – culmina nel rifiuto della questione «metafisica» della realtà. Nonostante il rapido ed impressionante progresso nel dominio tecnico-scientifico della natura, il neopositivi- smo assicura così alla religione, mediante l’astinenza ontologica, un posto d’onore nel regolare i rapporti sociali fra gli uomini.

Eludendo la questione ontologica, la filosofia offre sostegno ideologico alla pretesa, conti- nuamente avanzata dalla chiesa cattolica sin dai tempi di Bellarmino (allora soprattutto nei con- fronti di Galileo e di Giordano Bruno), che si riconosca una doppia verità, la quale circoscrive la scienza all’esplorazione pratica del mondo dei fenomeni e lascia alla religione l’indagine sull’essenza del mondo e dell’uomo117. La concezione del mondo marxista, orientata all’eman- cipazione sociale e perciò a superare lo sfruttamento e l’alienazione, dovrebbe dunque ingag- giare sul terreno filosofico la lotta contro l’egemonia della teoria della conoscenza, finalizzata in ultima analisi a sostenere il potere.

Rinnovamento etico del marxismo

Certamente Heuer con la sua esigenza di porre un fondamento etico, specie di fronte all’esperienza del socialismo reale, accenna ad una dimensione decisiva del rinnovamento del marxismo. Ed ha ragione quando vuole riservare al singolo uno spazio centrale, legato a concetti come «coscienza», «fermezza di carattere» e «coraggio di opporsi» (118). Tuttavia sba- glia nettamente quando propone come soluzione la riabilitazione di una fede marxista con riferimento a Kant e a Fichte. A tale posizione si può contrapporre con Lukács e rifacendosi a Marx un’ontologia del superamento dell’«antinomia metafisica nell’agire umano fra libertà e necessità» (119), la quale, traendo la specificità dell’essere sociale dall’analisi dell’incontro fra teleologia e causalità nel lavoro, può fondare una teoria marxista del soggetto. L’Ontologia dell’essere sociale pone la base materialistica per una concezione del mondo rinnovata ed unitaria, sulla  quale  si puo sviluppare un’etica orientata al superamento dell ‘alienazione per mezzo  dell ‘emancipazione umana  e mirante ad una conoscenza razionale della realta,  al di qua di fede  e religione.

[traduzione dal tedesco di Gigliola Montiglio rivista da Marco Vanzulli]

Note

1       Cfr. F. Benseler u. W. Jung, Nachwort. Von der Utopie zur Ontologie – Kontinuität im Wandel: Georg Lukács, in G. Lukács, Autobiographische Texte und Gespräche, Lukács-Werke Bd. 18, hrsg. v. F. Benseler u. W. Jung, Bielefeld, Aisthesis-Verlag, 2005, p. 483.

2       Cfr. G. Lukács, Estetica, vol. I, tr. it. di A. Marietti Solmi e vol. II, tr. it.. di F. Codino, Torino, Einaudi,

1970.

3       Cfr. F. Benseler, Nachwort des Herausgebers, in G. Lukács, Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins, 2.

Halbband, Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins, 2. Teil, Lukács-Werke Bd. 14, hrsg. v. F. Benseler, Darmstadt, Neuwied, Luchterhand,1986, pp. 731-732.

4       «Philosophia ultima» significa qui che essa fa propri criticamente i risultati delle scienze, e, ciò facendo, segue l’intentio recta, rivolta all’essere, seguendo l’ordine «quotidianità – scienza – ontologia» (cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale, a cura di A. Scarponi, Roma, Editori Riuniti, 1976, II, pp.

117 e 120), anziché essere postulata dogmaticamente come «philosophia prima», classica (idealistica). Malgrado ciò l’ontologia critica di Lukács si intende – come anche quella di Hartmann – come filosofia fondamentale, e perciò prima, sulla quale, per esempio, deve basarsi l’etica, cfr. N. Tertulian, Adorno- Lukács: polemiche e malintesi, «Marxismo Oggi» 2 (2004), p. 112.

5       Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 109 sgg., e soprattutto Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale, tr. it. di A. Scarponi, Milano, Guerini e Associati, 1990, p. 3 sgg.

6       Lukács indica come «errore ontologico fondamentale» della sua opera giovanile, sia pure quella di mag- gior successo, Storia e coscienza di classe del 1923, l’avere riconosciuto solo l’essere sociale come esse- re, rifiutando di fatto la dialettica della natura, poiché così «viene a mancare del tutto quell’universalità del marxismo che fa derivare dalla natura inorganica quella organica e dalla natura organica, passando per il lavoro, la società» (I. Eörsi, Gelebtes Denken. G. Lukács im Gespräch über sein Leben, 1969-71, in G. Lukács, Autobiographische Texte und Gespräche Lukács-Werke, Bd. 18, hrsg. v. F. Benseler u. W. Jung, Bielefeld, Aisthesis-Verlag, 2005, p. 112. Anche in seguito si torneranno a considerare, non privi di conseguenze, altri punti deboli di Storia e coscienza di classe.

7       Una breve, ma precisa sintesi del «programma» dell’ontologia di Lukács si trova in F. Benseler u. W.

Jung, Nachwort. Von der Utopie zur Ontologie – Kontinuität im Wandel: Georg Lukács cit., p. 483 sgg., mentre presentazioni più particolareggiate si trovano in N. Tertulian, Lukács. La rinascita dell’ontolo- gia, tr. it. di G. Piersanti, Roma, Editori Riuniti, 1986, e, in lingua tedesca, in E. Hahn, Georg Lukács. Eine marxistische Ontologie, «Zeitschrift Marxistische Erneuerung» 48 (2001), pp. 112-127. Si rimanda inoltre ai numerosi saggi in R. Dannemann u. W. Jung (hrsg.), Objektive Möglichkeit. Beiträge zu Ge- org Lukács’‚ Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins’. Frank Benseler zum 65. Geburtstag, Opladen, Westdt. Verl., 1995.

8       K. Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung, in K. Marx – F. Engels, Werke, Bd. 1, Berlin, Dietz, 1976, p. 385.

9       Cfr. N. Tertulian, Alienazione e disalienazione: un confronto Lukács-Heidegger, «Marxismo Oggi» 2-3 (2006), pp. 29-32.

10     Cfr. F. Benseler, Nachwort des Herausgebers cit., p. 747.

11     Cfr. F. Fehér et al., Premessa alle «Annotazioni sull’ontologia per il compagno Lukács» e Annotazioni…,

«aut aut» 157-158 (gennaio-aprile) fascicolo speciale (1977).

12     Cfr. F. Fehér, Lehrmeister Lukács. Anfang und Ende des «grossen Narrativs», «Frankfurter Rundschau»

289, 13.12.1994.

13     Cfr. F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano, BUR, 1996. Comunque non c’era bisogno della fine dell’esperimento del socialismo reale, perché gli apologeti della società capitalistica annuncias- sero la «fine della storia». Lukács stesso si è spesso occupato a fondo di tali posizioni, specie di matrice neopositivista, cfr. ad es. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, pp. 650 e 806.

