Il libero arbitrio in Feuerbach
Il libero arbitrio in Ludwig A. Feuerbach
di Gianluca Battistel
La tematica del volere rappresenta per l’ultimo Feuerbach un motivo di grande interesse, sia perché sul piano ontologico si riallaccia al problema del dualismo anima-corpo, da Feuerbach ampiamente trattato in molte sue opere e dalla cui critica deriva un elemento essenziale del suo materialismo, sia perché su quello etico, e principalmente a questo ambito si rivolge il suo interesse in questo periodo, costituisce il problema fondamentale di ogni filosofia morale. In Über Spiritualismus und Materialismus, besonders in Beziehung auf die Willensfreiheit [1] del 1866, il filosofo tedesco espone la sua posizione al riguardo.
Un motivo ricorrente di quest’opera è appunto la critica del dualismo anima-corpo nelle sue diverse forme teologiche e filosofiche. Feuerbach mostra come l’idea di un’anima immateriale e soprasensibile comporti l’impossibilità di spiegare la sua relazione con il corpo, e come tutti i tentativi di risolvere il problema mantenendo la tesi dell’immaterialità dell’anima portino ad evidenti aporie:
Die Seele ist, wie die Gottheit, unkörperliches, folglich auch, wie jene, unörtliches, unräumliches Wesen und doch ist sie durch ihre unselige Verbindung mit dem Körper an den Ort desselben gebunden […] Inwiefern die Seele verbunden ist mit einem Leibe, ist sie natürlich an einem Orte; aber wie reimt sich eben das Nirgendwosein – ein von den Cartesianern und Wolff gebrauchter Ausdruck – mit dem Irgendwosein zusammen? Wie kann man zugleich an einem Orte und in keinem Orte sein?[2]
Come può un’anima non estesa legarsi ad un corpo esteso? Per Feuerbach l’affermazione dell’unità dell’anima con il corpo non è altro che l’ammissione implicita della sua corporeità. Volontà e pensiero non sono quindi entità incorporee, ma sono riconducibili alle funzioni cerebrali che ne costituiscono il sostrato materiale. Il postulato dell’immaterialità dell’anima riduce l’inconfutabile fatticità della sua relazione con il corpo a qualcosa di assolutamente inspiegabile, assurdo, impossibile.
Ugualmente aporetico appare il dualismo anima-corpo sul piano della temporalità. A questo proposito Feuerbach si rifà soprattutto alla filosofia morale di Kant, di cui viene messo in luce il carattere dualistico e che attraverso la dimostrazione dell’impossibilità di una reale dicotomia tra mondo sensibile e mondo intelleggibile, tra realtà empirica e volontà pura, il filosofo tedesco ritiene di poter confutare:
Kant hat im Gegensatze zu seiner theoretischen Philosophie in der praktischen die bloße Form des Gesetzes zum Gegenstande und Bestimmungsgrunde des Willens und dadurch den Willen zu einem spezifisch vom sinnlichen Begehrungsvermögen verschiedenen Vermögen, aber eben deswegen zu einem bloßen Noumenon, auf deutsch: Gedankending gemacht. Das Gesetz ist freilich seiner Form nach ein Nichtsinnliches, ein Übersinnliches; aber sein Gegenstand, sein Inhalt ist ein sinnlicher, so gut als der seinem Gattungsbegriff nach übersinnliche Baum in Wahrheit sinnlich ist. Aber so gehts. Der nicht denkende Mensch sieht vor Bäumen nicht den Baum, der nur denkende, sein Denken nicht durch die Sinne unterstützende und bestimmende vergißt über dem Baume die Bäume, macht die leere Form zum Inhalt, den Baum ohne Bäume zu einem für sich bestehenden Wesen[3].
