La Scienza Nuova di Vico di fronte alla Mathesis Universalis
di André Tosel
1. Una scienza forte in senso moderno
Dobbiamo ancora interrogarci sulla scientificità e la novità che Vico rivendica alla sua grande opera. A prima vista, rivendicazioni di questo tipo non hanna niente di nuovo nei Tempi Moderni, che non tarderanno a nominarsi da se die Neue Zeit.
I grandi fondatori o rifondatori dei secoli XVII e XVIII si sono tutti definiti rispetto all’idea di una scienza nuova che passi i limi ti della scienza naturale per diventare metafisica e/o teoria della conoscenza, a partire da Bacone e dal suo Novum Organon, Galileo, Cartesio, Leibniz, Locke, Newton. Per quanta riguarda l’attivita umana, un quasi contemporaneo di Vico, Montesquieu, collocherà il suo capolavoro, Lo spirito delle leggi, sotto la rubrica prolem sine matre creatam. La nozione di «scienza nuova» ricopre dei significati differenti ma collegati tra loro: designa innanzitutto regionalmente la scienza matematica della natura, la fisica, rna anche la nuova teoria della cono scenza divisa tra il razionalismo delle idee a priori e l’empirismo della genesi sensistica delle idee. S’identifica infine con la nuova metafisica che comprende una teologia, una cosmologia e una psicologia, paste tutte e tre come razionali.
Con Vico queste tre determinazioni sono formalmente conservate, ma esplicitamente riposizionate. In primo luogo, «la scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni» – questo è il titolo esatto – non è certo una fisica, ma intende comunque dar luogo al sapere dell’agire umano studiando le relazioni intelligibili comuni a tutte le nazioni, relazioni che sono iscritte innanzitutto in un’antropologia fondata sull’attivita semiotica e che strutturano le credenze religiose, i costumi, il diritto, le lingue; queste funzioni sono còlte tutte nella loro dimensione storica e radicate nel simbolismo mitopoietico dell’immaginazione degli inizi barbari dell’umanita – l’età degli dei e quella degli eroi.
Il nuovo metodo che guida la scienza nuova implica poi una teoria della conoscenza che unisca una dimensione semiotica allargata – che Vico chiama filologia – e una costruzione concettuale che elabori il materiale riunito – che Vico chiama filosofia- e di cui è data una specificazione in relazione al tema moderno della critica come « nuova arte critica metafisica ». Infine, la pretesa di sostituire la metafisica tradizionale, antica e medievale, rna anche la metafisica moderna – altrettanto astrusa e astratta -, e le sue tre discipline costitutive, si manifesta nelle denominazioni che Vico inventa per significare chela critica della metafisica astratta alla quale si dispone si compie dal punto di vista di una nuova metafisica, che ha come prima designazione o primo aspetto di essere «una teologia civile ragionata della provvidenza divina» (1)
Questo riposizionamento è messo in atto dallo stesso Vico, che sostituisce alla triplice determinazione «scienza nuova della natura», «nuova teoria della conoscenza» e «nuova metafisica», una lista di sette aspetti per circoscrivere la novità della sua ricerca e il suo ambito. Il libro II, dedicato alla sapienza poetica, nella prima sezione tratta della «metafisica poetica» e, a partire da questa, sviluppa gli aspetti generali della Scienza Nuova. Al primo aspetto menzionato, è opportuno aggiungere gli altri: storia ideale eterna del corso seguìto dalle nazioni, filosofia dell’autorità, storia d’umane idee, critica filosofica che assicuri la comprensione della teogonia naturale, sistema del diritto naturale delle gentes, principi della storia universale. Questa lista non è una semplice classificazione, rna intende identificare tutti gli aspetti che permettono di raggruppare sotto i loro principi le conoscenze inscritte nell’ inizio poetico quali s’impongono attraverso il loro esame (2).
E’ noto che la scienza vichiana si è costituita fin da principio attraverso un confronto con Cartesio. E’ come se essa volesse imitarne, su altre basi e in vista di un progetto differente, perfino contrario, la radicalità e l’ampiezza. Cartesio intende rifondare la metafisica come disciplina in grado innanzitutto di garantire l’oggettività della scienza matematica e fisica di cui è il fondatore epocale. L’«io» teoretico è il fondamento epistemico di un’impresa che, per sviluppare la conoscenza dei diversi ambiti oggettuali, esige il fondamento ontologico del vero Dio. La meditazione metafisica è la forma elettiva della filosofia, essa riflette il nuovo metodo che si serve di nuove regole per la direzione dello spirito. Essa è intrinsecamente legata all’immenso progetto di una mathesis universalis che squalifica i saperi marcati dalla retorica e dalla dialettica, legati ai bisogni umani resi manifesti dalla storia. L’albero della conoscenza, di cui la metafisica dell’ego veridico e del vero dio e la radice, ha per rami la nuova scienza fisica in via di costituzione e di ampliamento e una scienza morale da costituire sulla sostanza composta (corpo e anima) che definisce l’uomo, articolata razionalmente intorno al progetto di divenire padrone e possessore della natura, di diventare l’ingegnere di una tecnologia sociale straordinaria. Di fronte al grandioso disegno della mathesis universalis,Vico non intende per nulla rinunciare nè a un forte progetto teorico nè al rigore epistemico. Sostituisce all’idea cartesiana di sapere un’altra idea di scienza, altrettanto radicale, spostando verso la storia civile e le sue origini poetiche ciò che la metafisica ricerca dallato dei principi a priori e astratti di una teologia e di un’antropologia razionali.
