Il problema dell’ideologia nell’ «Ontologia dell’essere sociale»
di
ERICH HAHN
Il presente contributo si concentra sul significato dell’opera tarda di György Lukács L’Ontologia dell’essere sociale. Tale intento richiede tuttavia una precisazione. Il concetto di «ideologia» assume un’importanza rilevante nell’insieme delle opere di Lukács almeno a partire dagli anni ʼ20 del secolo scorso. Per incominciare sarebbe opportuno riconoscere l’importanza delle analisi critiche della genesi e della struttura storica dell’ideologia borghese a partire dal periodo classico tedesco e del suo passaggio all’ideologia imperialistica e fascista. Mentre là stavano in primo piano le espressioni filosofiche e politiche dell’ideologia, negli anni ʼ30 e ʼ40 l’attenzione si sposta sul ruolo e sulla funzione dell’arte e della letteratura nella vita ideologica della società. Sempre e senza interruzione l’interesse di Lukács era naturalmente rivolto all’ideologia del movimento operaio e allo sviluppo ideologico del socialismo nella rivoluzione d’Ottobre e nelle diverse fasi del suo evolversi. Grande importanza va attribuita alle sue indagini sui pro- cessi ideologici delle azioni che coinvolgono classi intere e sulle coalizioni contro il fascismo tedesco. Dobbiamo a tutti questi lavori innumerevoli esempi di acuta analisi critica e di brillante polemica, oltre alle illuminanti considerazioni su singoli aspetti sistematici di questa pagina contraddittoria della vita pratica e spirituale dell’umanità, sul rapporto fra ideologia e lotta di classe, ideologia e religione, ideologia e progresso oppure reazione.
Questo ampio ed esteso impegno di Lukács dev’essere considerato come premessa alle problematiche dell’Ontologia. Tanto più che in quest’opera l’accento principale delle sue riflessioni cade in senso stretto sull’aspetto teorico e concettuale dell’ideologia. Vi si discute l’essenza generale del riflesso ideologico o d’assimilazione della realtà, il suo posto e la sua funzione nello sviluppo dell’essere sociale. Lukács riesce a far derivare, ponendolo su solide basi, il problema dell’ideologia e il suo concetto di ideologia dal suo progetto filosofico complessivo, dal suo approccio ontologico di base.
Esaminando la letteratura principale sull’argomento, incontriamo un fenomeno curioso e singolare. A partire dagli anni ʼ50 del XX secolo quasi non esiste pubblicazione prettamente teorica sull’ideologia, nel cui indice manchi il nome di Lukács. E sempre e senza eccezioni Storia e coscienza di classe è considerato il suo capolavoro, il suo Credo riguardo al problema dell’ideologia. Ciò è comprensibile nel periodo che giunge sino alla seconda metà degli anni ʼ80 – in lingua tedesca i capitoli importanti del secondo volume dell’Ontologia esistono solo dal 1986. Tuttavia ciò sorprende in lavori più recenti, come ad esempio nelle due Einführungen di grande spessore di Terry Eagleton (1) e Jan Rehmann (2). L’Ontologia non vi compare neppure negli indici della letteratura sull’argomento. L’analisi si limita esclusivamente alla citata opera giovanile del 1923! Sono ben lungi dal volere sminuire l’importanza del tutto straordinaria e duratura di Storia e coscienza di classe anche per quanto concerne la teoria sull’ideologia. Il fatto è che, se si tralascia l’Ontologia, la posizione ed il contributo teorico-ideologico di Lukács non possono essere convenientemente giudicati. Perciò faremo dapprima qualche osservazione sui punti di contatto e sulle divergenze fra queste due opere in relazione al problema dell’ideologia.
