Il fraintendimento del modo. Spinoza nella «Scienza della Logica» (1812-1816) di Hegel
Vittorio Morfino
1. Spinoza nella Germania di fine Settecento – inizi Ottocento
Per comprendere appieno il significato dell’immagine e della funzione dello spinozismo nella Scienza della logica di Hegel è necessario ricostruire in modo schematico le modalità con cui questo è entrato a far parte della cultura filosofica tedesca nel quarto di secolo precedente, modalità che costituiscono ad un tempo il contesto di senso ed il Kampfplatz della presa di posizione hegeliana. Ovviamente, non si tratterà in alcun modo di ricostruire le interpretazioni di Spinoza in Germania con la lente dell’erudito, compito da un lato smisurato e dall’altro inutile, quanto piuttosto di indagare la presenza dello spinozismo come figura teoretica fondamentale all’interno nei dibattiti filosofici di quegli anni.
Nel 1785 Jacobi, nelle Lettere a Moses Mendelssohn sulla teoria di Spinoza, riferisce una frase di Lessing secondo cui «non c’è nessun’altra filosofia che la filosofia dello Spinoza» (1). Si trattò di un vero e proprio colpo di cannone all’interno del moderato illuminismo tedesco, che generò un dibattito sullo spinozismo cui presero parte Mendelssohn, Herder ed altri, ed in cui furono coinvolti anche Goethe e Kant. Che Lessing avesse o no proferito queste parole, l’operazione di Jacobi aveva di mira una totale identificazione della ragione occidentale con lo spinozismo, con lo scopo evidente di far cadere su quella le condanne di ateismo, materiali- smo e nichilismo riservate a questo. L’intento era quello di mostrare che per giungere a Dio si dovevano percorrere sino in fondo le vie della ragione e, giunti di fronte all’abisso del nulla a cui esse conducono, spiccare il salto mortale della fede. Solo allora l’alternativa viene posta nei suoi termini più radicali: das Nichts oder ein Gott!
Nel Fondamento dell’intera dottrina della scienza del 1794 Fichte, proprio nel tentativo di sottrarre la filosofia all’abbraccio mortale dello spinozismo, costruisce un’alternativa all’inter- no della filosofia stessa tra dogmatismo e criticismo:
Io osservo ancora che quando si oltrepassa l’Io sono si deve arrivare necessariamente allo spinozismo […] e che ci sono soltanto due sistemi perfettamente conseguenti. Il criticismo che riconosce questo limite e lo spinozismo che lo sorpassa (2).
La scelta tra i due sistemi non si dà su un piano teoretico, ma su un piano pratico, come dirà Fichte nell’Introduzione del 1797: ciò che si è come filosofi dipende da ciò che si è come uomini, un carattere fiacco e piegato alle frivolezze dal lusso raffinato e dalla servitù spirituale non potrà mai abbracciare l’idealismo.
Tuttavia, proprio attraverso la griglia concettuale del criticismo, in particolare i concetti di intellektuelle Anschauung, di immaginazione trascendentale e di giudizio teleologico (seguendo, in fondo, le indicazioni di correzione dello spinozismo proposte da Kant nella Critica del giudizio (3), Spinoza diviene, in un primo momento, una lente attraverso cui interpretare il sog- gettivismo fichtiano e, ben presto, un suo oltrepassamento. Nel 1795, Schelling nell’Io come principio della filosofia – pur seguendo Fichte nel considerare la teoria di Spinoza come il sistema del dogmatismo compiuto che si oppone al criticismo – ritiene tuttavia che Spinoza contro ogni aspettativa, finì […] per elevare il non-Io all’Io e abbassare l’Io al non-Io. In lui il mondo non è più mondo, l’oggetto assoluto non è più oggetto, nessuna intuizione sensibile, nessun concetto sono in grado di raggiungere la sua sostanza unica; essa è presente nella sua infinità soltanto all’intuizione intellettuale (4).
Da qui ha inizio un gioco di identificazioni che coinvolgerà, con sfumature e tonalità differenti, lo stesso Schelling degli scritti sulla filosofia della natura («ich bin indessen Spinozist geworden!» (5), scriverà all’amico fraterno di allora, Hegel) e la sua scuola, Hölderlin e gli amici del circolo panteista francofortese Zwilling e Sinclair, lo Schleiermacher dei Discorsi sulla religione e tutto il circolo romantico (6), infine l’Hegel dei primi anni di Jena (7).
Questa fase trova il suo culmine nella filosofia schellinghiana dell’assoluto come identità della Naturphilosophie e della Transzendentalphilosohie, dell’oggettivo e del soggettivo, che Hegel leggerà nella Differenzschrift attraverso la chiave privilegiata della proposizione 7 della seconda parte dell’Etica: ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum (8). Nella prefazione al Sistema dell’idealismo trascendentale del 1800 Schelling scrive:
[…] il parallelismo della natura con ciò che è intelligente […] non [può essere rappresentato] completamente né [dalla] filosofia trascendentale né [dalla] filosofia della natura, bensì soltanto [da] entrambe le scienze le quali proprio per ciò devono essere le due scienze eternamente contrapposte che giammai possono fondersi in una sola (9).
E si chiude nel 1807 con il celebre attacco hegeliano a Schelling/Spinoza, nella prefazione della Fenomenologia dello spirito, in cui l’assoluto di quest’ultimo è definito come «la notte nella quale, come si suol dire, tutte le vacche sono nere»(10). Si tratta allora, correggendo anche la sua propria posizione filosofica del primo periodo ienese, di esprimere il vero «non tanto come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto» (11).
A questa identificazione, che suonò come una condanna definitiva della sua filosofia, Schel- ling rispose con la celebre presa di posizione antispinoziana nelle Ricerche sulla libertà del 1809:
E qui, una volta per tutte, la nostra opinione sullo spinozismo! Questo sistema non è fatalismo per il fatto che considera le cose ricomprese in Dio: giacché […] il panteismo non rende impossibile la libertà, almeno in senso formale; Spinoza deve dunque essere fatalista per una ragione completa- mente diversa e indipendente da quello. L’errore del suo sistema non consiste nel fatto che egli pone le cose in Dio, ma nel fatto che esse sono cose, nella sua concezione astratta degli esseri del mondo, anzi la stessa infinita sostanza, che appunto non è per lui che una cosa. Perciò i suoi argomenti contro la libertà sono completamente deterministici, per nulla panteistici. Egli tratta anche la volontà come una cosa, e dimostra per via perfettamente naturale, che per ogni decisione ad agire essa deve venire determinata da un’altra cosa, la quale a sua volta è determinata da un’altra, e così via all’infinito. Di qui l’assenza di vita del suo sistema, l’aridità della forma, la povertà dei concetti e delle espressioni, la spietata rigidezza delle determinazioni, che ottimamente si accorda con la sua astratta maniera di pensare; di qui anche per conseguenza la sua veduta meccanica della natura (12).
Questa presa di posizione antispinozistica è funzionale alla costruzione di un panteismo in cui, a differenza che in quello spinoziano, sia possibile salvare al tempo stesso Dio, la ragione e la libertà, costruzione basata sulla distinzione tra fondamento ed esistenza in Dio, principio delle tenebre e principio della luce, principi che sono presenti in ogni essere naturale ma solo nell’uomo al massimo grado: «solo nell’uomo è l’intera potenza – scrive Schelling – del principio tenebroso, e a un tempo è in lui anche tutta la forza della luce. In lui è il più profondo abisso e il cielo più elevato [der tiefste Abgrund und der höchste Himmel], ossia ambedue i centri» (13). Proprio nella possibilità di pervertire i due principi cooriginari in Dio consiste il male, che dun- que nel panteismo schellinghiano ha una esistenza positiva, e non è puro malum metaphysicum, limitazione (dunque privazione).