Che Vico ricalchi l’idea moderna di mathesis universalis è provato formalmente dal fatto che il Libro I della Scienza Nuova, intitolato «Delio stabilimen to de’ principi», faccia seguire alla tavola cronologica composta dagli eventi che vanno dall’età degli dei e da quella degli eroi fino all’inizio dell’età degli uomini (I secolo a.C.) dei commentari e soprattutto tre sezioni propriamente teoretiche. Si tratta innanzitutto di quegli elementi o assiomi che sono come il sangue che permette di dar vita al materiale cronologico (sezione 2); poi di quei principi (sezione 3) che si riassumono nella tesi che il mondo delle nazioni è fatto dall’agire umano e che riposa su un ordine costituito da tre funzioni invariabili, la credenza in un dio provvidente, la pratica del matrimonio che strappa l’istinto sessuale alla bestialità per fame un’istituzione, e la pratica delle sepolture che indica l’appropriazione umana della terra sotto la luce del cielo divino e la fede in un’anima spirituale che continua dopa la morte.
E’ infine esposto il metodo messo a punto nel corso dell’elaborazione concettuale del materiale storico, e tradottosi nella scoperta degli assiomi e dei principi (sezione 4). Questo metodo consiste nel fare delle ipotesi sulla prima età dell’umanità, che si produce autonomamente grazie all’invenzione dell’ordine simbolico e si perpetua grazie al fatto provvidenziale che le istituzioni legate a degli interessi particolari producono un ordine che supera e integra questi interessi per tutto il tempo che la mediazione operata dal terzo simbolico e effettiva. Assiomi, principi, metodi, l’apparato concettuale proprio della scienza moderna e proiettato sul piano della materia umana prodotta nelle prime età.
La determinazione produttiva e autoproduttiva dell’ordine umano – che è l’ordine delle istituzioni dell’umano informato dall’ordine simbolico del linguaggio e dei segni – fa della Scienza Nuova una nuova scienza concreta dell’ordine, di cui la mente puo produrre e riprodurre le ragioni e le cause allo stesso modo che la mente geometrica puo produrre l’ordine delle sue veritàastratte. Il riferimento alla mathesis sembra allora imitare la produzione del conatus all’interno della natura naturans e naturata nell’Etica di Spinoza, che riduce al minimo necessario la metafisica astratta per rendere conto dell’ordine di effettuazione dei conatus. Facciamo riferimento al testo in cui e sviluppata l’analogia tra geometria e scienza della storia come storia ideale eterna (3). La teologia civile ragionata della Provvidenza divina prende l’aspetto di «una storia ideal eterna, sopra la quale con on in tempo le storie di tutte le nazioni ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini». Questa storia è sostenuta dal principio della produzione dal momento che «questo mondo di nazioni [è] stato certamente fatto dagli uomini » e che il sapere a lui relativo deve riprodurre idealmente, produrre nel pensiero, questo ordine di produzione. L’ordine produttivo del pensiero attualizza le possibilità di produzione inscritte nella mente umana che agisce storicamente: « in tanto chi medita questa Scienza egli narri a se stesso questa storia ideal eterna, in quanto -essendo questo mondo di nazioni stato certamente fatto dagli uomini (ch’e ‘l primo principia indubitato che se n’e posto qui sopra), e perciò dovendosene ritruovare la guisa dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana- egli, in quella pruova ‘dovette, deve, dovra’, esso stesso sel faccia »(4).
L’identità nella distinzione tra il principio dell’effettiva produzione mediato dalla potenzialità della mente e il principio di riproduzione teorica compiu to dalla stessa mente postasi in stato di meditazione succede al principio di produzione di verità geometriche da parte dell’intelletto la cui riflessione è opera dell’io, soggetto solitario, che medita la verità. La filosofia idealistica, soggettiva e a priori, è astratta perchè riposa su una versione astratta e limitata del principio di produzione che la nuova scienza generalizza e riflette al livello che le compete, quello della storia delle nazioni. «Ove avvenga che chi fa le cose esso stesso le narri, ivi non può essere più certa l’istoria» (5).
La scienza nuova può allora essere compresa in analogia con la geometria. «Cosi questa Scienza procede appunto come la geometria, che, mentre sopra i suoi elementi il costruisce o ‘l contempla, essa stessa si faccia il mondo delle grandezze; ma con tanto pili di realità quanta più ne hanno gli ordini d’intorno alle faccende degli uomini, che non ne hanno punti, linee, superficie e figure» (6).