1. 1923 e 1971
Differenze considerevoli risultano già solo a causa della distanza temporale di più di quattro decenni. I sette saggi di Storia e coscienza di classe – concepiti tra il marzo 1919 e il dicembre 1923 – erano stati composti con un obiettivo concreto: trarre conclusioni dalla sconfitta della rivoluzione nell’Europa occidentale e specialmente in Ungheria e in Germania. Lukács vedeva che le forze rivoluzionarie del movimento operaio europeo non erano ancora esaurite, e riteneva che la chiave per un loro rilancio andasse cercata nell’ambito dell’aspetto soggettivo, in problemi di guida, di organizzazione e di maturazione della coscienza di classe. Perciò egli si concentra soprattutto su questi aspetti del marxismo che sembravano essere di particolare importanza per incrementare l’attività delle masse in quella situazione storica: l’applicazione consapevole, autonoma e creativa del metodo dialettico di Marx; la comprensione della formazione stori- ca e della continua riproduzione dell’ideologia borghese dominante come riflesso del sistema produttivo capitalistico; la spiegazione del carattere dell’«ideologia del movimento operaio radicale» (3) come autocoscienza del proletariato e conoscenza del marxismo come espressione ideologica della classe proletaria che tende a liberarsi (4); le condizioni ed i meccanismi, grazie ai quali la classe può fare propria questa consapevolezza e diventare soggetto storico del su- peramento dello schieramento borghese. Le riflessioni di Lukács riguardo all’ultimo aspetto menzionato culminano nella descrizione della funzione di un partito marxista.
Diverso è stato il punto di partenza dell’Ontologia. Quest’opera era il risultato della comprensione lukacsiana delle basi teoriche di un’etica marxista – anche grazie alle molte esperien- ze di una vita politica varia e movimentata in un secolo tempestoso. Come già all’inizio degli anni ʼ20, l’attenzione di Lukács era rivolta alla questione delle condizioni e delle possibilità dell’agire umano nel processo storico. Il «posto dell’etica nel sistema delle attività umane» (5) doveva essere centrale. Per questo era necessario creare una base materialistica. Ed egli la vedeva in una ontologia «storico-materialistica» (6). Per «ontologia» intendeva la concezione dell’essere come processo irreversibile e permanente (7), come analisi della «realtà» oggettiva «per scopri- re l’effettivo margine di manovra per la prassi concreta (a partire dal lavoro sino all’etica)». Lukács riteneva che l’apporto principale della teoria di Marx consistesse proprio nell’avere fondato le basi della concezione secondo cui ogni essere, quindi anche quello sociale, è storico (8).
Nel 1923 l’accento cadeva sull’analisi di manifestazioni storiche concrete di ideologia. Ora al centro stava la spiegazione di «ideologia» come «forma» generale «riflessa dell’essere» (9), come momento necessario della storia umana nel suo complesso – e dunque non solo nell’am- bito di un dato schieramento sociale.
È importante correlare il problema dell’ontologia alla più ampia questione dell’ontologia marxista. Tutte le questioni relative al problema dell’ontologia nascono come conseguenza dell’interpretazione dell’essere sociale sulla base dell’approccio ontologico. Ma ciò significava non solo estendere l’ambito di applicazione del concetto di ideologia, ma anche arricchirne il contenuto. Per questo le riflessioni del periodo di stesura dell’Ontologia costituiscono un’in- tegrazione organica ed un ampliamento delle problematiche di Storia e coscienza di classe. Entrambe le opere sono necessarie ed irrinunciabili per una visione completa di Lukács. Qui di seguito verranno ricostruiti in due passaggi successivi i ragionamenti essenziali alla compren- sione del concetto di ideologia di Lukács nell’Ontologia.
2. La «base struttivo-spirituale di ciò che il marxismo chiama ideologia»
Lukács rifiuta di cercare un punto di partenza teorico che fondi e costruisca l’intero sistema secondo la vecchia ontologia. Ciò andrebbe contro l’idea di fondo della storicità di tutto l’esistente. Si tratterebbe piuttosto di riconoscere l’oggettività di tutto ciò che esiste e di analizzare concretamente la qualità e le peculiarità del suo evolvere. Al centro egli pone il nesso e la diversità dei tre grandi modi dell’essere – inorganico, organico e dell’essere sociale. Alla giustifica- zione filosofica di questa posizione è dedicato soprattutto il primo semi-volume dell’Ontologia.