Con le Ricerche, che secondo Heidegger scuotono la Logica di Hegel prima della sua apparizione, siamo sul limitare del periodo in cui Hegel comincia a scrivere la Scienza della logica. Sarà utile tenere in sinossi questa breve ricostruzione della presenza dello spinozismo in quanto figura teoretica negli snodi fondamentali della filosofia classica tedesca, per comprendere il senso e la posta in gioco delle occorrenze del nome proprio Spinoza all’interno della Scienza della logica di Hegel (di cui non prenderò in considerazione la revisione del 1831, concernente la sola Dottrina dell’essere e interrotta dalla morte, perché appartenente ad un periodo differente della riflessione hegeliana).
2. Le occorrenze di Spinoza nella Scienza della logica
2.1 Spinoza nella «Dottrina dell’essere» del 1812
La prima occorrenza del nome proprio Spinoza nella Scienza della logica di Hegel si trova nell’«Einleitung», a proposito del metodo. Spinoza è chiamato in causa in un luogo strategicamente fondamentale, quello in cui Hegel propone un totale rinnovamento della logica e del suo metodo. Hegel ritiene che la logica dei suo tempi «abbia presso a poco la forma di una scienza sperimentale» e che debba invece essere elevata a «scienza pura» (14): il metodo non deve restare estrinseco rispetto al contenuto. Già nella «Prefazione» alla Fenomenologia dello spirito He- gel aveva respinto l’uso del metodo matematico in filosofia, senza peraltro nominare Spinoza, affermando che «il movimento della dimostrazione matematica non appartiene all’oggetto, ma è un operare esteriore alla cosa» (15) ; nell’«Introduzione» alla Scienza della logica ribadisce l’argomento facendo esplicito riferimento a Spinoza e a Wolff:
Spinoza, Wolf e altri si lasciarono fuorviare applicando un tal metodo anche alla filosofia, e facen- do dell’andamento estrinseco, proprio della inconcettuale quantità, l’andamento del concetto, ciò ch’è in sé e per sé contraddittorio (16).
Non si tratta dunque di prendere a prestito il metodo dalla matematica, ma di pensare il metodo come il cammino stesso del pensiero, dato che questo è «la coscienza intorno alla forma dell’interno muoversi del suo contenuto» (17).
La seconda occorrenza la troviamo nel secondo capitolo («Das Dasein») della prima sezione («Qualität») nella trattazione della «Bestimmtheit», in una nota al paragrafo sulla negazione:
La determinazione è di per sé negazione, (determinatio est negatio) disse Spinoza – una proposizione di primaria importanza che derivò dalla concezione della determinazione. Perché essa è sostanzialmente il limite e ha il suo essere altro come suo fondamento; l’esistenza è ciò che è soltanto mediante il suo limite, non cade al di fuori di questa sua negazione. Per questo fu necessario che la realtà divenisse negazione, in questo modo essa manifesta il suo fondamento e la sua essenza. […] Della proposizione per cui la determinazione è negazione, l’unità della sostanza spinoziana, o l’esi- stenza di una sola sostanza, è una conseguenza necessaria. Dovette porre pensiero ed essere in questa unità come un’unica cosa, perché in quanto realtà determinate sono negazioni la cui infinità o verità è solamente la loro unità. Li concepì quindi come attributi, cioè non come qualcosa che ha un’esistenza particolare, un essere-in-sé-e-per-sé, ma che è soltanto come tolto, come momento. Allo stesso modo non può persistere la sostanzialità degli individui contro quella proposizione. Perché l’individuo è un limitato in tutti i sensi, è relazione individuale a se stesso soltanto ponendo limiti a ogni altra cosa; ma questi limiti sono quindi anche limiti di se stesso, relazioni a un altro, non ha la sua esistenza in se stesso. L’individuo è più che il limitato da ogni lato, ma in quanto inteso come finito, si afferma contro il finito come immobile, come esistente, come in e per sé la determinazione essenzialmente come negazione, trascinandolo nel movimento negativo da cui però non sorge un vuoto nulla, quanto piuttosto la sua infinità e l’essere-in-sé-e-per-sé [Die Bestimmheit überhaupt ist Negation, (deter- minatio est negatio) sagte Spinoza – in Satz, der von durchgängiger Wichtigkeit ist; der sich an der Betrachtung der Bestimmtheit ergab. Denn sie ist wesentlich die Grenze und hat das Andersseyn zu ihrem Grunde; das Daseyn ist nur durch seine Grenze das, was es ist; es fällt nicht ausserhalb dieser seiner Negation. Daher war nothwendig, daß die Realität in Negation überging; sie macht damit ihren Grund und Wesen offenbar. …Von dem Satze, daß die Bestimmheit Negation ist, ist die Einheit der Spinozistichen Substanz, oder daß nur eine Substanz ist, – eine nothwendige Consequenz. Denken und Seyn mußte er in dieser Einheit in eins setzen, denn als bestimmte Realitäten, sind sie Negationen, deren Unendlichkeit oder Wahrheit nur ihre Einheit ist. Er begriff sie daher als Attribute, d.h. als solche, die nicht ein besonderes Bestehen, ein An-und-für-sich-Seyn haben, sondern nur als aufgehobene, als Moment sind. – Ebensowenig kann die Substantialität der Individuen, gegen jenen Satz bestehen. Denn das Individuum ist ein nach allen Rücksichten Beschränktes; es ist individuelle Beziehung auf sich, nur dadurch, daß es allem Andern Grenzen setzt; aber diese Grenzen sind damit auch Grenzen seiner selbst, Beziehungen auf Anderes, es hat sein Daseyn nicht in ihm selbst. Das Individuum ist zwar mehr als nur das nach allen Seiten Beschränkte, aber insofern es als endliches genommen wird, so macht sich dagegen, daß das Endliche als solches als bewegungslos, als seyend, an und für sich sey, die Bestimmtheit wesentlich als Negation geltend und reißt es in die negative Bewegung, woraus aber nicht sein leeres Nichts, sondern vielmehr erst seine Unendlichkeit und das An-und-für-sich-Seyn hervorgeht] (18).
Hegel considera la proposizione di Spinoza di «importanza universale» poiché mostra come la «Bestimmtheit» sia «essenzialmente il limite [Grenze]» ed abbia l’«Esser-altro a proprio fondamento», e dunque il «Daseyn» sia ciò che è solo attraverso il limite: per questo necessaria- mente la realtà (Realität) trapassa in negazione, mostrando apertamente il suo fondamento e la sua essenza. Hegel ritiene che da questa proposizione derivi, in primo luogo, l’unità e l’unicità della sostanza spinozista di cui pensiero ed essere («Denken und Sein»), in quanto realtà de- terminate, sono negazioni, cioè attributi che non hanno un «besonderes Bestehen, ein An-und- für-sich-Sein», ma sono solo in quanto tolti (Aufgehobene), in quanto «Momente». In secondo luogo ne deriva la non sostanzialità degli individui, poiché l’individuo in quanto limitato (ein Beschränktes), non ha la propria esistenza in se stesso.