14     Merita qui ricordare come Lukács ritenesse che il peggior socialismo fosse comunque migliore del mi- glior capitalismo, cfr. I. Eörsi, Das Recht des letzten Wortes. Einführung, in G. Lukács, Gelebtes Denken. Eine Autobiographie im Dialog (1971), aus dem Ungarischen v. H.-H. Paetzke, hrsg. v. I. Eörsi. Frankfurt, Suhrkamp, 1981, pp. 10-11. Nonostante tutte le riserve, egli vedeva il socialismo storicamente un passo avanti, perché in esso era in larga misura eliminata la base economica dello sfruttamento – con la qual cosa tuttavia ben poco si dice sul grado permanente di alienazione.

15     Cfr. F. Benseler, Der späte Lukács und die subjektive Wende im Marxismus. Zur «Ontologie des gesell- schaftlichen Seins», in R. Dannemann u. W. Jung (hrsg.), Objektive Möglichkeit cit., pp. 127-146.

16     G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 14.

17     N. Tertulian, Alienazione e disalienazione: un confronto Lukács-Heidegger cit., p. 26.

18     G. Lukács, Per  l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 670. Lukács si occupa a fondo dell’analisi dell’alienazione, e specialmente della religione come fenomeno alienante, da una prospettiva ontologica in molte parti sia dell’Ontologia, sia anche dell’Estetica, cfr. in particolare Id., Estetica cit., II, pp. 1427 sgg. e 1516 sgg.; Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 205 sgg. e 398 sgg.; Id, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 85 sgg. e II,

19     Cfr. L. Althusser e É. Balibar, Leggere Il Capitale, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 158. Lukács polemiz- za anche contro i sostenitori dello strutturalismo alla Althusser, facilmente individuabili, anche se non nominati, i quali considerano «il problema dell’estraniazione una questione specifica del Marx giovane (ancora filosofico), superata poi dallʻeconomistaʼ maturo», (G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 561). Per esempio cita un passo dalle Teorie sul plusvalore, riguardante l’incremento di svilup- po dell’individualità e del genere umano, che è reso possibile dal sacrificio di singoli individui (cfr. K. Marx, Theorien über den Mehrwert, in K. Marx – F. Engels, Werke, Bd. 26, Berlin, Dietz, 1976, p. 111), cosa che ai suoi occhi dimostra come il presunto Marx «puramente scientifico-economico» sia invece anche un teorico dell’alienazione, la quale consisterebbe proprio nel progredire dello sviluppo della parte oggettiva a discapito della parte soggettiva, alla quale vien fatta violenza, cfr. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 206. Tertulian osa perfino affermare che, anche in base ad ulteriori riferimenti (per es. al «genere umano per sé» nel Capitale) viene assestato alla «cesura epistemologica» del marxismo althusseriano un colpo serio, dal quale difficilmente si riprenderà, cfr. N. Tertulian, Aliena- zione e disalienazione: un confronto Lukács-Heidegger cit., p. 33. Per una critica particolareggiata della riduzione del concetto di alienazione all’opera giovanile di Marx, cfr. anche L. Sève, Analyses marxistes de l’aliénation: Religion et économie politique, in Philosophie et religion, Paris, Éditions sociales, 1974, pp. 203-254.

20     M. Heinrich, Die Wissenschaft vom Wert. Die Marxsche Kritik der politischen Ökonomie zwischen wis- senschaftlicher Revolution und klassischer Tradition, Münster, Westfälisches Dampfboot, 20064. Per Michael Heinrich la sua ripresa della teoria della cesura concettuale di Marx, che rifiuta la problemati- ca dell’alienazione, poggia sulla sua tesi centrale, secondo cui la filosofia dell’essenza (anche quella di Marx) rimarrebbe sul terreno teorico dell’«individualismo» dell’economia borghese. Stando al paradigma dell’«individualismo», le strutture sociali derivano dall’essenza interiore degli individui (per es. un tipo di lettura potrebbe essere quello di fare derivare la società della concorrenza dall’egoismo insito in ogni uomo). La filosofia dell’essenza di Marx, così come appare anche nel Marx maturo, rimarrebbe – in modo ambivalente – debitrice di questo «individualismo», a cui egli di fatto si sarebbe accostato proprio per superarlo mediante la sua Per la critica dell’economia politica in una rivoluzione scientifica alla Thomas S. Kuhn, cfr. M. Heinrich, Weltanschauungsmarxismus oder Kritik der politischen Ökonomie. Replik auf Martin Birkner, Der schmale Grat (grundrisse 1/2002), «Grundrisse» 3 (2002), p. 31 sgg. Secondo il punto di vista di Lakatos, Heinrich con la sua tesi dell’ambivalenza delle categorie fondamentali di Marx cerca – legittimamente – di assicurare il «nocciolo duro del suo programma di ricerca» con forti ipotesi sussidiarie, cfr. I. Lakatos, La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, a cura di M. Motterlini, tr. it di M. D’Agostino, Milano, Il Saggiatore, 2001, mentre Popper probabilmente gli avrebbe rimpro- verato di perseguire per la sua teoria una strategia illegittima d’immunizzazione, cfr. K.R. Popper e T.E. Hansen, I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza, Milano, Mondolibri, 2000. Secondo la tesi dell’ambivalenza di Heinrich, Marx sarebbe rimasto ancora legato in molti punti al terreno teorico dell’economia (neo-)classica, anche dopo la sua «rivoluzionaria» cesura: se dunque nel maturo economi- sta Marx si possono ancora trovare «resti» di un discorso sull’alienazione o di un genere (umano), questi esempi non fanno che dimostrare (in questo impianto teorico), considerata l’inconseguenza di Marx, la tesi dell’ambivalenza di Heinrich, ma non certo la continuità del topos dell’alienazione, sostenuta da Lu- kács (ed altri) nell’opera di Marx. Più importante tuttavia della questione di una corretta esegesi di Marx

– e qui c’è sicuramente pieno accordo con Heinrich – è quella dell’adeguata analisi della società, a cui l’ Ontologia dell’essere sociale di Lukács offre un approccio esplicativo completo e profondo. Ben lungi dall’«individualismo metodico» del modo di pensare dominante della scienza sociale borghese – dal cui paradigma centrale dell’«homo oeconomicus» ci si potrebbe aspettare tanto contenuto realistico quanto dal mito cristiano dell’ultima cena –, il Lukács maturo non fa derivare dal modo di essere interiore (e dato) degli individui né le strutture sociali in generale, né categorie come alienazione, personalità (in evoluzio-

ne), specificità del genere umano ecc., che si sviluppano storicamente condizionandosi reciprocamente. Il compito che si pone l’ Ontologia è quello di sviluppare una teoria materialistica del soggetto, che faccia dell’agire teleologico degli individui il punto centrale dell’essere sociale (auto-creato).

21     G. Labica, «Alienation», in G. Labica et G. Bensussan (éds.), Dictionnaire critique du marxisme, Paris, PUF, 1982, p. 21.

22     Lukács si oppose alla posizione «stalinista», secondo la quale l’introduzione del socialismo bastava da sola a superare l’alienazione, cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 611. Così nel Philosophisches Wörterbuch della Repubblica Democratica Tedesca l’alienazione veniva ridotta ad un puro fenomeno capitalistico, cfr. M. Buhr u. G. Klaus (hrsg.), Philosophisches Wörterbuch, 11. Aufl., 2

Bände, Leipzig, VEB Bibliographisches Institut, 1975, p. 326, la cui trasposizione in ambito socialista la trasformava in una «categoria astratta ed antistorica» (ivi, p. 330). Invece il concetto di reificazione, cate- goria centrale di mediazione dell’alienazione per Lukács, non veniva neppure preso in considerazione.