Nel secondo semi-volume Lukács cerca di rispondere alla domanda relativa al modo in cui l’essere sociale può nascere e svilupparsi sulla base degli altri due modi dell’essere. Lavoro, riproduzione, valori ideali e ideologia, ma anche alienazione, sono l’insieme di problemi – e al tempo stesso i capitoli – attraverso la cui esposizione si dà risposta a quella domanda. Si deve iniziare dall’analisi del lavoro, se si vogliono rappresentare ontologicamente «le specifiche ca- tegorie dell’essere sociale, il loro scaturire dalle forme precedenti dell’essere, il loro legame con esse, il loro essere fondate su di esse, la loro differenza da esse» (10). Il lavoro è il fatto ontologico fondamentale dell’essere sociale e della prassi umana.
Nel nostro contesto è decisivo il fatto che per Lukács il lavoro rappresenti una posizione [Setzung] teleologica consapevolmente messa in atto. Con il lavoro compare per la prima volta nell’evoluzione dell’essere la stretta correlazione fra causalità e teleologia. Lukács naturalmen- te prende in prestito questa caratteristica del lavoro umano dalla presentazione che Marx ne fa nel quinto capitolo del primo volume del Capitale: «Alla fine del processo lavorativo esce fuori un risultato, di cui già all’inizio il lavoratore possedeva un’immagine chiara e che dunque idealmente esisteva già»; il lavoratore «realizza in natura il proprio scopo, che egli ben conosce, che determina come per legge il modo e la maniera del suo operare e al quale egli deve sottomettere la propria volontà» (11). Lukács sottolinea con forza come in tal modo si attribuisca alla coscienza umana un «ruolo decisivo» (12). Dal punto di vista ontologico, il lavoro significa la genesi della coscienza pensante. Nella società le cose non si modificano da sé, non mediante processi spontanei. Il lavoro umano, inteso come posizione teleologica consapevolmente messa in atto, è in grado – se parte da dati di fatto pratici correttamente riconosciuti e correttamente impiegati – «di dare vita a processi causali, di modificare processi, oggetti ecc. dell’essere, che altrimenti funzionerebbero solo spontaneamente, di creare oggettualità percepibili dai sensi e che non esistevano prima del lavoro» (13). Prima dell’origine del lavoro in natura esistevano solo processi causali: «La posizione consapevole significa che lo scopo precede il risultato. Questo è il fondamento dell’intera società umana» (14).
E quegli insiemi di problemi che insorgono con lo sviluppo di una società umana – si pensi solo alla dialettica fra libertà e necessità – acquistano un significato pieno, solo se si attribuisce alla coscienza un ruolo attivo.
È certo di enorme importanza venire correttamente a capo della dialettica fra causalità e teleologia. Il modello di lavoro, inteso come attività volta ad uno scopo, è un’astrazione, un elemento di insuperabile complessità. Da un lato, il processo lavorativo inteso come reciproca interazione, come gioco e alternanza di forze materiali non ha luogo se non se ne è previsto idealmente lo scopo. E quest’ultima operazione, da parte sua, senza la realizzazione materiale, resta pura immaginazione. Essa arriva a compimento in modo non indipendente da fattori de- terminanti materiali, che decidono dell’adeguatezza e del successo dell’idea di finalità da rag- giungere. D’altro lato, il processo lavorativo nel suo insieme è soggetto a nessi causali di tipo sociale che esso stesso favorisce o provoca. Lukács continua a sottolineare come sia senz’altro vero che ogni avvenimento sociale poggia su singole posizioni teleologiche, pur mantenendo sempre un carattere puramente causale. La società è formata da nessi causali che «mai, in nes- sun luogo e in nessun contesto possono essere di carattere teleologico» (15).