La terza occorrenza si trova all’inizio del primo capitolo («Die Quantität») della seconda sezione («Grösse») in una nota al paragrafo dedicato alla pura quantità in cui questa viene definita come l’unità dei momenti della continuità e della discrezione, ma principalmente nella forma di uno di questi momenti, quello della continuità. Nella nota Hegel si sofferma sul fatto che nel- la rappresentazione priva di concetto (Die begrifflose Vorstellung) la continuità viene pensata come composizione (Zusammensetzung), cioè come relazione estrinseca delle unità tra di loro, mentre la continuità non è estrinseca rispetto alle unità, ma essenziale. Hegel cita a questo punto Spinoza contro l’atomistica che resterebbe attaccata all’estrinsecità della continuità:
Il concetto della quantità pura, contro la semplice rappresentazione [Den Begriff der reinen Quan- tität gegen die bloße Vorstellung] di essa, è quello che ha in mente Spinoza (cui cotesto concetto soprattutto importava), quando (Eth., Parte I, propr. XV, schol.) della quantità parla così:
«La quantità è da noi concepita in due modi, e cioè in modo astratto, ossia superficiale, quando cioè la immaginiamo, o come sostanza, il che è fatto dal solo intelletto. Se dunque poniamo mente alla quantità come è nell’immaginazione, il che vien fatto da noi spesso e più facilmente, si troverà finita, divisibile, composta di parti; se invece poniamo mente ad essa come è nell’intelletto e la concepiamo in quanto sostanza, il che capita assai difficilmente, allora, come abbiamo già dimostrato a sufficienza, si troverà che è infinita, unica e indivisibile. Il che sarà abbastanza manifesto a tutti coloro che hanno imparato a distinguere tra immaginazione e intelletto» (19).
Sempre nella seconda sezione Spinoza ritorna nel secondo capitolo («Quantum») in una nota al paragrafo sull’infinitezza del quanto. Scrive Hegel:
È principalmente nel senso in cui si è mostrato che la cosiddetta somma o espressione finita di una serie infinita è anzi da riguardarsi come l’espressione infinita, che Spinoza stabilisce e chiarisce con esempi il concetto della vera infinità contro quello della cattiva. Il suo concetto verrà messo nella miglior luce, quando io ricongiunga a questo sviluppo ciò ch’egli dice in proposito.
Spinoza definisce anzitutto l’infinito come affermazione assoluta dell’esistenza di una certa natura, il finito al contrario come determinatezza, negazione. L’affermazione assoluta di un’esistenza è da intendersi cioè come il suo riferimento a se stessa, non essere per ciò che un altro è; il finito all’incontro è la negazione, un cessare come riferimento a un altro, che comincia fuori di lui. Ora l’assoluta affermazione di una esistenza non esaurisce certo il concetto dell’infinità; questo contiene che l’infinità è affermazione, ma non come affermazione immediata, sibbene solo come affermazione ristabilita per mezzo della riflessione dell’altro in se stesso, ossia come negazione del negativo. Presso Spinoza invece la sostanza e la sua assoluta unità ha la forma di una unità immobile, cioè non mediantesi con se stessa, la forma di una rigidezza nella quale il concetto della negativa unità dello Stesso, la soggettività, non si trova ancora. L’esempio matematico, con cui egli illustra (Epist. XXIX) il vero infinito, è uno spazio fra due circoli diseguali l’uno dei quali cade dentro l’altro senza toccarlo, e che non sono concentrici. Egli si riprometteva molto, a quel che sembra, da questa figura e dal concetto come esempio di cui l’adoprava, tanto che ne fece il motto della sua Etica. «I matematici, dic’egli, concludono che le ineguaglianze, che sono possibili in un tale spazio, sono infinite, non già a cagione dell’infinita moltitudine delle parti, perocché la sua grandezza è determinata e limitata, ed io posso porre simili spazi più grandi e più piccoli, ma perché la natura della cosa sorpassa ogni determinatezza». Come si vede, Spinoza rigetta quella rappresentazione dell’infinito, secondo la quale esso viene immaginato come moltitudine o come serie non compiuta, e ricorda che qui nello spazio dell’esempio l’infinito non sta al di là, ma è presente e compiuto; questo spazio è uno spazio limitato, ma infinito «perché la natura della cosa supera ogni determinatezza», perché la determinazione di grandezza in esso contenuta non può in pari tempo essere esposta come un quanto, ossia perché, secondo la surriferita espressione kantiana, il sintetizzare non può essere compiuto fino a raggiungere un quanto (discreto). […] Quell’infinito di una serie Spinoza lo chiama infinito dell’immaginazione; al contrario, quello che è come riferimento a se stesso, lo chiama infinito del pensiero o infinitum actu. Esso è infatti actu, è realmente, infinito, perché è compiuto in sé e presente (20).
Dunque qui Spinoza è chiamato in causa da Hegel, attraverso l’esempio dei due cerchi non concentrici, come testimone dell’infinito actu, presente e in sé compiuto, contro l’infinito dell’immaginazione, l’infinito di una serie non compiuta, il cattivo infinito.
Ritroviamo Spinoza all’inizio della terza sezione, «Das Mass», la misura, come unità di qualità e quantità, come esteriorità che non ha la determinatezza in altro, come la quantità, ma in sé. Rispetto a questo andamento triadico in cui il terzo, la misura, ritorno in sé, Hegel sottolinea l’insufficienza del concetto spinoziano di modo:
Presso Spinoza il modo è parimenti il terzo dopo la sostanza e l’attributo. Spinoza spiega i modi come affezioni della sostanza, ossia come quello che è in un altro, per mezzo del quale viene anche concepito. Questo terzo è in base a tal concetto soltanto l’esteriorità [Dieses Dritte ist nach diesem Begriffe nur Äußerlichkeit] come tale, secondo che si è d’altronde accennato che presso Spinoza man- ca in generale alla rigida sostanzialità il ritorno in sé stessa [der starren Substantialität die Rückker in sich selbst fehlt] (21).
Dunque Hegel si propone di correggere il concetto spinoziano di modo:
Da ciò si deduce che il modo ha qui il suo significato determinato come misura. La misura non è ancora il ritorno assoluto dell’essere in sé, quanto piuttosto il suo ritorno in sé all’interno della sua sfera [Nach dem vorhergehenden hat hier der Modus seine bestimmte Bedeutung als Maaß. Das Maaß ist noch nicht die absolute Rückkehr des Seyns in sich, sondern vielmehr seine Rückkehr in sich innerhalb seiner Sphäre] (22).
Ultima occorrenza del nome Spinoza nella «Dottrina dell’essere» si trova nel terzo capitolo («Das Werden des Wesens») della terza sezione, in una nota al paragrafo «Das Selbständige als umgekehrtes Verhältnis seiner Faktoren»:
Considerando l’assoluta indifferenza, il concetto fondamentale della sostanza spinoziana, si può inoltre osservare che questo concetto è l’ultima determinazione dell’essere prima che esso divenga essenza, ma che non raggiunge l’essenza. L’assoluta indifferenza contiene l’unità assoluta degli auto- sussistenti specifici nella loro determinazione più alta come pensiero ed essere e in essa di tutte le altre modificazioni di questi attributi. Ma così è pensato soltanto l’assoluto essente in sé, non essente per sé. Ovvero, si tratta della riflessione esterna che si ferma nella considerazione degli autonomi specifici in sé o assoluti come tutt’uno, della loro differenza come indifferente, come nessuna differenza in sé. Ciò che qui ancora manca è che la riflessione non sia la riflessione esterna del soggetto pensante, ma che essa stessa venga riconosciuta come la propria determinazione e movimento dell’autosussistente a togliere la propria differenza e di essere uno non soltanto in sé, ma nella sua differenza qualitativa, cosicché il concetto dell’essenza non ha il negativo fuori di sé, ma contiene in sé l’assoluta negatività e indifferenza verso se stesso così come il suo essere altro verso se stesso [In Ansehung der Absoluten Indifferenz, des Grundbegriffs der Spinozistischen Substanz, kann noch erinnert werden, daß dieser Begriff die letze Bestimmung des Seyns ist, ehe es zum Wesen wird, daß er aber das Wesen selbst nicht erreicht. Die absolute Indifferenz enthält die absoluten Einheit der spezifisch Selbständigen in ihre höchsten Bestimmung als des Denkens und des Seins und darin überhaupt aller anderen Modifikatio- nen dieser Attribute. Allein damit ist nur das ansichseiende, nicht da fürsichseiende Absolute gedacht. Oder es ist die äußere Reflexion, welche dabei stehenbleibt, daß die spezifisch Selbständigen an sich oder in Absoluten dasselbe und eins sind, daß ihr Unterschied nur ein gleichgültiger, kein Unter- schied an sich ist. Was hier noch fehlt, besteht darin, daß die Reflexion nicht die äußere Reflexion des denkenden Subjektes sei, sondern daß sie selbst erkannt werde, und zwar als die eigene Bestimmung und Bewegung der Selbständigen, ihren Unterschied aufzuheben und nicht bloß an sich eins, sondern in ihrem qualitativen Unterschied eins zu sein, wodurch dann der Begriff des Wesens [sich erweist], nicht das Negative außer ihm zu haben, sondern an ihm selbst die absolute Negativität, Gleichgültig- keit gegen sich selbst ebensosehr als seines Andersseins gegen sich zu sein] (23).