23     Michael Heinrich commette un errore, quando crede di potere affermare che prima della pubblicazione dei Manoscritti economico-filosofici del ʼ44 negli anni Trenta «a nessuno [era venuta] l’idea di cercare nel Capitale una teoria dell’essenza umana e dell’alienazione» (M. Heinrich, Weltanschauungsmarxismus oder Kritik der politischen Ökonomie cit., p. 34). Per Lukács, invece, uno dei «padri fondatori» per non dire il «padre fondatore» (1923) del discorso sull’alienazione dopo Marx, la lettura di questi manoscritti marxiani negli anni Trenta è il punto di partenza catalitico del suo interesse per l’ontologia e, quindi, specialmente per la concezione materialistica del concetto di alienazione, cfr. G. Lukács, Vorwort (1967), in Id., Werke, Bd. 2 Frühschriften II. Geschichte und Klassenbewußtsein, hrsg. v. F. Benseler, Berlin, Neuwied, Luchterhand, 1968, p. 38.

24     Per la storia della ricezione, cfr. N. Tertulian, La ragione dialettica secondo Sartre, in Dialettica. Tradizio- ni, problemi, sviluppi, a cura di A. Burgio, Macerata, Quodlibet, 2007, pp. 237-255 e Id., Adorno-Lukács: polemiche e malintesi cit.

25     G. Lukács, Vorwort (1967) cit., p. 24; cfr. anche I. Eörsi, Gelebtes Denken. G. Lukács im Gespräch über sein Leben, 1969-71 cit., p. 112. Nella sua introduzione all’edizione francese dell’opera di Lukács Dia- lectique et spontaneité (2001), Tertulian elenca come ulteriori importanti contributi della famosa opera giovanile (la cui validità Lukács tentò continuamente di difendere, anche se su rinnovata base ontologica), tra gli altri, il persistente anti-naturalismo nell’interpretazione dell’essere sociale, la poderosa rivalutazio- ne della dialettica hegeliana, lo spiccato carattere storico delle categorie e l’irriducibilità della prassi, cfr. N. Tertulian, Gli avatars della filosofia marxista (a proposito di un testo inedito di Lukács), «Marxismo Oggi» 3 (1999), p. 135. È pur vero che lo scritto Chvostismus und Dialektik (1925), per lungo tempo dimenticato negli archivi, in cui Lukács difendeva Storia e coscienza di classe contro gli attacchi diretti della Terza Internazionale, specialmente da parte di Deborin e Rudas nella rivista «Arbeiterliteratur» fu pubblicato nel 1996 a Budapest (una traduzione inglese seguì poi nell’anno 2000 e in francese nel

2001), ma ancor oggi non ne esiste alcuna pubblicazione completa in Germania, ed parziale tedesca cfr.

G. Lukács, Chvostismus und Dialektik, in F. Benseler u. W. Jung (Hg.), Lukács 1998/99, «Jahrbuch der

Internationalen Georg-Lukács-Gesellschaft», 3, Paderborn, Institut für Sozialwissenschaften, 1999, pp.

119-159.

26     Id., Vorwort (1967) cit., p. 25.

27     Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, pp. 620-621.

28     Id., Vorwort (1967) cit., p. 26.

29     Ivi, p. 11.

30     Ivi, p. 21.

31     Ivi, p. 38.

32     Ibidem.

33     Ibidem.

34     Ibidem.

35     Ibidem.

36     Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 567.

37     Id., Vorwort (1967) cit., p. 26.

38     In un contesto simile Lukács critica anche la posizione di Nietzsche e dell’esistenzialismo, che proclama- no la morte di Dio, rifacendosi a Heidegger e definendola un «ateismo religioso che non impegna a nulla», cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 724, – in quanto se da un lato fa a meno di Dio, dall’altro mostra i tratti di una predestinazione quasi religiosa e, quindi, condanna l’uomo ad un’eterna alienazione.

39     Lukács respinge la riduzione di alienazione e reificazione a semplici fenomeni di coscienza o ad un pen- siero scorretto circa l’uomo stesso, cfr. ivi, p. 710. Anche queste categorie solo in seconda istanza sono riflessi della coscienza – giusti o sbagliati che siano –, ma in prima istanza sono processi che esistono realmente. In modo simile Heinrich mostra il perché l’interpretazione del concetto di feticcio in Marx solo come falsa e fuorviante consapevolezza dei rapporti reali non sia soddisfacente, cfr. M. Heinrich, Kritik der politischen Ökonomie. Eine Einführung, Stuttgart, Schmetterling, 2004, pp. 71-72. È, invece, problematico il fatto che Heinrich rifiuti anche – solo sotto l’aspetto della coscienza – d’identificare l’ideologia con una «falsa coscienza» (cfr. ibidem), come invece fa per esempio la Scuola di Francoforte. Pur non essendo possibile qui discutere dell’argomento con la dovuta ampiezza di particolari, riferiamo solo brevemente la posizione di Lukács a proposito del concetto di ideologia: è vero che le ideologie sono fenomeni di coscienza; tuttavia l’utilizzo denigratorio del concetto di ideologia come se si trattasse di un’interpretazione falsificatrice della realtà è riduttiva del modo di vedere di Marx, perché ogni manife- stazione umana è di principio capace di trasformarsi in ideologica. Come Lukács mostra, confrontandosi con il concetto d’ideologia di Gramsci, il carattere ideologico non scaturisce dal semplice contenuto di un qualsivoglia patrimonio di idee, bensì dalla sua funzione all’interno di ben determinati conflitti sociali (cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 445 sgg.).

40     Ivi, p. 626.

41     K. Marx – F. Engels, Manifest der Kommunistischen Partei, in K. Marx – F. Engels, Werke, Bd. 4, Berlin, Dietz, 1972, p. 482.

42     K. Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung cit. p. 378.

43     Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 623.

44     Cfr. K. Marx – F. Engels, Die deutsche Ideologie, in K. Marx – F. Engels, Werke, Bd. 3, Berlin, Dietz,

1969, p. 45.