Come puo essere valutata questa analogia che intende prima di tutto assicurare alla nuova scienza la possibilità di essere un sapere di dignità eguale alla geometria, ma che da alla scienza nuova del fare umano una superiorità ontologica? Formalmente, le due scienze, ciascuna produttri ce del proprio mondo, l’uno astratto, l’altro superiormente reale, dipendono da una metafisica del produrre, di cui l’una relaziona il fare all’ego veridico, l’altra alla comune natura delle nazioni. Tutte e due si danno come oggetto un ordine prodotto di cui occorre contemplare lo sviluppo, il divenire vero. Ma c’è ancora da pensare la specificità dell’ordine che definisce il contenuto della storia ideale eterna, della quale sappiamo che può anche essere chiamata teologia civile ragionata della Provvidenza divina, o filosofia dell’autorità, o storia d’umane idee, o critica filosofica, o sistema del diritto naturale delle nazioni pagane, o scienza dei principi della storia universale.
2. La Scienza Nuova come ripetizione trasformatrice della fisica cartesiana
Per cercare di chiarire le cose, partiamo da un paragone con Descartes e, più precisamente, con la fisica, che è una parte essenziale della mathesis universalis. In effetti, Vico porta a termine il ciclo del cartesianesimo negandolo nella misura in cui introduce nella sua scienza tutto ciò che Descartes aveva escluso quando aveva proposto di sviluppare una scienza dell’uomo in termini psico-fisici. Vico non s’interessa alla sistemazione della scienza del complesso umano che Cartesio annuncia alla fine del Trattato del Mondo, ma prende sul serio il movimento di questo stesso Trattato in cui Cartesio si presenta come il delegato ipotetico di Dio e procede alla concatenazione dei momenti attraverso i quali il creatore crea il mondo e i suoi elementi secondo le leggi della grandezza e del movimento per concentrare l’umanità nella libera soggettività e volontà morale.
Cartesio riproduce nel pensiero la genesi del mondo fisico fino alla creazione dell’uomo, chiamato a partecipare alla sua produzione facendosi co-crea tore a partire da se stesso. Fin dal De nostri temporis studiorum ratione, Vico sostiene che Cartesio pecca di una doppia presunzione o vanità. Da una parte, egli s’immagina che la nuova fisica produca il sapere del mondo quale esso è in sè, cioè nel momento in cui esce dal gesto divino. Ora, la scienza del mondo può essere soltanto congetturale e meramente relativa, dal momento che stricto sensu soltanto Dio puo conoscere il mondo, poichè l’ha fatto. D’altra parte, Cartesio stabilisce la nuova scienza del complesso psico fisico come un’antropologia della soggettività incarnata, destinata al dominio e al possesso del mondo, rinchiusa nella sua solitudine egologica costituente. Questo sapere ignora ciò che costituisce il mondo umano come mondo determinato o certo, materializzato nel suo linguaggio e nella sua letterarietà (quella studiata dalla retorica, dalla topica e dalla dialettica), nelle sue istituzioni (diritto, religione, comunita familiari e politiche, Stato).
Per Vico, occorre ricominciare l’impresa del sapere senza credere che il sapere cominci veramente a partire dal momento in cui l’ego intende costruire l’edificio della conoscenza su dei puri principi a priori separati da ogni condizione di tempo e di luogo a partire da una cesura radicale tra l’errore e la verità, la fantasia e la ragione. La Scienza Nuova intende ricominciare gli inizi della conoscenza a partire dalla critica dell’inizio all’interno dell’ego veridico che si dà da se stesso, nell’assolutezza della sua libera decisione, il progetto della mathesis universalis. Questa critica concerne anche il supposto termine della mathesis, l’etica scientifica che intende comporre l’ideale stoico di mortificazione dei sensi e di dominio totale delle passioni e l’ideale epicureo di soddisfazione ragionata del desiderio individuale. Cio che Vico dice degli stoici e degli epicurei vale a fortiori per un’etica che intenda com porre questi due momenti e che resta confacente ai «filosofi monastici o solitari» (7). Questa caratterizzazione resta enigmatica: se è facile comprendere che Vico deplori l’incapacità che questa etica ha di volgersi in filosofia politica, che la mathesis universalis includa una scienza dell’uomo incapace di essere una filosofia politica, la definizione della filosofia politica è apparentemente oscura, poichè è esposta dai platonici e consiste nell’accordarsi coi legislatori sostenendo insieme a loro i tre principi di legislazione che seguono: «che si dia provvedenza divina, che si debbano moderare l’umane passioni e farne umane virtù, e che l’anime umane sien immortali» (8).