L’indifferenza assoluta è l’ultima determinazione dell’essere prima che questi diventi essenza, e sul limitare dell’essenza, cioè sul limitare della supposizione che dietro l’essere via sia «un fondo [che ne] costituisca la verità» (24), sembrerebbe fermarsi la filosofia di Spinoza.
2.2 Spinoza nella «Dottrina dell’essenza» del 1813
Tuttavia nella «Dottrina dell’essenza» Spinoza si ripresenta. Alla sua filosofia è dedicata un’ampia trattazione nella terza sezione, La realtà (Wirklichkeit), che si presenta come «l’uni- tà dell’essenza e dell’esistenza», più in specifico nella nota che conclude il primo capitolo sull’«Assoluto» articolato in «Esposizione dell’assoluto», «L’attributo assoluto» e «Il modo dell’assoluto». L’analisi della filosofia spinoziana presente nella nota segue l’andamento triadico del capitolo che conclude e si sviluppa a commento dei concetti di sostanza attributo e modo.
In primo luogo analizza il concetto di sostanza, la cui assolutezza, unicità e indivisibilità è la conseguenza del principio determinatio est negatio, vero principio fondamentale dello spinozismo. Se questa concezione della sostanza ha il merito di sciogliere ogni indipendenza del finito nella totalità, tuttavia ha il limite di concepire il pensiero di questa totalità come una finitezza estrinseca e non come quel circolo in cui origine e fine si incontrano:
Al concetto dell’assoluto e al rapporto della riflessione verso di esso, così come si è presentato qui, corrisponde il concetto della sostanza spinozistica. Lo spinozismo è una filosofia difettosa in questo, che la riflessione e il suo molteplice determinare è un pensiero estrinseco. – La sostanza di questo sistema è una sostanza unica, un’unica totalità indivisibile. Non si dà alcuna determi- natezza che non sia contenuta e risolta in questo assoluto, ed è assai importante che tutto quello che appare e sta dinanzi come indipendente al naturale rappresentare o all’intelletto determinativo venga in quel concetto necessario intieramente abbassato a un mero esser posto. – La determina- tezza è negazione; questo è il principio assoluto della filosofia spinozistica. Cotesta veduta vera e semplice fonda l’assoluta unità della sostanza. Se non che Spinoza resta fermo alla negazione come determinatezza o qualità; non avanza fino alla conoscenza di essa come negazione assoluta, vale a dire come negazione che si nega. Perciò la sua sostanza non contiene essa stessa la forma assoluta, e la conoscenza di essa non è conoscenza immanente. Certo, la sostanza è assoluta unità del pensare e dell’essere ossia dell’estensione; essa contiene sì il pensiero stesso, ma solo nella sua unità coll’estensione, vale a dire non come tale che si separa dall’estensione, di conseguenza in generale non come un determinare e un formare, e nemmeno come il movimento che ritorna e che comincia da se stesso. Da una parte manca per questa ragione alla sostanza il principio della personalità – difetto che principalmente mosse a sdegno contro il sistema spinozistico –, d’altra parte il conoscere è la riflessione estrinseca, la quale non comprende e deduce dalla sostanza quello che appare come finito, la determinatezza dell’attributo e il modo, come anche in generale se stessa, ma è attiva come un intelletto estrinseco, prende le determinazioni come date e le riconduce all’assoluto, in luogo di desumere da questo i loro inizi.
I concetti che Spinoza dà della sostanza sono i concetti della causa di sé, – che essa è ciò la cui essenza include in sé l’esistenza, – che il concetto dell’assoluto non abbisogna del concetto di un altro da cui debba esser formato. Questi concetti, per quanto profondi ed esatti, sono definizioni, che ven- gono ammesse immediatamente all’inizio della scienza. La matematica e le altre scienze subordinate debbono cominciare con un presupposto che ne costituisca l’elemento e la base positiva. Ma l’assolu- to non può essere un primo, un immediato; esso è essenzialmente il suo risultato.
In secondo luogo Hegel analizza il concetto di attributo sottolineando come nella definizione spinozista la determinazione dell’assoluto, che l’attributo è, venga fatto dipendere dall’intelletto, cioè da un modo, da un che di posteriore. Inoltre il passaggio dall’infinitezza degli attribuiti alla dualità oppositiva di pensiero ed estensione, non è dedotta dall’assoluto, ma solo assunta dall’empiria:
Dopo la definizione dell’assoluto si affaccia poi in Spinoza la definizione dell’attributo, che è determinato come la maniera in cui l’intelletto concepisce l’essenza dell’assoluto. Per il fatto che l’intelletto secondo la sua natura vien preso come posteriore all’attributo, – poiché Spinoza lo de- termina come modo, – l’attributo, la determinazione come determinazione dell’assoluto, viene fatto dipendere da un altro, cioè dall’intelletto, che si presenta di fronte alla sostanza in maniera estrinseca ed immediata.
Spinoza determina inoltre gli attributi come infiniti, e di certo infiniti anche nel senso di una infi- nita pluralità. È vero che poi ne vengono fuori soltanto due, il pensiero e l’estensione, e non si mo- stra in che modo la pluralità infinita si riduca necessariamente solo all’opposizione e precisamente a quest’opposizione, e proprio a questa determinata, del pensiero e dell’estensione. – Questi due attribu- ti sono perciò assunti empiricamente. Il pensiero e l’essere rappresentano l’assoluto in una determina- zione; l’assoluto stesso è la loro assoluta unità, cosicché essi non sono che forme inessenziali; l’ordine delle cose è lo stesso che quello delle rappresentazioni o pensieri, e l’unico assoluto viene considerato solo dalla riflessione estrinseca, cioè da un modo, sotto quelle due determinazioni, ora come totalità di rappresentazioni, ora come totalità di cose e dei loro mutamenti. Come è questa riflessione esterna che stabilisce quella differenza, così è anch’essa che la riconduce e sprofonda nell’assoluta identità. Ma tutto questo movimento avviene fuori dell’assoluto. Certo, questo è anche il pensiero, e sotto questo riguardo un tale movimento è soltanto nell’assoluto. Ma, come si è notato, esso è nell’assoluto solo come unità coll’estensione, e dunque non come quel movimento che è essenzialmente anche il momento dell’opposizione. – Spinoza fa al pensiero la sublime richiesta di pensar tutto sotto la forma dell’eternità, sub specie æterni, vale a dire così com’è nell’assoluto. Ma in quell’assoluto che è soltanto l’identità immobile, l’attributo, come il modo, è solo come dileguantesi, non come diveniente, cosicché anche quel dileguarsi prende il suo cominciamento positivo soltanto dal di fuori.