45     In tal senso si può condividere il parere del teologo evangelico Meyer, secondo il quale la critica di Marx alla religione non consisterebbe nella sua «pura e semplice abolizione» e il «gemito della creatura op- pressa» (Marx), che in essa trova espressione, non potrebbe essere né «scientificamente ignorato né tanto meno legalmente proibito», cfr. O. Meyer, Theologie der Befreiung. Etikettenschwindel oder Schritte zur Emanzipation, in «Marxistische Blätter» 6 (2007), pp. 87-88. Non si può essere, invece, d’accordo con la sua interpretazione, del tutto personale, secondo cui l’«indagine materialistica» di Marx sarebbe «anche una teologia critica», cfr. ivi, p. 89 – e questo non solo a causa dell’interpretazione a dir poco generosa di una nota a piè di pagina nel Capitale di Marx, che apparentemente comprova l’approccio teologi- co. Nel confronto ideologico tra religione (idealista) e marxismo (materialistico) non si tratta, infatti, di un’«incompatibilità ideologica» solo «apparente», come sostiene Meyer», cfr. ivi, p. 87, bensì di un’«in- compatibilità» reale, nella quale Lukács non vedeva spazio alcuno di convergenza, cfr. J. Lukács, Die Probleme von Religion und Irrationalität im Schaffen von Georg Lukács, in M. Buhr u. J. Lukács (hrsg.), Geschichtlichkeit und Aktualität. Beiträge zum Werk und Wirken von Georg Lukács. Berlin, Akademie- Verlag, 1987, p. 26 –, che però è senz’altro compatibile con l’«assoluta ed incondizionata solidarietà», cfr. O. Meyer, Theologie der Befreiung. Etikettenschwindel oder Schritte zur Emanzipation cit., p. 87, tra marxisti e cristiani progressisti nelle lotte politiche quotidiane, reclamata dal teologo della liberazione Meyer, cfr. anche J. Lukács, Die Probleme von Religion und Irrationalität im Schaffen von Georg Lukács cit., p. 41.

46     K. Marx – F. Engels, Die heilige Familie oder Kritik der kritischen Kritik. Gegen Bruno Bauer & Consor- ten, in K. Marx – F. Engels, Werke, Bd. 2, Berlin, Dietz, 1972, p. 116.

47     Id., Die deutsche Ideologie cit., p. 18.

48     Cfr. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 35 e Id., Per l’ontologia dell’es- sere sociale cit., I, pp. 264-265, cfr. anche F. Benseler u. W. Jung, Nachwort. Von der Utopie zur On- tologie – Kontinuität im Wandel: Georg Lukács cit., p. 483. L’approccio a-storico impedirebbe, invece, un’autentica comprensione dell’essere sociale, come del resto di un qualsiasi essere e causerebbe idee reificanti, oppure – per usare la terminologia di Marx – feticizzazioni. Già in Storia e coscienza di classe, comunque, il termine reificazione sarebbe stato usato erroneamente come sinonimo di alienazione, cfr. G. Lukács, Vorwort (1967) cit., p. 27. Anche questo è un errore di non modesta rilevanza. Molto tempo prima dell’insorgere di fenomeni di alienazione – connessi allo sviluppo storico della personalità umana, cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 707, – compaiono «innocenti» reificazioni, come per esempio nella nomenclatura, che fanno parte del modo proprio all’uomo di assimilare la realtà, senza per questo sfociare necessariamente, anche ad un livello superiore di sviluppo umano, in reificazioni di tipo alienante, cfr. ivi, p. 642. In contrasto con le teorie sulla reificazione, tragicamente mistificanti e anch’esse fortemente influenzate dall’opera giovanile di Lukács, il Lukács maturo individua il nucleo centrale della reificazione in quella concezione, tendente ad interpretare il mondo, che di fatto è in continua ed universa- le evoluzione, in maniera rigida e cosificata. A questa riduzione degli oggetti al loro puro apparire, come

«cosalità fissa», messa in atto (necessariamente) dalla coscienza quotidiana, egli contrappone il concetto ontologico dell’«oggettualità processuale» di tutto l’esistente, cfr. ivi, p. 640 sgg. e Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 93 e sgg.

49     Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, pp. 652 sgg. e 709 sgg. Lukács sottolinea come l’aliena- zione sia un fenomeno sociale plurale e poliedrico, le cui manifestazioni coesistono l’una accanto all’altra e in maniera relativamente autonoma nella medesima persona e possono perfino essere in conflitto fra di loro. A titolo d’esempio cita il caso, frequentemente ricorrente nel movimento operaio, in cui lavoratori (maschi) combattono le proprie alienazioni in quanto tali, ma al contempo alienano tirannicamente le loro donne, esponendosi in tal modo anche ad un’ulteriore autoalienazione, cfr. ivi., pp. 588-589.

50     Cfr. ivi., pp. 562-563.

51     L’attuale critica della modernizzazione, invece, spesso facendo luce in modo pertinente e preciso sui lati oscuri della società moderna, punta soprattutto sull’eterodeterminazione tecnico-pratica e sull’alienazione dell’uomo, intesa come una dicotomia tra sistema e vita, causa del malessere del mondo moderno. Questo modo d’intendere alienazione e reificazione, derivato da Storia e coscienza di classe (cfr. R. Dannemann, Georg Lukács zur Einführung, Hamburg, Junius Verlag, 1997, p. 108 e sgg.), influenza non solo la tradi- zione della Scuola di Francoforte (cfr. J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, tr. it. di G.E. Rusconi, Bologna, Il Mulino, 1986) sino ad oggi (cfr. A. Honneth, Reificazione: uno studio in chiave di teoria del riconoscimento, tr. it. di C. Sandrelli, Roma, Meltemi, 2007 e R. Jaeggi, Entfremdung. Zur Aktualität eines sozialphilosophischen Problems, Frankfurt, Campus, 2005), ma s’incontra, inoltre, da un lato nella scienza (cfr. per esempio R. Sennett, L’uomo flessibile: le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, tr. it. di M. Tavosanis, Milano, Feltrinelli, 20004), il cui percorso intellettuale è anche segnato dal confronto con Lukács (cfr. R. Sennett, The frog who dared to croak. London, Faber, 1982), e dall’altro

nella letteratura e nella filmografia, per esempio nel romanzo di F. Emmanuel, Il quarto musicista: roman- zo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2003, dal quale nel 2007 fu tratto da Nicolas Klotz il film, intitolato La question humaine. Certamente queste «correnti tradizionali di teoria critica, che descrivono processi di modernizzazione di tipo economico e non-economico come crescita di razionalità e storie di passioni» (R. Dannemann, Georg Lukács zur Einführung cit., p. 110), perpetuano anche le debolezze dell’opera gio- vanile lukacsiana, specialmente la mancata distinzione tra oggettivazione ed alienazione, già emersa nel

1923. Pongono perciò l’accento sull’eterodeterminazione dell’uomo, indotta dalle strutture create «dalla ragione strumentale». Dietro ad una critica della modernità, spesso concentrata sulla tecnica e roman- tizzante (alla Rousseau), si perde di vista la dimensione decisiva del concetto di alienazione come topos critico del capitalismo e – nel migliore dei casi – lo si mette così in ombra, da diventare irriconoscibile.

52     Cfr. R. Jaeggi, Unscharf am Rand. Entfremdung, «Freitag», 20.02.2004.

53     L’idea di una «natura umana» e di «bisogni fondamentali dell’uomo» da essa derivanti come punto di par- tenza necessario al rinnovamento del concetto marxista di alienazione viene attualmente ed esplicitamente reclamata in Francia da alcuni autori della rivista «Actuel Marx», come Yvon Quiniou e Tony Andréani, cfr. Y. Quiniou, Pour une actualisation  du concept d’aliénation, «Actuel Marx» 39 (2006), p. 79 sgg. In Quiniou quest’idea di etica «marxista» – intesa come atto di volontà – si accompagna al tentativo di derivare dalla biologia valori umani e morali. Così egli crede, riferendosi a Darwin, di poter dimostrare le compatibilità fra materialismo e morale, cfr. Y. Quiniou, Études matérialistes sur la morale. Nietzsche, Darwin, Marx, Habermas, Paris, Kimé, 2002. Secondo Lukács, invece, egli, così facendo, non riesce a ve- dere una caratteristica essenziale e del tutto nuova dell’essere sociale. Lukács, infatti, nella sua Ontologia, prendendo le distanze sia dalle idee materialistico-meccanicistiche, sia da quelle idealistiche, dimostra come la nascita dei valori (che si estendono sino a riguardare la morale e l’etica) sia un processo sociale di auto-creazione dell’uomo basato sul lavoro (cfr. tra gli altri I. Eörsi, Gelebtes Denken. G. Lukács im Gespräch über sein Leben, 1969-71 cit., p. 196).