La volontà pura è dunque al di là dello spazio e del tempo:
Kant hat seinen in der Kritik der reinen Vernunft ausgesprochenen Lieblingsgedanken, daß die Zeit nichts an sich, nur eine menschliche Vorstellung sei, nicht die Dinge an sich selbst, sondern nur ihre Erscheinung betreffe, auch in der Kritik der praktischen Vernunft geltend gemacht, ja, die Existenz der Willensfreiheit nur von der Nichtigkeit der Zeit für Vernunft und Willen abhängig gemacht[4].
Il libero arbitrio è qui messo esplicitamente in relazione con l’atemporalità della volontà. Porre la volontà al di fuori del mondo sensibile e quindi del tempo significa liberarla dalla concatenazione causale degli eventi naturali. Se la volontà è nel tempo, ogni suo atto è riconducibile al suo stato precedente ed è quindi un effetto di cause. Ma se la volontà è effetto di cause non è libera, pertanto la libertà del volere può essere affermata soltanto postulando la sua atemporalità e quindi immaterialità. La critica di ogni forma di dualismo e la conseguente affermazione della materialità dell’anima sembrano dunque condurre Feuerbach a una conclusione obbligata: ogni atto della volontà è necessario, l’unica tesi sostenibile è quella del determinismo.
Denn in der Zeit sei jeder Zustand die notwendige Folge des vorhergegangenen, ein in der Zeit befindliches Wirkungsvermögen daher in seinen gegenwärtigen Wirkungen bestimmt durch die Vergangenheit, die “nicht mehr in seiner Gewalt”, also sei in der Zeit ein Vermögen, welches von selbst, unbedingt durch ein Vorher, einen Zustand anfange – ein solches aber sei die Willensfreiheit – unmöglich[5] .
In effetti, questa è la posizione che Feuerbach sostiene in diversi passi del testo[6]. Le nostre scelte sono la necessaria conseguenza del nostro essere, i nostri atti volitivi l’effetto della nostra momentanea disposizione fisica e mentale. Feuerbach non si limita però ad affermare l’illusorietà del libero arbitrio, ma mette in luce anche le cause da cui l’illusione ha origine.
In primo luogo non sempre è possibile ricostruire per intero l’insieme complesso delle cause che determinano la volontà. Nelle circostanze in cui non si manifesta l’evidente prevalenza di una pulsione o di un’inclinazione, ma l’azione è determinata da una somma di cause molteplici di cui nessuna domina sulle altre con sufficiente potenza da risultare chiaramente distinguibile, l’atto volitivo non viene ricondotto all’insieme di cause di cui è effetto (e tale deve considerarsi una volta dimostrata la sua temporalità), ma alla sua libertà[7].
Inoltre non percepiamo il nostro modo d’essere, la nostra personalità e il nostro carattere come qualcosa di costrittivo e necessitante, perché così ci appare soltanto ciò che ci costringe e ci necessita dall’esterno:
Was aber mein Wesen ist, das unterscheide ich nicht von mir, das empfinde ich eben deswegen nicht als ein mich Zwingendes oder Nötigendes, (denn dazu gehört ein von mir Unterschiedenes), das halte ich eben darum für eine Sache des Wollens, wie das Gegenteil für eine Sache des Nichtwollens. Ja, weil der Wille nichts anderes ist als das bewußte nach Außen tätige Wesen des Menschen, der Mensch aber von dem Wesen hinter seinem Bewußtsein nichts weiß, als was mit dem Willen vor sein Bewußtsein tritt, so setzt er den Willen selbst vor sein Wesen, macht ihn zum Apriori desselben[8].
Se nulla d’esteriore ci costringe a volere un determinato oggetto, la nostra volontà rivolta a quell’oggetto scaturisce comunque dalla nostra essenza, che non è generata dalla nostra volontà ma n’è la causa. E così attribuiamo la libertà ai nostri atti volitivi, estrapolandoli dalla relazione causale che la dimostrazione della loro materialità e temporalità rende però incontrovertibile.