Infine, sul concetto di modo, Hegel torna a sottolineare come sia puro allontanamento dalla sostanza e non ritorno in sé di questa:
Il terzo, il modo, è in Spinoza un’affezione della sostanza, la determinatezza determinata, quello che è in un altro e che viene compreso mediante questo altro. Gli attributi hanno propriamente per loro determinazione soltanto la diversità indeterminata. Ciascuno deve esprimere la totalità della sostanza ed esser concepito in base a se stesso; ma in quanto è l’assoluto come determinato, contiene l’esser altro, e non può esser concepito soltanto in base a se stesso. Soltanto nel modo è quindi propriamente contenuta la determinazione dell’attributo. Questo terzo resta inoltre un semplice modo; da un lato è un che di dato immediatamente, dall’altro la sua nullità non viene conosciuta come riflessione in sé. – L’esposizione spinozistica dell’assoluto, pertanto, è sì completa, poiché comincia dall’assoluto, fa seguire a questo l’attributo, e finisce col modo; ma questi tre vengono soltanto enumerati uno dopo l’altro senz’alcuna interna consecuzione dello sviluppo, e il terzo non è la negazione come negazione, non è una negazione che si riferisca negativamente a sé, così che sia in lei stessa il ritorno nella prima identità e questa sia vera identità. Manca quindi la necessità del procedere dell’assoluto fino all’ines- senzialità, come anche la risoluzione di questa, in sé e per se stessa, nella identità; ossia mancano tanto il divenire dell’identità quanto quello delle sue determinazioni (25).
In sintesi, Spinoza ha il merito di pensare la sostanza come unità di essenza ed esistenza, come causa sui, ed il limite di oggettivarla, di pensarla dall’esterno, a partire da un modo, da un intelletto finito. In Spinoza il soggetto si perde nella sostanza perché la sostanza non è ab ori- gine logos, il pensiero in essa non ha alcun primato rispetto all’estensione, cosicché il soggetto non è ritorno in sé, ma vano disperdersi e la sostanza, senza questo movimento di ritorno, mera identità. In altre parole, la natura in Spinoza non diviene spirito, non diviene storia come senso infine svelato della traccia logica della sostanza.
2.3 Spinoza nella «Dottrina del concetto» del 1816
Ritroviamo Spinoza nella «Dottrina del concetto», nell’Introduzione intitolata «Begriff im Algemeinen», in cui Hegel spiega che il concetto è «il terzo rispetto all’essere e all’essenza, rispetto all’immediato e alla riflessione» (26). Essere ed essenza sono contenuti nel concetto, ma non in quanto tali, poiché hanno questa determinazione solo in quanto non sono ancora rientrati nell’unità del concetto: «La logica oggettiva, che considera l’essere e l’essenza, costituisce quindi propriamente l’esposizione genetica del concetto» (27). Il concetto ha la sostanza come «presupposizione immediata», cioè questa è in sé ciò che il concetto è «come manifesto» e «il movimento dialettico della sostanza attraverso la causalità e l’azione reciproca è quindi l’imme- diata genesi del concetto, per la quale viene esplicato il suo divenire» (28).
Dopo un sintetico riassunto delle acquisizione dell’ultimo capitolo della terza sezione della dottrina dell’essenza, «Il rapporto assoluto», affronta la questione della confutazione dello spi- nozismo, da una parte proponendo una sorta di modello teorico dei tentativi che l’hanno preceduto e dall’altra proponendo rispetto a questo la specificità della propria soluzione:
Fu già menzionato nel libro secondo della logica oggettiva, p. 604, Nota, che la filosofia che si colloca nel punto di vista della sostanza e vi si tien ferma, è il sistema di Spinoza. In quel medesimo luogo fu anche indicato il difetto di questo sistema sia riguardo alla forma, sia riguardo alla materia. Ma altra cosa è la sua confutazione. Per ciò che si riferisce alla confutazione di un sistema filosofico è stata fatta parimenti l’osservazione generale che bisogna sbandirne la rappresentazione storta, come se il sistema di dovesse dimostrare interamente falso, e come se il sistema vero non avesse ad essere che l’opposto del falso. Dalla connessione in cui si presenta qui il sistema spinozistico sorge di per sé la sua vera piattaforma, nonché quella della domanda se quel sistema sia vero oppure falso. Il rapporto di sostanzialità si generò per la natura dell’essenza. Questo rapporto, come pure l’esposizione suo in sistema, ampliata fino a diventare un tutto, è quindi una posizione necessaria, in cui l’assoluto si colloca. Un tal punto di vista non si deve pertanto riguardare come un’opinione, una soggettiva arbitraria maniera di d’immaginare e pensare propria di un individuo, quasi un’aberrazione della speculazione; anzi la speculazione, nel percorrere la sua vita, si imbatte necessariamente in quel punto di vista, epperò il sistema è perfettamente vero. Ma non è il punto di vista più alto. Se non che perciò non il sistema può essere riguardato come falso, come bisognoso e capace di confutazione, sibbene soltanto questo è da ritenere costì come il falso, che cioè quel sistema costituisca il più alto punto di vista. Quindi è che il sistema vero non può nemmeno avere verso di quello il rapporto di essergli soltanto opposto; perché così questo opposto sarebbe esso stesso un che di unilaterale. Anzi essendo il superiore deve contenere in sé il subordinato.
La confutazione non deve inoltre venir dal di fuori, ossia non deve partire da supposizioni che stan fuori di quel sistema e a cui esso non corrisponde. Non v’è che da ammettere quelle supposizioni; il difetto è un difetto soltanto per colui che muove dai bisogni e dalle esigenze fondate su quelle. Si disse pertanto che chi non presupponga per sé come certa la libertà e indipendenza del soggetto au- tocosciente, per lui non possa aver luogo alcuna confutazione dello spinozismo. Oltreché un punto di vista così alto e in sé già così ricco, come il rapporto di sostanzialità, non ignora quelle supposizioni, ma le contiene anche; uno degli attributi della sostanza spinozistica è il pensare. Quel punto di vista sa anzi risolvere e tirare le determinazioni sotto cui queste supposizioni lo contrastano, cosicché queste vi appariscono, ma però con quelle modificazioni che gli si convengono. Il nerbo del confutare estrinseco si basa allora soltanto sul mantenere dal canto proprio rigide e ferme le forme opposte di quelle supposizioni, per es. l’assoluto sussistere per sé dell’individuo pensante contro la forma del pensare secondo che vien posto nella sostanza assoluta come identico coll’estensione. La vera confutazione deve penetrare dov’è il nerbo dell’avversario e prender posizione là dove risiede la sua forza; attaccarlo fuor di lui stesso e sostenere le proprie ragioni là dove egli non si trova, non conclude a nulla.
L’unica confutazione possibile consiste dunque secondo Hegel non in una contrapposizione estrinseca a questo sistema, nel contrapporre cioè libertà e necessità in modo estrinseco, ma nel riconoscere la posizione spinoziana come una posizione necessaria del pensiero, il concetto dell’unità sostanziale, che tuttavia non deve essere considerata la più alta. Hegel enuncia qui il principio della critica immanente. Si tratta di dialettizzare la categoria di sostanza, in modo da far sorgere dal suo seno stesso la libertà, piuttosto che contrapporla ad essa in modo estrinseco:
L’unica confutazione dello spinozismo può quindi consistere soltanto in ciò che si riconosca anzi- tutto come essenziale e necessario il suo punto di vista, e che poi in secondo luogo si elevi questo pun- to di vista da sé stesso al punto di vista superiore. Il rapporto di sostanzialità, considerato interamente solo in sé e per se stesso, si trasporta al suo opposto, cioè al concetto. L’esposizione della sostanza contenuta nell’ultimo libro, esposizione che mena al concetto, è quindi l’unica e vera confutazione dello spinozismo. È il discoprimento della sostanza, e cotesto discoprimento è la genesi del concetto, i momenti principali della quale sono stati riassunti dianzi.– L’unità della sostanza è il suo rapporto di necessità. Ma così essa è soltanto necessità interna. In quanto mediante il momento della negatività assoluta si pone, essa diventa identità manifestata ossia posta; diventa con ciò la libertà, che è identità del concetto. Questa, cioè la totalità resultante dall’azione reciproca, è l’unità di entrambe le sostanze dell’azione reciproca, però in modo ch’esse appartengono ormai alla libertà, in quanto non hanno più la loro identità come un che di cieco, vale a dire d’interno, ma hanno essenzialmente la determinazione di essere come parvenza o come momenti di riflessione, per cui ciascuna è insieme immediatamente fusa col suo altro o col suo esser posto, e ciascuna contiene in se stessa il suo esser posto, epperò nel suo altro è posta come soltanto identica con sé.