54     Cfr. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 40-41.

55     Così si può certamente anche spiegare lo sfruttamento selvaggio e senza alcun riguardo della natura, che sembra ispirarsi alla massima «chiudiamo gli occhi e avanti verso … il global warming», come topos della teoria dell’alienazione di Lukács. Comunque, Lukács avrebbe probabilmente spiegato il carattere particolare della questione ecologica, addebitandola alla massimizzazione capitalistica dei profitti.

56     Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 650

57     Cfr. Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 207.

58     Anche se i processi soggettivi di acquisizione di coscienza esercitano un ruolo importante nelle manife- stazioni di alienazione, specie nei tentativi di superarla, i fenomeni di alienazione, invece, non possono mai essere ridotti al sentire soggettivo, anzi fenomeno e sensazione stanno molto spesso in contrasto fra loro: le situazioni oggettive della vita di uno schiavo, di una prostituta, di un proletario, di un ingegnere o anche di un capitalista, per esempio, non bastano a dare informazioni dirette sul vissuto soggettivo della posizione sociale di ciascuno di loro, ma certamente ad esse corrispondono specifiche condizioni alienan- ti, modellate storicamente.

59     Cfr. R. Florida, The rise of the creative class. And how it’s transforming work, leisure, community and everyday life, New York, Basic Books, 2006.

60     Cfr. E. Altvater u. B. Mahnkopf, Globalisierung der Unsicherheit. Arbeit im Schatten, schmutziges Geld und informelle Politik, Münster, Westfälisches Dampfboot, 2002, p. 81 e sgg.

61     Cfr. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 189.

62     Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 609.

63     Per lo sviluppo ontologico di questa categoria, cfr. Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 106-107 e 160 e sgg.

64     Cfr. ivi, p. 190.

65     Cfr. K. Marx – F. Engels, Manifest der Kommunistischen Partei cit., p. 463.

66     Questo rifiuto delle concezioni ispirate alla necessità assoluta ed al progresso uniforme e rettilineo sta in stretta correlazione col rifiuto di qualsiasi teleologia storica e di poteri trascendenti che ne garantiscano il decorso. Sebbene lo sviluppo sociale si fondi su un gran numero di singoli atti teleologici, compiuti dagli individui, esiste un unico «decorso esclusivamente causale di ogni accadere storico, il quale non conosce teleologia» (G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 201).

67     Uno dei motivi fondamentali dell’Ontologia dell’essere sociale di Lukács è il rifiuto dell’antinomia me- tafisica tra libertà e necessità nell’agire umano (cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 6), così come si trovano tanto nell’idealismo quanto nel materialismo meccanicistico. Sviluppando la sua dottrina universale delle categorie, tra le quali le categorie modali, egli si dedica ripetutamente e in modo ampio e dettagliato alla necessità (specialmente perché essa è la categoria centrale – posta in termini asso- luti – sia delle ontologie religiose, sia della filosofia idealistica gnoseologica, sia anche del materialismo meccanicistico tipico del marxismo volgare) e motiva tanto per la natura, quanto, a maggior ragione, per la società la concezione di una necessità «se… allora», cfr. specialmente Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 76-77, 108-109, e 160 e sgg., e anche sul ruolo del caso, ivi, p. 154 sgg., e anche Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 109 sgg. Così per esempio il processo di civiliz- zazione umana (l’arretramento delle barriere naturali di fronte all’evolversi della specificità del genere umano) è caratterizzato dal dispiegarsi universale del momento della casualità nell’essere sociale, cfr. Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 166. L’avere messo in evidenza l’alternarsi pieno di contraddizioni tra la necessità economica «sotto pena della rovina», che non è mai del tutto inequivocabile e assolutamente «necessaria», bensì sempre e solo condizionata, e le continue, ineludibili decisioni fra due o più alternative degli individui nella prassi del vivere umano costituisce uno dei capisaldi più importanti dell’ Ontologia dell’essere sociale di Lukács.

68     Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, pp. 9-10.

69     Ivi, pp. 192-193.

70     Sembra legittimo parlare di tratti religiosi, sebbene al destino terreno dell’uomo venga attribuita un’as- soluta necessità – come si rinviene ad esempio nelle concezioni social-darwiniste dei socio-biologi, ma sarebbe del tutto pertinente pensare anche alle analisi sociali assolutamente deterministiche, come quelle strutturaliste. Un esempio attuale di concezione del mondo basata sulla necessità e tendente a reificare tutto lo ha fornito il presidente francese Sarkozy, conservatore di destra, allorché, durante la campagna elettorale, andando a caccia di voti, ha pescato nel torbido con la tesi dell’innata pedofilia o anche quando

ha sostenuto che si dovrebbero sottoporre i bambini ad un test, per accertare la loro eventuale predisposi- zione al crimine, cfr. E. Fassin, Sarkozy, ou l’art de la confusion, «Le Monde», 13.04.2007.

71     Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 155.

72     Cfr. per esempio ivi, p. 205 sgg. e Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 579 sgg. Questi con- cetti, usati da Lukács, sono da intendersi in base alla sesta tesi di Marx su Feuerbach, secondo la quale l’essenza dell’uomo non è un qualcosa di astratto, immanente all’individuo, bensì l’insieme dei rapporti sociali (cfr. K. Marx, Thesen über Feuerbach, in K. Marx – F. Engels, Werke, Bd. 3 cit., p. 6); essi sono da intendersi anche in base alla distinzione fra la classe in sé, cioè la formazione socio-economica della classe stessa, grazie allo sviluppo sociale e allo sviluppo della produttività e la classe per sé (cfr. K. Marx, Das Elend der Philosophie. Antwort auf Proudhons «Philosophie des Elends», in K. Marx – F. Engels, Werke, Bd. 4 cit., p. 180), intesa come formazione politica consapevole, che si pone come obiettivo la trasformazione della società.

73     Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 578.

74     Cfr. ivi, pp. 589 sgg. e 656-657.

75     Cfr. ivi, p. 716.

76     Cfr. ivi, p. 681 sgg. e Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 75-56, 200-201 e 219. La durevole influenza d’importanti personalità dell’arte e della filosofia si spiega per Lukács grazie al loro

contributo all’avanzamento della specificità del genere umano, che si è impresso nella memoria del genere umano, cfr. ivi, p. 75-76.

77     Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 683. Così per esempio il dizionario filosofico della DDR considerava l’invito cristiano «ama il prossimo tuo come te stesso» esclusivamente come il tentativo di soffocare la resistenza degli sfruttati all’inganno, alla violenza e all’ingiustizia, conducendoli ad una generica condizione di sonnambulismo umanitario, cfr. M. Buhr u. G. Klaus (hrsg.), Philosophisches Wörterbuch cit., p. 1052.