Ora per Lukács il lavoro è certamente modello di ogni prassi sociale e di qualsivoglia com- portamento sociale attivo (16), tuttavia il modello è soggetto a molteplici modificazioni, nella misura in cui la prassi acquista un carattere sempre più complesso. L’agire umano si esplica nell’ambito di relazioni sociali, la cui molteplicità è in continua crescita e sotto l’influsso di un numero crescente di svariate determinanti, che hanno un carattere più o meno specifico, e anche generalizzato per effetto delle strutture sociali.
Merita qui trattare per sommi capi alcune delle modalità alquanto diversificate, con cui l’uomo prende consapevolmente possesso del mondo che Lukács scopre nel tentativo di venire a capo dell’esatta collocazione delle posizioni teleologiche nella molteplicità di relazioni della società umana. Questa non è solo la premessa per illustrare l’accesso di Lukács alla decifrazione del fenomeno «ideologia», ma in tal modo Lukács fornisce anche, a mio parere, un contributo impor- tante alla rielaborazione di un deficit spesso lamentato nella teoria sociale marxista. Evidenziando il tema delle «posizioni teleologiche», a ciò che sta a cuore a Lukács – così scrive egli stesso – è il problema delle strutture comportamentali umane (17). Innanzitutto si deve partire dalla constata- zione che nel corso dell’evoluzione storica compaiono forme nuove di posizioni teleologiche. Le posizioni si differenziano a seconda dell’oggetto al quale si riferiscono. Nell’evoluzione della società emergono in misura crescente posizioni teleologiche che non servono solo alla rielaborazione della natura per scopi umani – come nel processo lavorativo, ma che agiscono direttamente o indirettamente su rapporti ed istituzioni sociali o perfino sul comportamento umano, quando non puntino addirittura ad influenzare direttamente gli uomini. Tali posizioni diventano sempre più importanti nel rapido avanzare della società. «Basti notare, come il campo di applicazione e l’importanza di costume, abitudine, tradizione, educazione ecc., che poggiano senza alcuna eccezione su tali posizioni teleologiche, aumentino continuamente con lo sviluppo delle forze di produzione» (18). Le prestazioni lavorative che diventano sempre più complicate e le conseguenze della divisione sociale del lavoro, la complessità di relazioni e processi sociali pongono l’uomo davanti a compiti la cui esecuzione esige forze psichiche di tipo nuovo ed inedito e diverse rispetto a quelle richieste dal semplice processo lavorativo. Tali posizioni sono perciò non di rado finalizzate a suscitare e consolidare affetti (coraggio, astuzia, collettività, generosità). Appare evidente che il controllo e la correzione di simili posizioni nel percorso evolutivo dell’essere sociale non possono assolutamente avvenire in modo così diretto come nel caso del singolo processo lavorativo. Si accentua il ruolo del caso, della discontinuità. A ciò si aggiunge il fatto che le posizioni teleologiche hanno un carattere alternativo in un duplice senso. Da un lato, esse sono connesse a valutazioni, scelte e decisioni, si basano su spazi di manovra e opzioni d’intervento. D’altro lato, i loro effetti possono a loro volta aprire alternative, che si ripercuotono sul soggetto e provocano in lui trasformazioni interiori (19). In questo tipo di posizioni teleologiche Lukács vede la «base struttivo-spirituale di ciò che il marxismo chiama ideologia» (20). Per comprendere questo nesso è necessario tenere conto di alcuni ulteriori passaggi.
Già nella vita quotidiana si verificano posizioni teleologiche influenzate da un gran numero di determinanti contraddittorie, che Lukács prende continuamente in considerazione:
La coscienza che guida l’agire riflette bisogni e necessità elementari, ma anche differenti possibilità di soddisfarli oppure di reprimerli.
L’incontro dell’uomo con il suo ambiente non può essere immaginato come un susseguirsi lineare di effetto e reazione. L’uomo trasforma piuttosto i problemi che emergono dalla sua realtà in quesiti, ai quali dà una risposta. Ma proprio nel quesito entrano catene di associazioni socialmente molto ramificate e filtrate soggettivamente.
Decisioni alternative non vengono mai prese dall’uomo nella piena consapevolezza di tutte le loro circostanze e conseguenze.