Il libero arbitrio è anche l’affermazione di un bisogno sociale, vale a dire del bisogno di affermare la punibilità di azioni che ci danneggiano. Infatti, il concetto di pena ha senso soltanto se relazionato a quello di colpa, che a sua volta presuppone la libertà del volere:
Ich wünsche, sagt der Mensch als Privatmann. Ich will, als machthabender Gesetzgeber, daß nicht gestohlen werde: also glaube ich, daß nicht gestohlen werden könne. Volo, ergo cogito. Ich will durch das Gesetz den Diebstahl unmöglich machen, d.h. ich glaube an die Möglichkeit seines Gegenteils, glaube, daß der Diebstahl zufällig, der Dieb frei ist, ebensogut stehlen als nicht stehlen kann[9].
Feuerbach sembra dunque affermare una posizione inequivocabilmente deterministica. La negazione di qualunque forma di dualismo implica l’affermazione della materialità dell’anima e della temporalità del volere, che a sua volta comporta la concezione della volontà come effetto di cause e quindi la negazione della sua libertà[10]. Eppure in quest’opera troviamo dei passi in cui l’autore elude il determinismo rigoroso cui i concetti fondamentali del suo materialismo sembrerebbero coerentemente condurre[11]. Sarà utile analizzare questi passi con attenzione, per vedere se l’apertura al libero arbitrio (sia pur entro limiti ben definiti) in essi contenuta risulti compatibile con il quadro teorico fin qui delineato, o se piuttosto non riveli un’effettiva incongruenza. Nel primo paragrafo del 3° capitolo[12] Feuerbach scrive:
Ich kann z.B. von dieser oder jener Speise ‘abstrahieren’, aber nicht von jeder Speise, nicht von der Speise überhaupt; ich muß essen, wenn ich nicht zu Grunde gehen will. Aber diese Notwendigkeit empfinde ich, so lange ich wenigstens noch bei Verstand und Natur bin, nicht im Widerspruch mit meinem Wesen und Willen; denn ich bin nun einmal ein der Nahrung bedürftiges Wesen. Ich kann mich nicht ohne dieses Bedürfnis denken, und es fällt mir daher auch gar nicht ein, meine Freiheit in die Abwesenheit oder Verneinung desselben zu setzen. Ich setze sie nur darein, daß ich diese oder jene Speise nicht essen kann, wenn ich sie nicht essen will; daß ich nicht abhängig von gewissen Speisen, nicht unglücklich, nicht außer mir vor Ärger bin, wenn ich sie entbehre; daß ich essen kann, was nur immer in die Sphäre, in die Gattung eines menschlichen Nahrungsmittels fällt. Der Wille ist Selbstbestimmung, aber innerhalb einer vom Willen des Menschen unabhängigen Naturbestimmung[13].
La libertà del volere consisterebbe dunque nella libertà di scelta entro i limiti di un determinato genere. Se da una parte la dipendenza dal genere cibo non è l’effetto di una libera scelta della volontà, nella scelta di questo o quel singolo cibo la volontà sarebbe libera a tutti gli effetti. Nel 6° capitolo[14] Feuerbach ribadisce la sua posizione:
Die Willensfreiheit, oder vielmehr das, was die Menschen zur Annahme derselben bestimmt und selbst berechtigt, was die Vorstellung derselben erzeugt oder ihr zum Grunde liegt, das beruht nur, wie schon oben ausgesprochen wurde, auf dem Unterschied zwischen der Gattung und ihren Arten oder Individuen, d. h. zwischen dem unbedingten (freilich wie alles in der Welt relativ ist, nur vergleichsweise unbedingten), unersetzbaren, mein Wesen erschöpfenden, von mir ununterscheidbaren, notwendigen Beweggrund oder Willen, womit ich die Gattung eines Gegenstandes will, und den durch andere Beweggründe ersetzbaren und eben deswegen von mir ablösbaren, nicht notwendigen oder nur bedingt notwendigen, an sich gleichgültigen, unwesentlichen Beweggrund oder Willen, mit dem ich gerade diesen Gegenstand wähle[15].