78     Lukács critica per esempio anche l’osservazione di Kierkegaard, tendente a banalizzare l’argomento e secondo il quale lo Stato potrebbe introdurre con successo qualsiasi tipo di religione: basterebbero un po’ di denaro e di propaganda affinché, dopo qualche generazione, al posto del cristianesimo ufficiale (men- zognero) si affermi una qualche fede nella «luna di formaggio verde». A ciò Lukács obietta che nessun comportamento generalizzato – laico o religioso – può durare nel tempo se non soddisfa una profonda esigenza sociale (per quanto confuse ne siano le motivazioni di fondo), cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, pp. 630-631.

79     L. Sève, Analyses marxistes de l’aliénation: religion et économie politique cit., pp. 216-217.

80     Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 674 sgg.

81     Cfr. ivi, p. 656 sgg.

82     Le argomentazioni ampie e dettagliate di Lukács, relative alla storia dello sviluppo della religione, al cambiamento di ruolo della religione, conseguente all’evolversi della specificità del genere umano, come anche alla distinzione concettuale tra chiesa, setta e movimento eretico ecc. possono essere qui solo accennate, cfr. ivi, p. 617 sgg. e Id., Estetica cit., vol. II, p. 1516 sgg.; riguardo alla distinzione della fede nel quotidiano, nella magia e nella religione cfr. Id., Estetica cit., vol. I, p. 85 sgg.

83     Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 707.

84     Cfr. ivi, p. 640 sgg.

85     Cfr. ivi, pp. 653-654; per il concetto di sviluppo storico della personalità umana cfr. anche Id., Prolego- meni all’’essere sociale cit., p. 201 sgg.

86     Cfr. Id., Estetica cit., vol. II, p. 1521 e sgg.

87     K. Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung cit. p. 379.

88     Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, pp. 684-685.

89     Cfr. Id., Estetica cit., vol. II, pp. 1472-1473 e 1517 sgg.

90     Ivi, p. 1472.

91     Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 687 e sgg.

92     Cfr. Id., Estetica cit., vol. II, p. 1472.

93     Cfr. ivi, p. 1520 sgg.

94     I possibili effetti negativi derivanti dalla sostanziale impossibilità di prevedere tutte le conseguenze dell’agire umano costituiscono un motivo molto ricorrente nel pensiero filosofico. Per esempio Sartre ne parla in termini di «contrefinalités», cfr. J.-P. Sartre, Critica della ragione dialettica, a cura di P. Caruso, Milano, Il Saggiatore, 1963, I p. 205, citato da N. Tertulian, La ragione dialettica secondo Sartre cit., p.

240; e nell’etica di Edgar Morin essi assumono un ruolo centrale come «principe d’incertitude» nella sua

«écologie de l’action», cfr. E. Morin, Éthique. La Méthode, Tome 6. Paris, Seuil, 2006, p. 40 sgg. Anche nelle scienze cognitive il concetto occupa una posizione centrale, cfr. per es. D. Dörner, Die Logik des Mißlingens. Strategisches Denken in komplexen Situationen, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 200215.

95     Cfr. per es. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 5 e 9. La ricezione di Lukács riconosce in genere nella fondamentale incongruenza tra decisioni individuali finalizzate ad un obiettivo e risultato finale sociale e conclusivo un motivo di base dell’alienazione. Qui tuttavia il diavolo si nasconde nei dettagli: mentre Tertulian prudentemente afferma che proprio per questo motivo «la totalizzazio- ne» potrebbe «rivolgersi contro i progetti iniziali» (cfr. N. Tertulian, Alienazione e disalienazione: un confronto Lukács-Heidegger cit., p. 32), Dannemann inasprisce questo pensiero (forse eccessivamente), affermando che l’«impossibilità di abolire la dialettica fra teleologia e causalità» è una «fonte in certo qual modo inesauribile di alienazione». E aggiunge che le «regolarità e causalità che ne risultano […con- tengono] sempre un effetto incidentale di acquisizione di autonomia» (cfr. R. Dannemann, Georg Lukács zur Einführung cit., p. 92). Dannemann, leggendo il Lukács critico critico della modernità ed essendo fortemente influenzato dal discorso sulla reificazione di Storia e coscienza di classe, vede confermata nella sua Ontologia l’«onnipresenza di alienazione e reificazione» (cfr. ivi, p. 91). Non incombe qui forse – vien da chiedersi – un pericoloso scivolare nella creazione di miti, in cui, per usare le parole stesse di Lukács, si rappresenta l’alienazione «come insormontabile assetto naturale dell’uomo […] vedendovi […] una cupa e pessimistica condition humaine»? (G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., 1, p. 704). Laddove come segni distintivi della società moderna le reificazioni (alienanti) vengono inserite all’interno di una logica sistematica ubiqua, alla quale l’individuo moderno è inesorabilmente soggetto, là si è più vicini all’alienazione consustanziale all’essere umano dell’esistenzialismo di Heidegger che non alla denuncia di Lukács della causa generale di sempre nuove possibili alienazioni (anche oltre la loro manifestazione più caratteristica, conseguente a contraddizioni tra classi antagoniste), che è condizione importante per il loro possibile ed effettivo superamento.

96     Cfr. ivi, p. 707.

97     Cfr. F. Benseler, Nachwort des Herausgebers cit., p. 731.

98     Così Lukács commenta il testo Per l’ontologia del non-essere ancora di Bloch: «È un’insalata all’italiana, affascinante e decorativa, di soggettivismo, che si spaccia per oggettivo e di una molto esigua ed astratta oggettività. Per me è stato tuttavia consolante vedere come Bloch non abbia comunque rinunciato alla sua etica di sinistra» (citato in ivi, p. 733). Qui è possibile riconoscere tanto la vicinanza politica, quanto anche la distanza filosofica degli ex amici di gioventù: mentre Bloch deriva la sua filosofia escatologica dalla possibilità come categoria ontologica centrale, nell’Ontologia di Lukács la possibilità costituisce solo una categoria modale, subordinata alla categoria centrale della realtà, cfr. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 170 sgg. e Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 150 e sgg.

99     Cfr. F. Benseler, Nachwort des Herausgebers cit., pp. 731-732.

100  Già prima e di frequente si riscontrano in Lukács parallelismi con l’orientamento di fondo della filoso- fia di Edgar Morin. Questi sottolinea da un lato il crescente pericolo di autodistruzione dell’umanità, provocata da problemi di dimensione globale, che per la prima volta diventa realmente possibile – ed è evitabile solo remando contro con piena consapevolezza: in particolare egli cita la crisi ecologica, la dif- fusione di armi di distruzione di massa e la moltiplicazione dei conflitti militari, ma anche la mancanza di un’economia regolamentata. D’altro lato, tuttavia, contrappone a questo pericolo la possibilità, anch’essa crescente, di una consapevole e necessaria «metamorfosi» umana, risultante da un autentico e crescente affiatamento tra tutte le persone, accomunate da un medesimo destino, cfr. E. Morin, Vers l’abîme, Paris, Ed. de l’Herne, 2007. A prescindere da questo, sussistono notevoli differenze tra i due filosofi nell’analisi sociale e nelle conclusioni da trarne.