L’immediatezza della vita quotidiana è il punto di partenza non modificabile della conoscenza. Per comprendere l’essere sociale, essa deve tuttavia essere superata. La realtà in qualche modo si oppone ad essere conosciuta, le contraddizioni tra l’apparire e l’essere sono di natura oggettiva. L’appropriazione pratico-spirituale e quella cognitiva della realtà producono non solo conoscenze adeguate, ma anche travisamenti, sbagli e gravi errori. L’immagine prodotta dal soggetto acquista nel corso della vita una relativa autonomia, si stabilizza come oggetto (secondario) per la coscienza e può essere considerata separatamente dall’occasione primaria del suo insorgere.
L’essere sociale, nel suo «essere proprio così» del momento è in larga misura determinato dalle alienazioni degli uomini che agiscono. Per deduzione analogica l’uomo proietta nell’essere sociale norme, disposizioni, che producono su di esso un effetto straniante. Per recepire il mondo così come esso è, l’uomo deve astrarre dalla propria immediatezza – è assolutamente necessaria una disantropomorfizzazione.
3. Ideologia come «funzione sociale»
Per Lukács da questa molteplicità di fattori condizionanti risulta la necessità oggettiva di regolatori sociali, capaci di attuare una certa corrispondenza tra i contenuti delle posizioni teleologiche e le «esigenze sociali, che di volta in volta assumono carattere di primaria impor- tanza». Ciò non può avvenire tramite norme o ingiunzioni dirette, bensì tramite la mediazione pratico-spirituale tra interessi dei singoli e della collettività. «Per questo esiste […] l’ideologia, così come la intende Marx». In questo senso l’ideologia è d’importanza vitale «per il funzionamento di qualsivoglia società». È essenziale tenere conto sia del nesso sia della differenza tra due aspetti della genesi del fenomeno «ideologia». Da un lato, il campo astratto del quotidiano o dell’appropriazione della realtà da parte dell’individuo e la loro realtà come momen- to di rapporti sociali contraddittori. Lukács sottolinea la «possibilità universale del divenire ideologia»: ogni reazione degli uomini alla propria condizione socio-economica è passibile di trasformazione in ideologia (21). D’altro lato, un pensiero, per quanto pregevole o ripugnante esso sia, finché rimane prodotto del pensiero o espressione del pensiero di un singolo, non può essere considerato un’ideologia. La trasformazione di un complesso di pensieri in ideologia presuppone la realizzazione di una ben determinata funzione sociale: ideologia è quella forma di assimilazione della realtà dal punto di vista concettuale che serve a rendere consapevoli la prassi sociale, i conflitti sociali, affinché essi possano essere efficacemente risolti. La nascita di ideologie presuppone innanzitutto strutture sociali in cui agiscano gruppi diversi con interessi opposti e che aspirino ad imporli alla società come interessi di tutti. Le ideologie sono segno distintivo di società con un più alto grado di divisione sociale del lavoro e di classi sociali che si distinguono per interessi antagonistici. A queste condizioni le ideologie agiscono come for- me nel cui ambito gli uomini divengono consapevoli dei conflitti radicati in ultima analisi in contraddizioni della produzione sociale, e li affrontano (22). Qui Lukács adotta esplicitamente gli stessi termini di Marx nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica. Egli distingue tuttavia fra un senso ampio e un senso ristretto di ideologia. Ideologia in senso ampio significa che la vita e le azioni di un uomo sono determinate, in ultima analisi, dall’essere sociale, che nell’essere sociale «non può accadere nulla, il cui insorgere non sia codeterminato in maniera decisiva da questo fatto». Ideologie in senso stretto sono quelle delle società classiste.