La situazione si chiarisce se ci si richiama alla rielaborazione della questione dell’inizio della scienza intesa come teologia civile ragionata della Provvidenza divina. La metafisica come meditazione del cogito sum, deus est ha ragione su un punta. I principi devono essere al sicuro dal dubbio, rna Cartesio non esce dal dubbio o ne esce facendo ricorso all’evidenza divina posta come idea innata all’interno della spirito. Lo spirito non può mettere in dubbio ciò che genera, ciò che esso stesso rende vera, verifica nelle sue modificazioni, nella misura in cui queste modificazioni si traducono nella produzione del mondo civile. Si sara riconosciuto qui il testo più citato di Vico:
«Ma, in tal densa notte di tenebre ond’e coverta la prima da noi lontanissima antichità, apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità, la quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio; che questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perchè se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana» (9). Ora, nel suo inizio barbaro, questo mondo civile si produce attraverso una triplice istituzione teologico-politica. I principi universali della scienza nuova scaturiscono dalle origini del fare umano, cioè da istituzioni umano-divine – divine perchè credute tali secondo una finzione poetica letteralmente originaria; istituzioni in quanto in esse e attraverso di esse l’umanità, come umanità di nazioni barbare, s’istituisce. Gli uomini producono, come cose sulle quali si sono accordati e si accordano sempre, una trinità d’istituzioni o «umani costumi»: la credenza in una religione materializzata in riti di divinazione; i matrimoni certi coi quali la sessualità entra a far parte di un’istituzione e si subordina alla famiglia; le sepolture date ai morti che fissano la spartizione della terra nel rispetto del cielo. Queste tre legislazioni sono «costumi eterni ed universali». Razionalizzati, essi diventano dei principi metafisici. La scienza non può prendere come principi la loro forma razionalizzata e astratta, soprattutto se questa forma riposa sull’oblio della dimensione civile e politica di questi principi. L’inizio della scienza non può rinviare all’«ego cogito deus est» di Cartesio. Rinvia all’inizio dell’umanità che si produce producendo una religione civile che informa le prime istituzioni, cioe la gens, il suo diritto e la sua morale. Facimus mundum civilem, fingemus deum credimusque, possiamo dire noi.
Cartesio ha cancellato tutto da questo inizio per sostituirgliene un altro; ha costretto la civiltà mito-poetica degli inizi a sparire davanti al fondamento riflessivo dell’egoità pura e universale che, al termine della conquista del mondo, che presume di dominare, ritrova soltanto se stessa nella propria libera soggettività, e si determina come puro desiderio solitario d’affermazione e di godimento all’interno di una civiltà divenuta acivile.
Là dove Cartesio, attraverso il dubbio iperbolico, faceva il vuoto della storia, dei pregiudizi della tradizione e dell’infanzia, delle superstizioni e dei miti veicolati dalle lingue, per sostituire loro il duplice fondamento del cogito e del Dio presente nel nostro intelletto come idea dell’essere più perfetto, Vico fa il vuoto di questo vuoto e lo sostituisce col pieno del fare umano. Ma questo pieno e a sua volta innanzitutto pieno di vuoto poichè si perde nella notte dell’antichità. Bisogna dunque fare un altro vuoto che riguarda la boria delle nazioni e la boria dei dotti. La prima consiste nel fatto che « ciascheduna [nazione] si è tenuta la più antica di tutte e serbare le sue memorie fin dal principio del mondo» (10).
La seconda consiste nel fatto che i dotti « ciò ch’essi sanno vogliono che sia antico quanto ch’e il mondo »(11). Come pensare l’inizio e riempire questo doppio vuoto (quello delle tenebre che emerge dopo l’eliminazione delle due borie operata dalla critica)? Il vuoto e riempito attraverso le favole delle origini, comuni alle nazioni e il cui nucleo e il grande racconto della presa di significato della natura e in particolare del cielo: le nazioni pagane nel periodo successivo al diluvio del racconto biblico sono state fondate da giganti che sono entrati nell’umanità per la credenza nella divinità del cielo tuonante e, con questa finzione (Giove), hanno prodotto l’ordine delle istituzioni umane (matrimonio e sepoltura). Sulla base della critica filologica – che testimonia l’esistenza di uno stesso fondo comune, per quanto riguarda le credenze e i costumi, agli inizi conosciuti della storia -, la critica filosofica « giudicherà il vero sopra gli autori delle nazioni », stabilendo il rapporto tra la teogonia poetica inventata dalla fantasia dei giganti e « certe loro umane necessità o utilità »(12). Esiste una verità delle favole o dei miti, e una verità civile. « Idee uniformi nate appo intieri popoli tra essoloro non conosciuti debbon avere un motivo comune di vero» (13). Ne segue un « gran principia » : «le prime favole dovettero contenere verita civili, e percio essere state le storie de’ primi popoli» (14). I segni, le paro le, gli scritti, i testi, la «certa» significativita che informano i costumi, lepra tiche e le istituzioni danno accesso all’inizio e colmano il vuoto dell’origine.