Come si giustifica l’idea che la volontà, sia pur entro i limiti di un determinato genere, sia capace d’autodeterminarsi, se è affermata la sua materialità, temporalità, e quindi la sua determinazione causale? Feuerbach parla, a questo riguardo, di motivi casuali:
Es waren nur ganz besondere, außerwesentliche, zufällige Gründe, die mich gerade zu diesem Buche bestimmten, während der Grund, der mich zur Gattung dieser Lektüre ausschließlich oder doch hauptsächlich bestimmt, eins mit dem Grunde ist, warum ich dieser bestimmte Mensch überhaupt bin[16].
Cos’è un motivo casuale? Secondo Feuerbach è una causa non riconducibile all’essenza di una persona, ma a fattori interiori e ambientali aleatori. Se da una parte il piacere di leggere romanzi gialli può rappresentare un elemento costitutivo di una personalità, dall’altra i motivi che inducono a scegliere questo o quel romanzo giallo non scaturiscono da una predisposizione caratteriale. Pertanto, se nella scelta entro i limiti di un genere la volontà non è espressione dell’essenza della persona (come invece nella scelta del genere stesso), secondo Feuerbach la volontà può, entro questo ambito, legittimamente considerarsi libera.
Ma un motivo casuale non è pur sempre una causa? Se scelgo quel determinato romanzo giallo perché mi piace la sua copertina, perché l’umore del momento favorisce una particolare suggestione alla lettura di quel titolo, perché associo il nome dell’autore ad un ricordo gradevole, l’insieme di questi fattori non è forse la causa della mia scelta? Certo, la ricostruzione completa dell’insieme complesso delle cause psicologiche e ambientali che determinano le nostre scelte è spesso estremamente difficoltosa e può a volte risultare impossibile, ma la dimostrazione della materialità dell’anima e della temporalità del volere impone la concezione della volontà come effetto di cause, qualunque esse siano e qualunque sia il grado di complessità del loro insieme. Feuerbach sembra qui commettere l’errore che in un altro passo del testo lui stesso attribuisce allo spiritualismo:
Wofür ich keinen Grund weiß, dafür mache ich den Willen verantwortlich[17].
La materialità dell’anima e il libero arbitrio sono concetti inconciliabili. L’affermazione della libertà del volere (anche soltanto entro i limiti di un genere) poggia sull’estrapolazione della volontà dalla concatenazione causale del mondo empirico. La confutazione del dualismo anima-corpo in tutti i suoi aspetti e la condanna di ogni forma di spiritualismo implicano quindi un determinismo rigoroso. Si può affermare il libero arbitrio solo affermando l’immaterialità dell’anima, così come si può negare l’immaterialità dell’anima solo negando il libero arbitrio. Pertanto, l’apertura alla libertà del volere contenuta in alcuni passi di quest’opera rappresenta un’evidente incongruenza e costituisce un punto debole nel materialismo feuerbachiano.
[1] L’abbreviazione SW 10 indica il volume X della 2ª edizione delle Sämtliche Werke di W. Bolin e F. Jodl, Stuttgart, Friedrich Frommans Verlag, 1959-1964. La traduzione italiana indicata in nota è tratta da F. Andolfi, Spiritualismo e materialismo, specialmente in relazione alla libertà del volere, Bari, Laterza, 1993.
[2] SW 10, p. 172. «L’anima è, come la divinità, essenza incorporea, perciò anche, come quella, senza luogo né spazio, eppure per il suo infelice legame col corpo è legata al luogo di questo […] In quanto l’anima è legata a un corpo, essa è naturalmente in un luogo; ma come si accorda il non essere in alcun luogo – espressione usata dai cartesiani e da Wolff – con l’essere da qualche parte? Come si può essere al contempo in un luogo e in nessun luogo?» (trad. it. cit., pp. 133-134).