Tale distinzione implica componenti sistematiche e storiche. Elementi di ideologia compaiono già a livelli primitivi dello sviluppo sociale, in società non ancora dominate da divisioni sociali –impegnate per esempio a risolvere collettivamente conflitti con la natura o tra la collet- tività e singoli individui. Anche in queste società la comunicazione e l’attività assumono forme reificate ed alienate. Lukács definisce l’esistenza di norme, di modi d’agire riconosciuti, al fine di regolare cooperazioni oppure conflitti – sia pure sotto forma di espressioni artistiche – come dei germi di una futura ideologia. E vede in essi un patrimonio, un retaggio di strumenti e mezzi, su cui poté basarsi la gestione ideologica dei problemi delle società articolate in classi, cioè dei «veri e propri problemi dell’ideologia» (23). Sulla base delle considerazioni sin qui esposte è possibile dire che, in generale, Lukács continua, in ultima analisi, a considerare le ideologie come funzioni di processi sociali. Le ideologie danno la possibilità di regolare le questioni sociali. Sotto questo aspetto possiamo anche osservare una continuità concettuale, un anello di congiunzione tra Storia e coscienza di classe e l’Ontologia. Nel 1923 Lukács affermava che le forme ideologiche erano «funzioni delle condizioni economiche». Per il proletariato la «sua» ideologia sarebbe «obiettivo ed arma». E il materialismo storico, lo «strumento di battaglia» più importante del proletariato nella lotta per la coscienza e la leadership sociale, egli lo chiama «funzione dello sviluppo e disgregazione della società capitalistica» (24).
Comunque bisogna mettere in guardia da un modo di vedere semplicistico. La generalizzazione concettuale e la sintesi a tutti i costi non possono avere la meglio sul fondamento e sulla derivazione ontologica. L’idea che Lukács ha dell’ideologia come funzione differisce so- stanzialmente dal metodo funzional-strutturale. Per il funzionalismo, le funzioni rappresentano momenti astratti di qualsiasi sistema sociale. Per Lukács, invece, la funzionalità dell’ideologia è il risultato della concezione ontologica dell’essere sociale, a cui si è accennato sopra. Bisogna rifarsi concretamente al lavoro umano come forma fondamentale di posizione teleologica. Lukács sottolinea tale contesto, scrivendo che «essere ideologia […]» in base alla sua essenza ontologica è «una funzione sociale, non un modo di essere» (25). Da questa definizione emergono conseguenze decisive per la sua posizione in merito al rapporto fra ideologia e verità.
4. Ideologia – efficacia – verità
La convinzione che l’ideologia sia una «falsa coscienza» è ampiamente diffusa. L’ideologia passa addirittura per la quintessenza di una percezione della realtà condizionata da interessi, legata a localismi e che non è in grado di produrre conoscenze esatte, ma piuttosto neces- sariamente interpretazioni sbagliate ed immagini distorte. La posizione di Lukács si distacca nettamente da tutto ciò. Il punto di partenza metodologico è la distinzione tra una formulazione ontologica ed una gnoseologica, relativa alla teoria della conoscenza, della questione. Come avevamo visto, le ideologie compaiono nel contesto dell’Ontologia come forze realmente efficaci: «Ciò che è ideologia veramente si può capire […] solo dalla sua efficacia sociale, dalle sue funzioni sociali […]. Questo è il dato di fatto fondamentale dell’ideologia» (26). Fa parte delle caratteristiche essenziali, delle componenti e condizioni strutturali fondamentali di questo modo di essere «società», che il suo movimento e il suo sviluppo siano generati da determinate spinte. Le ideologie esistono proprio per orientare l’agire umano, cooperando con altri mezzi (idee, motivi, interessi, norme, valori, convinzioni, finalità ecc.) verso importanti esigenze sociali, che si presentano sotto forma di contraddizioni.