Nel concetto si è quindi aperto il regno della libertà. Il concetto è il libero, perché l’identità in sé e per sé, che costituisce la necessità della sostanza, è in pari tempo come tolta, ossia è come esser posto, e questo esser posto, come riferentesi a se stesso, è appunto quell’identità. L’oscurità reciproca delle sostanze che stanno nel rapporto causale è scomparsa, poiché l’originarietà del loro sussistere per sé è trapassata in esser posto, e si è perciò fatta chiarezza trasparente a se stessa. La cosa originaria è questo, in quanto non è che la causa di se stessa, e questo è la sostanza liberata fino ad essere concetto (29).
Solo correggendo il concetto di sostanza spinoziano e mostrando come dal suo seno emerga il regno della libertà, la soggettività, il concetto, è possibile dunque confutare lo spinozismo. Ritroviamo Spinoza nel primo capitolo («Il concetto») della prima sezione («La soggettivi- tà») nel paragrafo sul concetto particolare. Qui Hegel scrive:
Quando si parla del concetto determinato, ciò che si ha in mente non è di solito altro che [l’]astratto universale. Anche per concetto in generale si intende per lo più soltanto questo concetto vuoto di concetto, mentre l’intelletto designa la facoltà di tali concetti. La dimostrazione appartiene a questo intelletto, in quanto essa avanzi in concetti, cioè solo in determinazioni. Cotesto avanzare in concetti non oltrepassa quindi la finità e la necessità. Il culmine è qui l’infinito negativo, l’astrazione della su- prema essenza che è appunto la determinatezza dell’indeterminatezza. Anche la sostanza assoluta non è per vero dire questa vuota astrazione, anzi per il contenuto è la totalità; ma è astratta, perché è senza la forma assoluta; la sua intima verità non è costituita dal concetto. Contuttoché sia l’identità dell’universalità e della particolarità, ovvero del pensiero e dell’essere reciprocamente estrinseco, pure questa identità non è la determinatezza del concetto; fuor di lei è anzi un intelletto (e precisamente appunto perché fuor di lei, un intelletto accidentale) nel quale e per il quale essa è in diversi attributi e modi (30).
Infine l’ultima occorrenza del nome Spinoza la troviamo nel secondo capitolo («l’idea del conoscere») della terza sezione («L’idea») a proposito del teorema. Hegel ripete il giudizio espresso nell’«Introduzione» riguardo all’uso del metodo matematico in filosofia, aggiungendo però un dettaglio interessante:
Quell’abuso [di Wolf] non valse però a spiantar la fede nell’attitudine ed essenzialità di questo metodo affin di ottenere un rigore scientifico nella filosofia; l’esempio di Spinoza nell’esposizione della sua filosofia è stato riguardato ancora per molto tempo come un modello. […] Jacobi l’attaccò […] mettendo in rilievo nella maniera più chiara e profonda il punto fondamentale, che cioè cotesto metodo di dimostrazione è assolutamente stretto nel circolo della rigida necessità del finito, e che la libertà, cioè il concetto, e quindi tutto ciò che veramente è, sta al di là di un tal metodo e non ne può essere raggiunto (31).
Qui, nell’ultimo passaggio della Scienza della logica dedicato a Spinoza, il cerchio si chiude, le due critiche fondamentali rivolte a Spinoza, la critica al metodo matematico e la critica alla sostanza pietrificata, diventano uno: è la natura stessa del metodo usato che impedisce a Spinoza di entrare nella sfera della libertà che si apre con il concetto.
3. Il luogo di Spinoza nella «Scienza della logica»
Com’è noto la Scienza della logica hegeliana sviluppa nella forma di una sincronia fondamentale, nel ritmo dialettico di un tempo logico, le categorie che si incarneranno diacronica- mente nella storia della filosofia. Naturalmente non è qui questione di una corrispondenza punto a punto del piano logico e del piano storico, ma di luoghi teorici strategici, di punti di svolta che una filosofia ha occupato. Sotto questo profilo è interessante analizzare il luogo teorico oc- cupato dalla filosofia di Spinoza all’interno della costruzione concettuale hegeliana, intendendo per luogo teorico non tanto il fatto che Hegel faccia intervenire questa o quella argomentazione di Spinoza per chiarificare la propria, ma la stessa dialettizazzione hegeliana delle categorie fondamentali di Spinoza nel movimento dell’idea, movimento che costituisce la struttura tra- scendentale del divenire.
In questo senso abbiamo rilevato che Spinoza occupa un duplice spazio teorico: una prima volta lo troviamo sul limitare dell’essere, prima del passaggio all’essenza, ed una seconda volta sul limitare dell’essenza prima del passaggio al concetto. Ed in questo senso è interessante notare che la seconda occorrenza smentisce la prima, che aveva condannato la sostanza spinozista intesa come indifferenza assoluta a non varcare la sfera dell’essenza, ossia la sfera della domanda sulla verità dell’essere.
Come detto, nella Dottrina dell’essere del 1812 troviamo Spinoza nel terzo capitolo («Il divenire dell’essenza») della terza sezione («La misura»). Dove la misura, in quanto unità im- mediata di qualità e quantità, passa nello smisurato superandosi e divenendo unità mediata della quantità e della qualità. Siamo al confine dell’essere, prima che questo passi nell’essenza. E a questo girone Hegel sembra condannare definitivamente Spinoza: Spinoza incarna la categoria di indifferenza assoluta, che non è l’indifferenza dell’inizio della logica, data dalla «pura possibilità d’essere», dalla «forma sintetica – l’essere – della predicazione», ma è piuttosto «l’unità dell’essere come indifferenziato corpo chimico costituito sempre e dovunque dallo stesso tipo di relazioni» (32). La sostanza spinozistica, come assoluta indifferenza, costituisce l’ultima determinazione dell’essere prima che divenga essenza e che tuttavia non giunge all’essenza («er aber das Wesen nicht erreicht»), proprio perché la differenza di essere e pensiero nell’unità della sostanza è solo un gleichgültiger, che ha il proprio negativo fuori di sé, frutto di una riflessione esterna, e non come movimento di superamento che ha il proprio negativo in sé.
Tuttavia nella Dottrina dell’essenza del 1813 ritroviamo Spinoza. E che questa presenza oltre i confini dell’essere abbia un preciso significato è dimostrato dal fatto che nella seconda edizione della Dottrina dell’essere pubblicata nel 1832 Hegel da una parte modifica il testo, affermando che «l’indifferenza assoluta può sembrare [scheinen kann] la determinazione fondamentale della sostanza spinozistica» (33), e dall’altra cancellando il passaggio in cui afferma che non giunge all’essenza. Dunque la sostanza spinoziana ben lungi dal fermarsi ai confini dell’essere, ad un essere in un certo senso pre-metafisico che non conosce lo sdoppiamento di piani dell’essenza, costituirebbe invece il punto di oltrepassamento della metafisica, punto in cui lo sdoppiamento dell’essere in essenza ed esistenza viene riassorbito nell’unità della realtà.