[3] SW 10, p. 107. «Kant nella sua filosofia pratica, in contrasto con la teoretica, ha assunto la pura forma della legge come oggetto e causa determinante della volontà, e in tal modo ha fatto della volontà un potere specificamente distinto dalla facoltà sensibile di desiderare, ma appunto perciò un puro noumenon, in parole povere un ente di pensiero. La legge, è vero, secondo la sua forma è qualcosa di non sensibile, di soprasensibile; ma il suo oggetto, il suo contenuto, è sensibile, allo stesso modo che l’albero, soprasensibile secondo il suo concetto specifico, è in realtà sensibile. Ma così vanno le cose. L’uomo non pensante non vede al cospetto degli alberi l’albero, mentre l’uomo che pensa solamente, e non sostiene né determina il suo pensiero mediante i sensi, oblia gli alberi per l’albero, scambia la vuota forma con il contenuto, fa dell’albero senza alberi un essere per sé stante» (trad. it. cit., p. 62).
[4] SW 10, p. 102. «Kant ha fatto valere anche nella Critica della ragion pratica il suo pensiero prediletto, espresso nella Critica della ragion pura, che il tempo non è nulla in sé ma solo una rappresentazione umana, che non riguarda la cosa in sé ma soltanto il suo fenomeno, anzi ha fatto senz’altro dipendere l’esistenza della libertà del volere dalla nullità del tempo per la ragione e la volontà» (trad. it. cit., pp. 56-57).
[5] SW 10, pp. 102-103. «Nel tempo infatti ogni condizione sarebbe la necessaria conseguenza della precedente, e un potere attivo che si trovi nel tempo sarebbe pertanto determinato nelle sue azioni presenti dal passato, che “non è più in suo potere”: nel tempo dunque, un potere capace di costituire di per sé un inizio, senza essere condizionato da un prima, quale dovrebbe essere la libertà del volere, sarebbe impossibile» (trad. it. cit., p. 57).
[6] SW 10, pp. 97-98, p. 121, pp. 128-129, pp.131-132, pp. 133-134.
[7] SW 10, p. 142.
[8] SW 10, p. 147. «Ma quando si tratta del mio essere, non lo distinguo da me, e appunto perciò non l’avverto come qualcosa che mi costringe o mi fa violenza (come accadrebbe se fosse distinto da me), lo considero una questione di volontà, così come stimo che il suo contrario sia questione di non-volontà. Anzi, dato che il volere non è altro che l’essere dell’uomo in quanto è consapevole e attivo verso l’esterno, e l’uomo d’altra parte non sa nulla dell’essere retrostante la sua coscienza, tranne quello che con la volontà ne appare alla coscienza, l’uomo finisce col porre il volere innanzi al suo essere, fa di quello l’apriori di questo» (trad. it. cit., p. 105).
[9] SW 10, p. 135. «Io desidero, dice l’uomo in quanto privato cittadino; io voglio, dice invece come legislatore investito di potere, che non si rubi: perciò credo che si possa non rubare. Volo, ergo cogito. Con la legge io voglio rendere impossibile il furto, cioè a dire credo nella possibilità del suo contrario, credo che il furto sia accidentale, che il ladro sia libero e possa tanto rubare che non rubare» (trad. it. cit., pp. 92-93).