Vico e partito quindi come Cartesio per andare altrove e altrimenti. Corne Cartesio, nel Trattato del Mondo, rifà il racconto biblico della creazione del mondo, imitandolo e traducendolo in costruzioni razionali, cosi Vico neutralizza la storia sacra mettendola da parte e riconoscendole una specificità senza efficacia sul resto della sua opera. Ma, a differenza di Cartesio, non situa il vero inizio nel principia ontologico del cogito che ritrova in se il Dio creatore ridotto a una funzione di garante epistemologico. Il vero inizio e il mondo civile e mito-poetico pagano. Coincide con l’emergenza simultanea della funzione semiotica e della funzione delle istituzioni umane, della famiglia, della città, del diritto e della religione, insomma di tutto ciò che definisce la sapienza poetica. Alla meditazione metafisica che intende attualizzare e preservare la libertà, il libero arbitrio del soggetto destinato alla produzione e alla dominazione scientifica e tecnica del proprio mondo, succede una meditazione metafisica in cui la metafisica si riduce o piuttosto si traduce in un pensiero della storia non progressista, che è insieme civile e mito-poetica, metafisica della libertà produttrice di significatività e di istituzioni civili nella storia.
3. La Scienza Nuova come scienza degli ordini civili-simbolici e il riposizionamento della critica spinoziana
L’idea forte di scienza intende inscriversi, per riformarla, nella nuova concezione moderna della scienza come scienza dell’ordine. Ma questa scienza non intende concatenare, secondo l’ordine delle loro ragioni, la matematica, la fisica e l’antropologia della libertà. Anche la sua categoria formale unificatrice e quella di produzione. Ma l’ordine di Vico non rinvia a una soggettività che produce delle idee vere di nature definite dal loro tipo di movimento, e un ordine soggettivo-oggettivo prodotto da una potenza fantastica collettiva e civile che organizza lo sviluppo delle nazioni secondo i principi della loro natura comune nel quadro della storia ideale eterna. Tuttavia, non basta chiarire il riposizionamento imposto alla mathesis universalis cartesiana e al rapporto tra metafisica e fisica. Occorre ritornare sul problema della finzione teologico politica ed esaminare su di un piano strutturale il rapporto della nuova scienza con un’altra versione- anomala, questa volta – della scienza e della metafisica moderne, quella dell’Etica di Spinoza intesa nel suo rapporto col Trattato teologico-politico. Spinoza non sviluppa più una mathesis universalis che espliciti la potenza fondatrice di un soggetto destinate a una libertà volontarista.
Il suo progetto è di costituire una scienza dell’etica estesa al politico, e questa scienza esige innanzitutto un minimo di tesi ontologiche ed epistemologiche, che si pongono come una rivoluzione teorica. Questa rivoluzione squalifica la teologia politica che mantiene la creazione e la libertà della volontà, e lo fa mostrando che il nucleo di questa teologia politica è prodotto dalla fantasia nel suo regime di produzione di finzioni superstiziose efficaci. Questa critica si serve della considerazione dei dati della rivelazione ebraica e cristiana e prende la forma di una historia sincera delle Scritture in cui si da conto della produttivita della fantasia profetica nel tempo stesso in cui si nega ogni dignità scientifica a questa stessa produttività, che è efficace nella misura in cui produce un ordine teologico-politico durevole. Questo ordine dev’essere pensato come una forma che non pua pensare in modo adeguato l’ordine produttivo della natura in cui s’inscrive. La categoria di produzione manifesta qui ancora una potenza in grado di strutturare l’ontologia sviluppata nella parte I dell’Etica. Questa parte presiede al processo di liberazione etica chiarito dal punto di vista della forma di vita e di pensiero chiamata ragione.
Questa forma non pua disporre di un’efficacia civile paragonabile alla forma di vita e di pensiero prodotta dalla fantasia, ma può fare di questa forma un oggetto di scienza e produrre la comprensione delle sue possibilità di sistemazione quasi ragionevole. La fantasia resta attiva, rna la ragione pua comprenderne le opere e la forza, cosi come pua predisporre un modus vivendi con essa (la religione cattolica deliTP). La metafisica di Spinoza è inseparabile da cia che fa di essa una critica filosofica e un sistema di diritto naturale, e soprattutto essa attualizza una dimensione della storia suggerendo che il passaggio dalla teocrazia a delle forme liberali di regime politico è inscritto nella modernità come lo è la transizione dalla fantasia alla ragione. Essa non è certo una teologia civile ragionata della Provvidenza divina, nè una storia ideale eterna – questi elementi appartengono alla Scienza Nuova . Ma anch’essa prende in considerazione tutto cia che Cartesio aveva eliminato.