Il luogo occupato da Spinoza nella Dottrina dell’essenza è la terza sezione, la Wirklichkeit», la realtà effettuale, che è «unità dell’essenza e dell’esistenza» (34); unità che non è più l’unità im- mediata dell’essere, ma è l’unità memore della dualità che l’ha attraversata, un’unità mediata. Tale sezione svolge nel primo capitolo un’esposizione speculativa delle categorie spinoziane di assoluto, attributo e modo (35), nel secondo un’esposizione speculativa delle categorie modali kantiane (36), e nel terzo un’esposizione della dialettica delle categorie kantiane della relazione (37). Le linee generali del movimento dialettico di tale esposizione speculativa sono esposte nell’esordio di questo terzo capitolo intitolato «il rapporto assoluto»:
Questo rapporto [Verhältniss], nel suo immediato concetto, è il rapporto della sostanza e degli ac- cidenti, l’immediato sparire [Verschwinden] e divenire della parvenza assoluta in se stessa. In quanto la sostanza si determina all’esser per sé contro un altro, cotesto, vale a dire il rapporto assoluto come reale, è il rapporto della causalità. Finalmente in quanto questo, come riferentesi a sé, passa nell’in- terazione, con ciò è anche posto il rapporto assoluto secondo le determinazioni che contiene. Questa posta unità sua nelle sue determinazioni, le quali son poste appunto come l’intiero stesso e con ciò anche come determinazioni, è allora il concetto (38).
L’azione reciproca è dunque posta da Hegel come sintesi di sostanzialità e causalità; in essa è tolta la dualità ancora presente nelle relazioni sostanza-accidenti e causa-effetto: la riflessione come sostanza infinita assorbe in sé ogni immediatezza in modo che nella Wechselwirkung l’alterità e la molteplicità del dato presupposto sia tutto riassorbito nell’immanenza dell’unità riflessiva (riflessione determinante (39).
Nella nota dedicata alle filosofie di Spinoza e di Leibniz, Hegel insiste sui limiti della filosofia spinoziana che consistono nel porre la riflessione come esterna alla sostanza, quindi nell’oggettivazione dell’assoluto, e nel concepire il modo come verschvinden e non come aufheben, come puro dileguarsi e non come negazione della negazione, cioè come ritorno nella prima identità. Nella Dottrina del concetto del 1816 Hegel ritorna sulla filosofia di Spinoza esibendo la differenza specifica della propria confutazione in aperta polemica con la posizione secondo cui «chi non presupponga per sé come certa la libertà e indipendenza del soggetto autocosciente, per lui non può aver luogo alcuna confutazione dello spinozismo». Hegel mostra come la vera confutazione dello spinozismo non debba venire da presupposizione esterne alla sua filosofia, ma da una critica immanente ad essa, dal mostrare come l’esposizione dialettica della posizione spinoziana conduca necessariamente al concetto, e che il difetto dello spinozismo sia consistito non nell’esporre il punto di vista della sostanzialità, ma nell’averlo considerato come il più alto. Mentre nella Dottrina dell’essenza Hegel aveva insistito sui limiti dello spinozismo, nella Dottrina del concetto Hegel sottolinea il fatto che ciò che realmente conta è che Spinoza esprima una posizione necessaria dal punto di vista dello sviluppo delle categorie, il rapporto di sostanzialità, e che falsa non è quella posizione di pensiero, ma è il ritenere quella posizione come la più alta, cioè il fermarsi ad essa senza giungere al concetto.
4. I difetti dello spinozismo
Ritorniamo ora sui dettagli dell’interpreazione dello spinozismo proposta da Hegel e rias- sumiamo in primo luogo le critiche che egli rivolge a Spinoza, critiche che si risolvono nel sottolineare le mancanze della filosofia di Spinoza rispetto alla propria:
1) Spinoza fa uso del metodo matematico in filosofia, metodo che risulta esteriore rispetto all’«andamento del concetto», e dunque non è in grado come il metodo dialettico hegeliano di coglierne il pulsare vivente.
2) In Spinoza manca la soggettività in quanto negazione della negazione, cioè ritorno in sé della sostanza, che dunque, proprio per l’assenza di questo ritorno, risulta rigida.
3) Il modo, poi, non solo non è soggetto, ma non è nemmeno misura, cioè, come in Hegel, «ritorno in sé all’interno della sua sfera», è invece pura e semplice esteriorità.
4) La riflessione in Spinoza è estrinseca e accidentale, benché egli ponga l’unità di pensiero ed estensione nella sostanza. Per questa ragione non può concepire il pensiero come il movi- mento immanente che comincia da sé ed a sé ritorna.
5) Precisamente per questa ragione manca in Spinoza la deduzione del finito dall’infinito: l’intelletto estrinseco «prende le determinazioni come date e le riconduce all’assoluto, in luogo di desumere da questo i loro inizi».
Se si volesse sintetizzare in estremo il giudizio hegeliano, ciò che manca in Spinoza è il movimento dalla sostanza al soggetto come struttura trascendentale del divenire, la logica come struttura teleologica trascendentale del divenire, nei termini della rappresentazione, «i pensieri di Dio prima della creazione del mondo» che costituiscono lo scheletro logico dell’essere: questa mancanza si riflette sul metodo, che non è appunto dialettico; sulla concezione della sostanza, che è immobile e non movimento orientato da un telos immanente; sulla concezione dell’intelletto che è estrinseco, cioè pura presa d’atto dell’essere, e non ragione che costituisce l’interna struttura dell’essere per poi in essa riconoscersi; sulla concezione del modo che è pura esteriorità e non ritorno alla sostanza sotto forma di trasparenza e libertà infine raggiunte; infine sul movimento dalla sostanza al modo che non è deduzione ma pura giustapposizione.
5. I pregi dello spinozismo
Veniamo ora a ciò che Hegel considera come acquisizioni dello spinozismo a tal punto fondamentali da fargli pronunciare in anni successivi la celebre frase entweder Spinozismus oder keine Philosophie:
1) la proposizione determinatio est negatio, proposizione di importanza universale perché mostra come siano i confini (Grenzen) a fare di ogni essere determinato, di ogni esserci (Daseyn), ciò che è, e dunque come l’esser altro stia a fondamento dell’esserci. Affermare che la determina- zione è nella sua essenza negazione significa negare la sostanzialità degli individui determinati che non possono essere pensati se non nelle relazioni che essi stabiliscono con l’esser altro («das Individuum ist ein nach allen Rücksichten Beschränktes; es ist individuelle Beziehung auf sich, nur dadurch, daß es allem Andern Grenzen setzt; aber diese Grenzen sind damit auch Grenzen seiner selbst, Beziehungen auf Anderes, es hat sein Daseyn nicht in ihm selbst»), di modo che ogni indipendente in Spinoza si riveli in realtà come un esser posto.
2) Questa concezione dell’individuo permette a Spinoza, secondo Hegel, di sfuggire alla rap- presentazione priva di concetto della continuità come composizione, cioè come relazione estrinseca delle unità tra di loro. Il continuum di cui parla Spinoza è la pura quantità, quantità che non è finita divisibile e composta di parti così come è rappresentata dall’immaginazione, ma infinita, unica ed indivisibile.
3) Da ciò deriva in Spinoza anche una corretta concezione della vera infinità in contrapposizio- ne con la cattiva, benché in Spinoza, come più volte detto, l’infinità sia sì affermazione, ma non quell’affermazione che è ristabilita attraverso la negazione, e dunque come negazione di quella negazione in cui il finito consiste, riflessione dell’altro in se stesso, dunque sog- gettività. Attraverso l’esempio matematico dei due cerchi non concentrici Spinoza prende le distanze da una concezione dell’infinito come serie non compiuta: nell’esempio si delinea secondo Hegel un infinito «presente e compiuto».
Volendo riassumere schematicamente, ciò che Hegel considera fondamentale nello spinozi- smo è proprio il concetto di sostanza infinita che relega ogni forma di sostanzialità del finito all’ambito della conoscenza immaginativa, che scioglie ogni indipendenza in un esser posto, in una infinita relazionalità, senza peraltro che questa relazionalità divenga trasparente a se stessa, giunga a scoprire se stessa come trama razionale del reale guidata da un telos.