E per questa definizione generale dell’essenza, per questa determinazione di ideologia non importa che le idee in questione o che le altre componenti di simili costruzioni mentali siano vere o false. Nell’analisi ontologica si astrae da tutto ciò. E ciò corrisponde pienamente al reale corso della storia. Colpisce tuttavia il fatto che numerose ideologie, che hanno messo in moto importanti iniziative di uomini, destinate a cambiare la società, abbiano avuto carattere illusorio, abbiano mancato gli obiettivi proclamati, abbiano guidato le azioni di masse intere di uomini su binari che li portavano in direzione opposta ai loro interessi. Pertanto la gnoseologia, che pone la questione se un’ideologia sia vera o falsa, secondo il parere di Lukács, «non è l’organo adatto per distinguere ciò che è ideologia da ciò che non è ideologia […]. A decidere se qualcosa diventa ideologia è la sua funzione sociale, sulla quale la gnoseologia, per sua stessa natura, non può giudicare» (27). Ma c’è di più: la «stragrande maggioranza delle ideologie» sareb- be basata su premesse, che non possono reggere ad una severa critica gnoseologica (28).
Dalla «neutralità ontologica delle ideologie di fronte all’oggettività richiesta dalla gnoseologia» (29) non consegue assolutamente che la questione posta dalla gnoseologia sia del tutto superflua. Anzi, per la concreta valutazione storico-sociale di singole ideologie essa è «di vitale importanza» (30). Però in questo caso non si tratta di identificare in generale un prodotto spirituale come ideologico o non ideologico, bensì di domandarsi in qual modo esso acquisti efficacia, quale sia il suo contenuto storico, il suo valore posizionale all’interno della lotta di classe, quale collocazione abbia quella data ideologia tra progresso e reazione, tra ragione e irrazionalismo all’interno dei fronti al momento esistenti. Anche una falsa coscienza può sortire un effetto – tuttavia le contraddizioni, alle quali essa deve la propria origine, continueranno ad agire a lungo, sia pure in forma modificata, non verranno cancellate, bensì riprodotte. E una giusta coscienza non è immune dal fallimento a causa delle condizioni di quel determinato momento. Di regola, però, quando permangono forti contraddizioni, avanzano nuove forze sociali, i cui interessi e le cui aspirazioni portano con sé nuovi modi di vedere e di giudicare, che esse esprimono in modo adeguato alla loro situazione e alla loro prospettiva storica.
Ora simili considerazioni sono naturalmente solo in modo molto grossolano rispondenti al reale processo storico. Quale ruolo abbiano idee vere o false nel sistema di un’ideologia o per la sua concreta efficacia, dipende da molti fattori. Il carattere specifico delle ideologie nell’in- sieme del processo di appropriazione spirituale della realtà è quello di dare voce ad interessi sociali e di dar vita direttamente o indirettamente ad azioni adeguate – per un’ideologia politica questo nesso si presenta diversamente rispetto alle «ideologie pure», per esempio le concezioni del mondo (31). Nell’insieme di una molteplicità di fattori sono irrinunciabili cognizioni certe e asserzioni vere in merito a quel contesto. Ma il loro conseguimento non è lo scopo dell’ideologia. E nemmeno verità o non–verità sono criteri decisivi per il giudizio storico di un’ide- ologia. Fedele all’approccio ontologico, Lukács vede il criterio per stabilire la «funzione e l’importanza storica dell’ideologia non nell’esattezza scientifico-oggettiva del suo contenuto, nel riflettere fedelmente la realtà», bensì nel «tipo della sua influenza su quelle tendenze e nella corrispondenza a quelle tendenze» che hanno «all’ordine del giorno lo sviluppo delle forze produttive» (32). Ciò non deve essere inteso in senso pragmatico-economistico. I contenuti delle ideologie sortiscono effetto soprattutto in quanto motivi che determinano decisioni politiche. Secondo Lukács, questi possono essere efficaci in due differenti modi. Da un lato, quando mirano a tendenze influenzando le quali è possibile incidere in modo decisivo sull’insieme degli avvenimenti in una determinata situazione. A questo proposito, Lenin parlava dell’«anello di una catena». D’altro lato, la loro efficacia dipende dalla misura in cui essi, al di là dell’effetto immediato, «colpiscono in pieno» tendenze durevoli ed essenziali per lo sviluppo generale, provocano catene di nessi causali, che a loro volta possono essere d’importanza durevole per smuovere contraddizioni di base della vita materiale. In tutto ciò a Lukács è estraneo qualsiasi meccanicismo. Simili «effetti durevoli» possono provenire dall’«alta qualità» teoretica o artistica delle forme ideologiche. Tuttavia, non è così automatico far derivare da questa la durevolezza degli effetti. Decisivo è lo sviluppo sociale nel suo insieme. L’ideologia «può diventare potere, forza reale nell’ambito dell’essere sociale, solo se il suo essere-proprio-così agisce nella stessa direzione delle necessità essenziali allo sviluppo dell’essere». Tuttavia, anche qui ci sono «gradazioni, il cui criterio di misurazione […] non è necessariamente ciò che è più giusto da un punto di vista gnoseologico e nemmeno ciò che è più progressista da un punto di vista storico-sociale, bensì l’impulso capace di fornire al momento giusto la risposta a domande che l’essere-proprio-così dello sviluppo sociale del momento e dei suoi conflitti hanno posto» (33).