Se Vico critica Spinoza in quanta filosofo monastico sostenitore del destino e negatore della Provvidenza, se vede in lui un filosofo che promuove gli ideali dei mercanti e dell’individualismo egoista, è comunque in accordo con lui nella misura in cui sviluppa una teoria critica della storia che intende pensare il complesso teologico-politico di un popolo nemico della filosofia. Questa teoria cerca di spiegare e comprendere il potere di significazione delle favole bibliche e sviluppa a tal fine una scienza dei testi, della testualità costitutiva di un ordine civile e religioso. Il capitolo VII del TP, dedicato al metodo d’interpretazione dei testi della Scrittura messo in pratica nei capitoli precedenti, ha come centro la historia sincera della Scrittura, presentata come un insieme di libri prodotti dalla fantasia costituente di uomini costretti dalla propria impotenza a produrre delle finzioni, che credono siano loro rivelate attraverso la mediazione dei profeti e che interpretano come guide di vita.
La storia critica consiste innanzitutto nella stabilire in modo certo questi testi, a considerarli come delle realtà non deducibili razionalmente, racconti considerati come delle rivelazioni, cronache politiche, prescrizioni rituali e cultuali e insegnamento morale. Il loro statuto è quello di vera narratio, racconti veri organizzati dalla credenza in finzioni prive di una verità speculativa relativa al Dio-Sostanza infinita. La historia sincera e una filologia che analizza le diverse versioni dei testi biblici, la costituzione dei canoni consacrati, studia le peculiarità del linguaggio biblico. Allo studio dei testi si aggiunge un’indagine contestuale che prende in considerazione la natura del popolo per il quale hanno senso e che li accoglie, la sua storia, le sue usanze, il suo modo di vita e di pensare, i suoi conflitti interni. Ma l’indagine filologica non basta, occorre stabilire la verità di questi testi. Essa non può essere speculativa poichè questi testi riposano sulla finzione immaginaria di un Dio geloso, non sull’idea vera di Dio. Ma la critica filosofica s’unisce questa volta a una rivalutazione d’ordine pratico. Le Scritture sviluppano simultaneamente, nella loro base superstiziosa, una concezione di Dio come istanza morale di giustizia e di carità, comune a tutte le religioni – le quali sono ormai comprese come capaci di criticare la loro base superstiziosa e di purificarsi divenendo religione morale, utile civilmente perchè produttrice di legami. La critica filosofica sostiene che ci sia una verità pratica della religione dell’ordine del legame civile.
Come si vede, Spinoza ha in qualche modo prodotto una critica che unisce la filologia (il certo) e la filosofia (il vero). Ha colto la forza dei racconti poetici della fantasia religiosa, distinguendo al tempo stesso ciò che ne fa delle narrazioni vere. La critica spinoziana precisa a quale livello questa verità si manifesta. Non può trattarsi del livello della ragione speculativa (questi racconti sono allora falsi poichè sono privati dell’idea vera di Dio), ma di quello di una quasi-ragione pragmatica (la loro verità coincide con la loro efficacia civile, con la capacità di strutturare un modo di vita antico), e di quello di una quasi-ragione pratica (essi enunciano delle verità che rafforzano il legame civile nel senso della giustizia e della carità).
Sembra che Vico si sia appropriato della historia sincera, rna spostandola dal campo della rivelazione giudaica e del popolo ebraico per farne la storia generale delle origini pagane e per darle come oggetto la sapienza poetica ristabilita nella sua verità. «La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia osserva l’autorità dell’umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo» (15). Sono definiti filologi «tutti i gramatici, istorici, critici, che son occupati d’intorno alla cognizione delle lingue e de’ fatti de’ popoli, così in casa, come sono i costumi e le leggi, come fuori, quali sono le guerre, le paci, l’alleanze, i viaggi, i commerzi» (16).
Vico da alla legge spinoziana della pro porzione inversa tra la fantasia e la ragione la dimensione di un processo storico di razionalizzazione che e anche allontanamento dalla sapienza poetica (17). La superstizione come tale e ormai ristabilita come vera narratio, racconto vero; e cio contro le tesi spinoziane, che non hanno colto l’autentica portata della metafisica poetica, che e quella di costituire una base, quasi un trascendentale dell’istituzione umana, senza il quale l’umanita non potrebbe istituirsi. Questa base puo subire delle trasformazioni nel senso della metafisica astratta, della razionalizzazione da cui sono uscite le scienze guidate dalla ricerca della utilita. Questa base non puo tuttavia essere liquidata da una cri tica filosofica della superstizione denunciata come puro immaginario, ne sostituita da una metafisica puramente razionale che si sprofonda nelle scienze.
Essa è foriera di una civiltà che dipende dalla fantasia come creatrice di significatività: i suoi prodotti non sono soltanto delle finzioni immaginarie destinate a sparire davanti allo spirito positivo (che sostituirebbe, senza residui, Giove con un’astronomia matematica). La fantasia vichiana riunisce in se cio che noi distinguiamo come l’immaginario e il simbolico.