101  Cfr. U.-J. Heuer, Marxismus und Glauben, Hamburg, VSA, 2006, p. 295.

102  Una significativa carenza della dissertazione di Heuer deriva dal fatto che egli non distingue tra fede (re- ligiosa), orientata nell’aldilà, e fede orientata ai fatti dell’al di qua (della vita quotidiana), distinzione che, invece, rifacendosi a Kant, Lukács compie, cfr. G. Lukács, Estetica cit., vol. I, p. 82 sgg. La fede nel quoti- diano verrebbe chiamata da Kant «opinare». Sarebbe caratterizzata da una sostanziale apertura al conoscere e potrebbe perciò essere descritta come un primo passo verso il sapere (distorta ed ancora incompleta), cfr. ivi, p. 93. Invece, la fede religiosa in una trascendenza, il cui carattere saliente sarebbe proprio l’incono- scibilità di principio (cfr. ivi, p. 85), sarebbe in totale contrasto col sapere, o perché da essa non sarebbe

possibile per motivi oggettivi (Kant) passare al sapere, oppure – e qui Lukács va aldilà di Kant – perché tale passaggio sarebbe indesiderato dal soggetto. La fede religiosa esigerebbe il dominio sul sapere e sul conoscere – e perciò in ultima analisi anche sulla ragione –, perché si presenterebbe come forma superiore di accesso alla realtà (essenziale). A questo riguardo il dogma nella religione sarebbe anche segno della sua vitalità, mentre per la filosofia e la scienza sarebbe una degenerazione (cfr. ivi, p. 89 e sgg.).

103  Del pari interessato alla fede che, estrapolata dalla sua configurazione religiosa, potrebbe diventare ri- sorsa necessaria alla sopravvivenza, si mostra Jan Rehmann (cfr. J. Rehmann, Glauben, in W.F. Haug (hrsg.), Historisch-kritisches Wörterbuch des Marxismus. Gegenöffentlichkeit bis Hegemonialapparat, Bd. 5, Hamburg, Argument, 2001, pp. 787-792). L’ambizione atea di sostituire la religione con una con- cezione scientifica del mondo si sarebbe dimostrata un’illusione razionalistica. Influenzato da un’analisi ideologica in linea con Gramsci, Althusser, Mariàtegui, egli analizza la religione come campo di battaglia di aspirazioni contrastanti. Si tratterebbe di fare propri gli elementi critico-sovversivi delle religioni a favore di un contro-soggetto plurale, cfr. anche Id., Besser brüllen, Löwe! Klaus Theweleits Schelte der Religion fällt hinter Feuerbach und Marx zurück, in «Freitag» 45, 01.02.2002. Anche il sociologo mar- xista delle religioni di origini franco–brasiliane Micheal Löwy insiste sugli elementi di convergenza in merito al potenziale di ribellione delle correnti religiose, come attualmente si manifesta nella teologia della liberazione in America Latina, cfr. M. Löwy, La guerre des dieux. Religion et politique en Amérique Latine, Paris, Félin, 1998, cfr. anche Id., Leonardo Boff et Frei Betto, la théologie de la libération, in C. Bonfiglioli u. S. Budgen (hrsg.), La planète altermondialiste. Guide critique de la pensée de Samir Amin, Pierre Bourdieu, Bernard Cassen, Noam Chomsky, Susan George, Naomi Klein, Sous-Cdt Marcos, Toni Negri, Arundhati Roy, etc., Paris, Textuel, 2006. La critica marxista al feticcio delle merci troverebbe il suo equivalente nella battaglia della teologia della liberazione alla mortale idolatria del mercato; en- trambe avrebbero in comune l’ethos morale avverso alla reificazione, la rivolta profetica e soprattutto la solidarietà dei poveri e degli oppressi contro l’alienazione. Siccome Löwy si pone nella tradizione di un romanticismo rivoluzionario caro al giovane Lukács o della trasformazione dei tesori utopistici di spe- ranza, propri delle religioni, in un messianesimo ateo, non c’è da stupirsi che egli cerchi ispirazione per l’attuale «prassi rivoluzionaria», insieme al giovane e dinamico candidato alla presidenza dei trotzkisti francesi (LCR) Olivier Besancenot, nel guevarismo latino-americano, cfr. O. Besancenot et M. Löwy, Che Guevara, une braise qui brûle encore. Paris, Mille et Une Nuits, 2007. Nell’Ontologia Lukács analizza da più punti di vista il potenziale di ribellione delle religioni, orientato ad un’autentica «specificità del genere umano per sé», soprattutto in sette e movimenti eretici, anche se poi giudica con scetticismo il loro potenziale innovativo in ambito religioso, cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 724, specialmente perché le chiese hanno ripetutamente dimostrato nei confronti di questi movimenti innovativi una grande abilità nell’integrarli, mantenendo lo statu quo, cfr. ivi, pp. 689-700. Ciononostante, egli dimostrò grandissimo rispetto nei confronti di personalità religiose meritevoli di riconoscimento (da Meister Eckard sino a Dietrich Bonhoeffer e Simone Weil), e non esitò – andando contro le resistenze del- lo schieramento comunista – ad esprimersi in favore di una collaborazione con teologi progressisti (Barth, Niemöller, preti operai francesi e molti altri ancora), specialmente nella lotta per la pace, cfr. Id., Der Kampf des Fortschritts und der Reaktion in der heutigen Kultur, «Aufbau» 9 (1956), p. 762 sgg. Se poi Lukács, oltre a ciò, avesse anche aderito ad alleanze politiche con movimenti religiosi progressisti come la teologia della liberazione, non può esservi alcun dubbio che già il suo interesse per l’ontologia lo avrebbe indotto a distinguere nettamente tra le rispettive posizioni ideologiche, cfr. anche J. Lukács, Die Probleme von Religion und Irrationalität im Schaffen von Georg Lukács cit., pp. 26 e 41. La fede religiosa è quindi da considerare come una forma di alienazione, cioè, in linea di principio, come un ostacolo – pratico ed ideologico – sulla via dell’emancipazione dell’umanità costruita sulla conoscenza della realtà.

104  Cfr. U.-J. Heuer, Marxismus und Glauben cit., p. 289.

105  Cfr. ivi, p. 117.

106  Cfr. ivi, p. 306.

107  Cfr. in particolare vi, pp. 188, 199, e 204 e sgg.

108  Cfr. ivi, pp. 289-300.

109  Cfr. G. Lukács, Vorwort (1967) cit., p. 17. Dopo l’Estetica di Heidelberg, scritta nel 1916-1918 ancora sotto l’influsso neo-kantiano (cfr. R. Dannemann, Georg Lukács zur Einführung cit., p. 14) e la Teoria del romanzo, nata nel 1916 «ancora nello stato d’animo di diffusa disperazione» dovuto alla prima guerra mondiale, tanto che «il presente vi appariva fichtianamente come uno stato di assoluta peccaminosità» (cfr. Id., Vorwort (1967) cit., p. 17), il saggio Tattica e etica, pubblicato nel 1919, segnò il passaggio di Lukács dalla disperazione, indotta dalla guerra, all’entusiasmo messianico-idealistico, suscitato dalla rivoluzione russa. Anche questa fase di passaggio
nei suoi «anni di apprendistato del marxismo» sarà comunque solo di breve durata, visto che, fra l’altro, nella recensione La nuova edizione della corrispondenza di Lassalle del 1925 (cfr. Id., Scritti politici giovanili 1919-28, tr. it. di P. Manganaro e N. Merker, Bari, Laterza,