[10] Nel suo saggio introduttivo Ferruccio Andolfi sottolinea giustamente come Feuerbach stesso non identifichi la propria posizione con «un determinismo ottuso e pedante» (trad. it. cit., p. 34). Nell’individuo agisce una pluralità di impulsi, la cui dinamica temporale può portare alla prevalenza ora dell’uno ora dell’altro. La negazione del libero arbitrio non comporta la riconduzione della determinazione della volontà a un’unica inclinazione perennemente dominante. Anche Claudio Cesa mette in rilievo questo aspetto, aggiungendo però che «dalla stessa ricchezza della vita istintuale […] si crea uno spazio per la scelta, per la libertà [corsivo mio], e quindi per l’intervento della volontà» (C. Cesa, Introduzione a Feuerbach, Bari, Laterza, 19952, pp. 129-130). In effetti Feuerbach afferma che le inclinazioni possono essere corrette «dalla conoscenza e dall’uso di medicamenti naturali materiali o sensibili» (trad. it. cit., p. 109), che la negazione di questo potere implicherebbe la negazione della capacità degli individui di liberarsi dal più piccolo dei mali. Si tratta però di capire se Feuerbach concepisca questa razionalità come libertà, o se non la consideri piuttosto come una facoltà in grado sì di elaborare strategie razionali, ma il cui fondamento e fine ultimo rimane comunque l’istinto di felicità. Per quanto Feuerbach non si esprima esplicitamente in questo senso, mi pare comunque di poter fondatamente propendere per quest’ultima ipotesi.
[11] Heinz Hüsser si stupisce del fatto che Feuerbach non riconduca alla volontà (qui in senso kantiano) la propria affermazione secondo cui l’individuo non è determinato in senso stretto come una pietra in caduta, ma soltanto alla compresenza in esso di più pulsioni (H. Hüsser, Natur ohne Gott. Aspekte und Probleme von Ludwig Feuerbachs Naturverständnis, Würzbug, Königshausen & Neumann, 1993, p. 125). Alla luce della posizione feuerbachiana fin qui analizzata l’individuazione della libertà nel volere sarebbe da parte del filosofo tedesco ben più sorprendente.
[12] Die Einheit des Willens und Glückseligkeitstriebes (L’unità del volere e dell’istinto di felicità).
[13] SW 10, pp. 106-107. «Posso “astrarre” per esempio da questo o quel cibo, ma non da ogni cibo, dal cibo in generale; debbo mangiare se non voglio venir meno. Ma in questa necessità, almeno finché sono in senno e non mi distacco dalla natura, non avverto contrasto alcuno col mio essere e il mio volere; poiché sono pur sempre un essere bisognoso di nutrimento. Non posso pensarmi senza questo bisogno, e perciò non mi passa nemmeno per la testa di porre la mia libertà nell’assenza o negazione di esso. Io la pongo solo in ciò, che posso non mangiare questo o quel cibo, se non voglio mangiarlo; che non dipendo da certi cibi, che non sono infelice né fuori di me per la rabbia se ne sono privo; che posso mangiare qualsiasi cosa appartenga alla sfera, alla specie degli alimenti umani. Il volere è autodeterminazione, ma all’interno di una determinazione naturale indipendente dal volere dell’uomo» (trad. it. cit., p. 61).
[14] Notwendigkeit und Verantwortlichkeit (Necessità e responsabilità).
[15] SW 10, p. 126. «La libertà del volere, o piuttosto quel che induce e anzi autorizza gli uomini a supporne l’esistenza, quel che produce la rappresentazione della libertà o sta a base di essa, si fonda solo, come già è stato detto sopra, sulla differenza tra la specie e i suoi modi o individui, cioè a dire tra la motivazione o il volere incondizionato (invero, siccome tutto nel mondo è relativo, solo comparativamente incondizionato), insostituibile, esaustivo del mio essere, non distinguibile da me, necessario, con cui io voglio la specie di un oggetto, e la motivazione o il volere sostituibile da altre motivazioni e appunto perciò separabile da me, non necessario o solo condizionatamente necessario, in sé indifferente, inessenziale, con cui io scelgo proprio quest’oggetto» (trad. it. cit., pp. 82-83).
[16] SW 10, p. 125. «Furono motivi del tutto particolari, inessenziali, casuali, che m’indussero a scegliere proprio questo libro, mentre la ragione che mi determina esclusivamente o almeno principalmente, a questo genere di letture, è tutt’uno con la ragione per cui sono in generale quest’uomo determinato» (trad. it. cit., p. 81).
[17] SW 10, p. 142. «Quando di una cosa ignoro la ragione, do la responsabilità di essa al volere» (trad. it. cit., p. 100).