La novità della Scienza Nuova non e solo quella di dare lo schema di una storia universale divisa in tre eta, ciascuna definita dalla sua natura, dai suoi costumi, dal suo diritto naturale, dal suo governo, dalla sua lingua, dai suoi caratteri, dalla sua autorita, dalle sue ragioni, dai suoi giudizi – aspetti che costituiscono l’oggetto del libro IV della Scienza Nuova. La sua novita consiste innanzitutto nell’avere pensato l’originalità e la positività della sapienza poetica, che attraversa in forme diverse le due prime età, quella degli dei e quella degli eroi. Più precisamente, la sua novità consiste nell’avere definito questa sapienza poetica barbara con la sua logica e la sua metafisica, che si esprimono in un linguaggio proprio, produttore di favole o miti. La metafisica poetica e «Sentita ed immaginata», attesta la potenza paradossale della fantasia presso «tai primi uomini, siccome quelli ch’erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie» (18). Nata dall’ignoranza delle cause e delle cose, la fantasia produce degli universali fantastici che non possono essere confusi con gli universali della logica.
Essa è poetica in tutti i sensi della parola, e l’umano si fa in questa poiesi. «Questa fu la loro propia poesia, la qual in essi fu una facultà loro connaturale (perch’erano di tali sensi e di si fatte fantasie naturalmente forniti), nata da ignoranza di cagioni, la qual fu loro madre di maraviglia di tutte le cose, che quelli, ignoranti di tutte
le case, fortemente ammiravano […]. Tal poesia incominciò in essi divina, perchè nello stesso tempo ch’essi immaginavano le cagioni delle case, che sentivano ed ammiravano, essere dei […]; nella stesso tempo, diciamo, alle case ammirate davano l’essere di sostanze dalla propria lor idea» (19).
Se Spinoza, sulla scia del materialismo epicureo, mostra che la fantasia, sotto la spinta del timore indotto dal corso non dominabile delle case, produce o finge gli dei, Vico mostra che la finzione divina produce l’umanita come suo effetto immediato. Il meccanismo di proiezione delle qualita sensibili su degli esseri che si rovesciano in finzioni che dominano la mente dei lora creatori e le lora pratiche non puo essere ridotto a una semplice alienazione priva di ogni altro statuto che non sia quello di un immaginario superstizioso. Esso e il montaggio spontaneo attraverso cui il mondo comincia a essere significativo per l’uomo, significando un senso trasmesso dalla divinità finta, un senso fondamentale che costituisce l’ordine simbolico della legge che regola la religione barbara, l’istituzione umana della famiglia e del diritto, tutti ordini al tempo stesso ricoperti e aperti dai primi sistemi semiotici. Questi sistemi isti tuiscono simultaneamente un ordine proprio, quello dei segni (prima muti, poi vocali e infine scritti), e un ordine che avvolge e surdetermina gli altri, poi che nessuno di questi ordini che istituiscono l’umanita come ordine puo effettuarsi senza la mediazione, senza l’istituzione di regimi di segni che compon gono le favole o miti. Questa rivela la scienza nuova come teologia civile ragionata della Provvidenza divina. L’ordine simbolico e certo un prodotto della fantasia, rna la sua natura e di costituire e istituire l’umanita secondo il suo ordine di sensa, di produrre il suo produttore secondo un circolo fondamenta le. «Vanamente gli uomini spaventati ‘fingunt simul creduntque’» (20).
La credenza nelle divinità che parlano agli uomini ha come effetto di costituire l’umanita che produce la finzione divina, la favola. Riandiamo alla scena primitiva veramente augurale in cui l’umanita, attraverso la semiotica della fabulazione, s’istituisce, o meglio e istituita. I bestioni, spaventati dal fulmine e dal tuono, «si finsero il cielo esser un gran corpo animato, che per tal aspetto chiamarono Giove, il prima dio delle genti dette ‘maggiori’, che col fischio de’ fulmini e col fragore de’ tuoni volesse dir lor qualche cosa» (21). «In tal guisa i primi poeti teologi si finsero la prima favola divina, la piu grande di quante mai sene finsero appresso» (22).
L’intero universo acquista cosi un significato per i sensi e per la fantasia di questi primi uomini, poeti teologi. L’uomo si produce dalla e all’interno dell’idolatria e della divinazione.