1972, p. 206 sgg.), Lukács riconduce la propria critica sociale ad una «più concreta base economica» e, di conseguenza, disapprova in Lassalle proprio l’idealismo soggettivistico fichtiano (cfr. Id., Vorwort (1967) cit., pp. 36-37). Lukács sottolinea qui come, a parer suo, in Lassalle il riferimento filosofico a Fichte sia

«ancorato ad una visione puramente idealistica del mondo», che di fronte all’al di qua recalcitrerebbe con presuntuoso radicalismo. Questa recensione sarebbe al tempo stesso una polemica teorica contro le correnti della socialdemocrazia di allora, che correvano il rischio di imborghesirsi, e quindi di allonta- narsi da Marx. Già nel 1925 Lukács criticava dunque un volontarismo idealistico e soggettivistico, che nell’Ontologia analizzerà chiaramente come pendant, orientato all’etica neo-kantiana (come nella Scuola di Marburgo), di una realtà esteriore dominata dalla (assoluta) necessità, quale si riscontra per es. nel feticcio della necessità, rappresentato dalla «legge bronzea dei salari», cfr. Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 157.

110  Cfr. ivi, p. 156.

111   Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 112.

112  Cfr. ivi, p. 278.

113  Cfr. Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., p. 76.

114  Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 6.

115  Alla presentazione e derivazione storico-filosofica di questo conflitto nella filosofia contemporanea è de- dicato gran parte del primo volume dell’Ontologia. Qui se ne possono naturalmente indicare solo i tratti fondamentali, con particolare riguardo a quelli connessi al bisogno religioso, cfr. ivi, p. 85 sgg. Tradi- zionalmente la teoria della conoscenza ebbe un ruolo solo subordinato e complementare all’ontologia, la quale aveva come obiettivo la conoscenza della realtà in se stessa, e perciò adottava come criterio di verità la corrispondenza fra la conoscenza ed il suo oggetto, cfr. ivi, p. 38. All’indipendenza della gnoseologia, portata a compimento da Kant, anche l’attuale filosofia della scienza attribuisce un’importanza paradig- matica al realismo scientifico, che ricorre al concetto di «epistemic bias» oppure di «epistemic fallacy»; Bhaskar riconduce lo stravolgimento gnoseologico addirittura al presocratico Parmenide, cfr. R. Bhaskar, A realist theory of science, London, Verso, 1997, pp. 36 e 44-45.

116  Cfr. G. Lukács, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 3-4.

117  Cfr. Id., Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 231.

118  Cfr. U.-J. Heuer, Marxismus und Glauben cit., p. 306. Perciò si può essere senz’altro d’accordo quando afferma: «Essere marxista non è solo la scelta di una teoria, bensì anche la scelta di un comportamento. In questo il marxismo si rivolge al singolo» (ibidem). Dare un significato etico diventa ora perfino più urgen- te rispetto all’epoca in cui Lukács vedeva ancora la religione e soprattutto la chiesa cattolica costrette alla difensiva durante il Concilio Vaticano Secondo, e in cui le battaglie ideologiche del XVII e XVIII secolo sulla possibilità di un comportamento etico in assenza di religione o addirittura nell’ateismo sembravano appartenere al passato, cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., II, p. 680. Nello scenario del (provvisorio) trionfo sul materialismo (marxista) si deve constatare un tipico incremento di significato della religiosità, come direbbe Lukács (cfr. Id., Estetica cit., vol. II, p. 1458), come reazione all’aggravarsi della crisi mondiale. Papa Benedetto XVI vede la propria missione nel compensare la perdita ideologica di terreno con un’offensiva conservatrice, che, con la pretesa di verità universale della fede, in ultima analisi esige la sottomissione della ragione alla fede stessa, cfr. H.H. Holz, Joseph Ratzinger, der Papst aus Karthago, «Junge Welt», 20.10.2007, cfr. anche H. Hoping u. J.-H. Tück, Der Wahrheitsanspruch des Glaubens. Joseph Ratzingers theologisches Profil, «Neue Zürcher Zeitung», 22.04.2005. Il papa so- stiene che senza fondamento religioso non sia possibile ritenere valido alcun comportamento morale (cfr. Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della scienza, Aula Magna dell’Università di Regensburg,

12 settembre 2006 e Lettera Enciclica, Spe Salvi, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2007), poiché una ragione orfana di trascendenza diventerebbe «insensata» e condurrebbe ad Auschwitz e nel gulag, cfr. H. Tincq, Frédéric Lenoir: qui a sauvé le Christ? Critique, «Le monde des livres», 21.12.2007, cfr. anche K. Wenzel u. K. Flasch, Die Religionen und die Vernunft. Die Debatte um die Regensburger Vorlesung des Papstes, Freiburg im Breisgau, Herder, 2007. La battaglia per la supremazia ideologica si esprime attualmente soprattutto nell’allarmante diffusione planetaria del neo-creazionismo, specialmente sotto forma del concetto di «intelligent design», tanto che anche il Consiglio d’Europa mette in guardia dal suo infiltrarsi nella scienza e nel sistema educativo, cfr. S. Le Bars, Le Conseil de l’Europe souligne les dangers du créationnisme dans l’éducation, «Le Monde», 26.06.2007. Perfino in Francia, dove la tradizionale separazione fra Stato e chiesa è molto marcata, il Presidente Sarkozy recentemente ha inteso americanizzare il concetto di laicismo, sostituendo alla tradizione, che vuole l’ambito pubblico libero da qualsivoglia tutela religiosa, una pubblica esortazione alla pratica religiosa, cfr. D. Vernet, Dieu bénisse l’Amérique. Chronique, «Le Monde», 26.12.2007, – e giustificando tale atteggiamento, del tutto rispon- dente alle intenzioni del papa, con l’affermazione che non ci sarebbe vera morale senza fondamento religioso, cfr. Y. Quiniou, Laïcité: l’approche sarkozyenne, «Le Monde», 28.12.2007. Di fronte ad un simile avanzare dell’irrazionalismo, favorito dallo Stato stesso, il riferimento ad una filosofia e ad un’etica marxista rinnovate diventa un’urgente necessità.

119  Cfr. G. Lukács, Per l’ontologia dell’essere sociale cit., I, p. 6. Tuttavia Lukács richiama l’attenzione sul fatto che sotto Stalin anche il marxismo – così come il neopositivismo borghese, che giustificava filosoficamente qualsiasi manipolazione, da qualunque parte venisse, «tornò a deformarsi in un misto disorganico di necessità meccanica e volontarismo (manipolazione rozza)» (ivi, II, p. 609). Perciò il rinnovamento ontologico del marxismo dovrebbe affermarsi contrapponendosi sia agli influssi occidentali neopositivistici – neo-kantiani, che vogliono mortificare la dialettica, sia alla canonizzazione tattica orientale, che vuole giustificare manipolazioni su basi volontaristiche, cfr. Id., Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale cit., pp. 117-118.