L’importante è dunque che Lukács distingua tra il modo gnoseologico e quello ontologico di porre il problema, senza mettere in dubbio il loro nesso. Ciò ha un durevole significato nel fare luce sulla questione continuamente ricorrente del rapporto contraddittorio tra verità ed efficacia delle ideologie, questi singolari prodotti che accompagnano il percorso di assimilazione della realtà da parte dell’uomo.
[Traduzione dal tedesco di Gigliola Montiglio]
Note
1 T. Eagleton, Ideologie. Eine Einführung, Stuttgart-Weimar, Metzler, 1993.
2 J. Rehmann, Einführung in die Ideologietheorie, Hamburg, Argument, 2008.
3 Prefazione, in G. Lukács, Werke, Neuwied e Berlin, Luchterhand, Band 2, 1968, p. 23.
4 G. Lukács, Geschichte und Klassenbewusstsein, Berlin, Malik,1923, p. 264.
5 Postfazione in G. Lukács, Prolegomena. Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins, 2. Halbband. Werke, Band 14, hrsg. F. Benseler, Darmstadt e Neuwied, Luchterhand, 1986, p. 731 (d’ora in avanti Ont. II).
6 G. Lukács, Revolutionäres Denken. Eine Einführung im Leben und Werk, Darmstadt e Neuwied, Luchter- hand, hrsg. von Frank Benseler, 1984, p. 267 (d’ora in avanti RD).
7 G. Lukács, Prolegomena. Zur Ontologie des gesellschaftlichen Seins, Darmstadt e Neuwied, Luchter- hand, hrsg.von F. Benseler, 1. Halbband, 1984, p. 311 (d’ora in avanti Ont. I).
8 Ont. I, p. 331; cfr. Gelebtes Denken in György Lukács Werke, Bielefeld, hrsg. von F. Benseler e W. Jung con la collaborazione di D. Redlich, Band 18, 2005, p. 196.
9 Ont. II, p. 197.
10 Ivi, p. 7.
11 K. Marx, Das Kapital, in K. Marx – F. Engels, Werke, Berlin, Dietz Verlag, Band 23, 1962, p. 193.
12 RD, p. 269.
13 Ont. I, p. 14.
14 Ont. II, p. 739.
15 RD, p. 271 sgg. Cfr. E. Hahn, György Lukács. Eine marxistische Ontologie, «Zeitschrift Marxistische
Erneuerung» 48 (2001), p. 120 e sgg.
16 Ont. II, p. 46.
17 Ivi, p. 114.
18 Ivi, p. 415.
19 Ivi, p. 616.
20 RD, p. 274.
21 Ont. II, p. 398.
22 Cfr. ivi, p. 404 sgg., RD, p. 274.
23 Cfr. a questo proposito Ont. II, pp. 401- 411, 427.
24 G. Lukács, Geschichte und Klassenbewusstsein cit., pp. 83, 234.
25 Ont. II, p. 490.
26 Ivi, p. 413.
27 Ivi, p. 494.
28 Ivi, p. 412.
29 Ivi, p. 490.
30 Ivi, p. 405.
31 Ivi, p. 482.
32 Ivi, p. 435.
33 Ivi, p. 413.