La logica si trova prima nella favola, il mythos, il cui nome tecnico è « universale fantastico». Vico rinforza la sua tesi con un’etimologia in cui l’immaginazione assume un ruolo significante, persino performativo. «’Logica’ vien detta dalla voce .\6yos-, che prima e propriamente significa ‘favola’, che si trasporta in italiano ‘favella’ – e la favola da’ greci si disse anco f-1U8os-, onde vien a’ latini ‘mutus’» (23) . La mente, come l’umanità, ha due radici, il mythos e illogos, che nella storia tendono a succedere l’uno all’altro invertendo le loro proporzioni iniziali. Prima di essere orale, illinguaggio e nato mentale, di una mentalità paradossale in quanto muta, legata ai segni e ai movimenti del corpo. E divenuto scrittura solo più tardi. Vico segue Strabane nel sostenere chela lingua muta è «stata innanzi della vocale o sia dell’articolata: onde .\oyos significa e ‘idea’ e ‘parola’ […], onde tal prima lingua ne’ primi tempi mutoli delle nazioni […] dovette cominciare con cenni o atti o corpi ch’avessero naturali rapporti all’idee: per lo che .\6yos- o ‘verbum’ significo anche ‘fatto’ agli ebrei, ed a’ greci significo anche ‘cosa’ […]. E pur f!U8os- ci giunse diffinita ‘vera narratio’, o sia ‘parlar vero’» (24). Il rapporto naturale non rinvia a una relazione con le cose di tipo fisico; e un rapporto naturale nel sensa dell’espressione della natura primitiva dei primi uomini. La sua naturalità e quella del mito poetico: « cotal prima parlare, che fu de’ poeti teologi, non fu un parlare secon do la natura di esse cose (quale dovett’esser la lingua santa ritruovata da Adamo, a cui Iddio concedette la divina onomathesia ovvero imposizione de’ nomi alle cose secondo la natura di ciascheduna), rna fu un parlare fantastico per sostanze animate, la maggior parte immaginate divine» (25).
La scoperta della sapienza poetica, della sua logica fabulatrice e del suo linguaggio segnico, permette di ritornare sulla mathesis universalis. Essa deve relativizzarsi due volte. Da una parte, cade nella storia, la quale e dischiusa dalla sapienza mito-poetica, invenzione dell’umanità come l’umano-divino. Essa s’inscrive percio nella storia del linguaggio, di cui è una forma particolarmente astratta e purificata dal momenta che si forma allivello più elaborato di scrittura. Nella stesso tempo, essa puo comprendere il suo rapporto con la storia e col suo inizio poetico solamente nella forma della rottura e della cancellazione, poiche pretende di essere un progresso decisivo nella conoscenza, e rifiuta il passato, il proprio passato, come errore, credendo che non ci sia alcu na verita nella vera narratio della favola. Il fonocentrismo dominatore del logos e il formalismo logico-linguistico che ne e una conseguenza sono ricondotti alla modestia e all’irriducibilita della funzione segnica o semiotica.
La mathesis universalis è la forma parossistica della metafisica astratta che vuole fondare se stessa e si perde nella propria boria, contribuendo a inaridire il fonda mito-poetico- cioè la condizione stessa della significatività- col pretesto della critica. «Ma, siccome ora (per la natura delle nostre umane menti, troppo ritirata da’ sensi nel medesimo volga con le tante astrazioni di quante sono piene le lingue con tanti vocaboli astratti, e di troppo assottigliata con l’arte della scrivere, e quasi spiritualizzata con la pratica de’ numeri, che vol garmente sanno di canto e ragione) ci è naturalmente niegato di pater formare la vasta immagine di cotal donna che dicono ‘Natura simpatetica’» (26).
D’altra parte, la mathesis universalis si e legata eccessivamente al progetto di una promozione dell’utilita individuale. La critica della sapienza poetica e degli universali fantastici in nome della ragione e dell’interesse compreso chiaramente hanna tendenzialmente distrutto le condizioni trascendentali del processo d’istituzione dell’umano definito dal riconoscimento della legge e della sua trascendenza. Più in generale, la metafisica astratta non può avere, relativamente allegame civile, la stessa potenza creativa della metafisica poe tica. Essa rinforza la ricerca dell’interesse individuale e si rivela in questa sensa «monastica» e solitaria. Non è sorprendente che possa declinare verso la forma di una nuova barbarie, quella che minaccia l’età degli uomini, la barbarie della riflessione. In ogni caso, essa non puo affatto impedire che i popoli si accostumino a «non ad altro pensare ch’alle particolari proprie utilità di ciascuno ed avevano dato nell’ultimo della dilicatezza o, per me’ dir, dell’or goglio, ch’a guisa di fiere, nell’essere disgustate d’un pelo, si risentono e s’in fieriscono» (27).
Se Spinoza ha potuto intravedere la base del pensiero mito-poetico e la sua funzione politica, non ha adeguatamente articolato i rapporti tra l’immaginario e il simbolico, e rimasto prigioniero del progetto della produzione di una risistemazione ragionevole della finzione nel sensa dell’utilità – e ciò condanna la sua filosofia, malgrado l’intenzione innovatrice dell’Etica, a restare anch’essa «monastica» e solitaria. Spinoza non ha messo a frutto la propria scoperta, quella della potenza dell’immaginazione, per compiere la riduzione del progetto della metafisica astratta allo statuto di una forma deviata e vagante dell’ordine simbolico che assicura la preservazione dell’istituzione dell’umanita. La Scienza Nuova e la scienza dell’istituzione dell’umanita come ordine simbolico-politico e della fragilita di questa ordine, incapace di resistere ai processi di demistificazione e di razionalizzazione che lo colpiscono – essi sono, al tempo stesso, dei processi di autodistruzione del legame civile all’interno di conflitti d’interessi razionalmente armati gli uni contra gli altri. Certo, Vico, provvidenzialista fino in fonda, pensa che la barbarie della