6. La sostanza e il modo
Detto in estrema sintesi ciò che è vero in Spinoza è la categoria di sostanza, a patto che que- sta sia pensata nella direzione del concetto, cioè che divenga spirito; ciò che è invece falso è la categoria di modo, proprio perché è esteriorità e non ritorno.
Se prendiamo i diversi passaggi dedicati a Spinoza nella Scienza della logica scopriremo che tutte le critiche allo spinozismo convergono sul concetto spinoziano di modo. Nelle Lezioni sulla storia della filosofia la malattia di Spinoza, la tisi, in tedesco Schwindsucht, cioè, etimo- logicamente, tendenza a scomparire, diverrà il simbolo dell’errata concezione spinoziana del modo: il modo spinoziano è caratterizzato dal verschwinden e non dall’aufheben, e un esse in alio che non torna in sé, è un vano disperdersi.
Sia nella sfera dell’essere che nella sfera dell’essenza Hegel corregge il concetto di modo: nella sfera dell’essere attraverso il concetto di misura che è il ritorno in sé dell’essere attraverso la sua sfera; nella sfera dell’essenza il modo viene pensato come «il proprio movimento riflessivo dell’assoluto[,] un determinare, ma non tale che per mezzo di esso l’assoluto diventi un altro, sibbene un determinare quello che l’assoluto è già», poiché il contenuto dell’assoluto è «assoluto manifestarsi [absolutes sich für sich selbst Manifestiren]» (40). Solo attraverso la critica immanente del modo la sostanza si apre al concetto, si scopre essere concetto, dando luogo alla struttura trascendentale che imporrà alla natura di farsi giorno spirituale della presenza.
Torniamo ora brevemente sulla lettura hegeliana dell’esempio spinoziano dei due cerchi non concentrici attraverso cui Hegel ci dice che Spinoza distingue il concetto di vera infinità dalla cattiva infinita. Prima di analizzare l’esempio Hegel riassume la posizione generale di Spinoza a riguardo in termini che ci sono ormai ben noti:
Spinoza definisce anzitutto l’infinito come affermazione assoluta dell’esistenza di una certa natura, il finito al contrario come determinatezza, negazione. L’affermazione assoluta di un’esistenza è da intendersi cioè come il suo riferimento a se stessa, non essere per ciò che un altro è; il finito all’incontro è la negazione, un cessare come riferimento a un altro, che comincia fuori di lui. Ora l’assoluta affermazione di una esistenza non esaurisce certo il concetto dell’infinità; questo contiene che l’infinità è affermazione, ma non come affermazione immediata, sibbene solo come affermazione ristabilita per mezzo della riflessione dell’altro in se stesso, ossia come negazione del negativo. Presso Spinoza invece la sostanza e la sua assoluta unità ha la forma di una unità immobile, cioè non mediantesi con se stessa, la forma di una rigidezza nella quale il concetto della negativa unità dello Stesso, la soggettività, non si trova ancora.
L’errore di Spinoza, come detto, risiede nella concezione del modo che non è autoriflessione della sostanza, ma pura esteriorità che non torna alla sostanza, che si disperde. È interessante a questo punto interrogare nei dettagli l’interpretazione che Hegel propone dell’esempio di Spinoza:
L’esempio matematico, con cui egli illustra (Epist. XXIX) il vero infinito, è uno spazio fra due circoli diseguali l’uno dei quali cade dentro l’altro senza toccarlo, e che non sono concentrici. Egli si riprometteva molto, a quel che sembra, da questa figura e dal concetto come esempio di cui l’adoprava, tanto che ne fece il motto della sua Etica. «I matematici, dic’egli, concludono che le ineguaglian- ze, che sono possibili in un tale spazio, sono infinite, non già a cagione dell’infinita moltitudine delle parti, perocché la sua grandezza è determinata e limitata, ed io posso porre simili spazi più grandi e più piccoli, ma perché la natura della cosa sorpassa ogni determinatezza». Come si vede, Spinoza rigetta quella rappresentazione dell’infinito, secondo la quale esso viene immaginato come moltitudine o come serie non compiuta, e ricorda che qui nello spazio dell’esempio l’infinito non sta al di là, ma è presente e compiuto; questo spazio è uno spazio limitato, ma infinito «perché la natura della cosa supera ogni determinatezza» […] Quell’infinito di una serie Spinoza lo chiama infinito dell’immaginazione; al contrario, quello che è come riferimento a se stesso, lo chiama infinito del pensiero o infinitum actu. Esso è infatti actu, è realmente, infinito, perché è compiuto in sé e presente.
Dunque, secondo Hegel, Spinoza contrapporrebbe attraverso l’esempio l’infinito del pensiero, compiuto e presente, all’infinito dell’immaginazione, il cattivo infinito, l’infinito di una serie non compiuta.
Nella lettura hegeliana interviene tuttavia un fraintendimento di enorme importanza: l’esempio che secondo Hegel si riferirebbe all’infinito in atto, nel testo di Spinoza ha la funzione di esemplificare l’esistenza di cose che «non possono essere uguagliate da nessun numero, pur potendosi tuttavia concepire maggiori o minori» (41). Come scrive Mariana Gainza, «Spinoza non si serve dell’esempio per pensare l’infinito positivo, che è infinito in virtù della propria natura, bensì la realtà stessa del finito» (42). In altre parole: l’esempio spinoziano non si riferisce alla so- stanza, bensì alla realtà modale.
Hegel si acceca su questo punto perché da un lato trascrive in modo scorretto l’esempio spi- noziano e dall’altro ne rimuove un aspetto fondamentale.
Leggiamo il passo della lettera XII:
[I matematici], oltre ad aver trovato molti oggetti che non si possono esprimere con nessun numero, perché è chiara la mancanza di numeri per determinare tutto ciò che esiste, concepiscono anche molte cose che non possono essere espresse adeguatamente da nessun numero, ma che superano qualunque numero possa darsi. Non concludono, tuttavia, che tali cose superano ogni numero a causa della moltitudine delle parti, ma per questo, che la natura della cosa non può essere espressa da un numero senza manifesta contraddizione: come, ad esempio, superano ogni numero tutte le differenze dello spazio interposto tra due cerchi e tutte le variazioni che la materia, mossa in esso, deve subire. E questo non si deduce dalla eccessiva grandezza dello spazio interposto; infatti, anche se prendiamo un piccola parte di esso, le differenze di questa piccola porzione supereranno ogni numero. E neppure si deduce, come accade in altri casi, perché non abbiamo il suo massimo e minimo. Abbiamo infatti ambedue in questo nostro esempio, ossia il massimo AB e il minimo CD; ma si conclude invece soltanto da questo, che la natura dello spazio interposto tra due cerchi aventi centri diversi non può subire niente di simile. Perciò, se qualcuno volesse determinare tutte quelle diseguaglianze con un certo numero, dovrebbe simultaneamente far sì che il cerchio non sia cerchio (43).
Riprendendo il passo hegeliano, la citazione di Hegel si rivela essere in realtà un riassunto:
«I matematici, dic’egli, concludono che le ineguaglianze, che sono possibili in un tale spazio, sono infinite, non già a cagione dell’infinita moltitudine delle parti, perocché la sua grandezza è determi- nata e limitata, ed io posso porre simili spazi più grandi e più piccoli, ma perché la natura della cosa sorpassa ogni determinatezza».
Nel sintetizzare, Hegel trascrive lo spinoziano «omnes inaequalitates spatii […] omnesque variationes, quas materia, in eo mota, pati debeat» con «die Ungleichheiten, die in einem solchen Raume möglich sind». In questa trascrizione si nascondo un fraintendimento ed una rimozione.
Quanto al fraintendimento, Hegel trascrive le disugualianze di distanze dell’esempio spi- noziano nelle distanze disuguali tracciabili nello spazio. E non si tratta di una semplice svista, ma di un fraintendimento che modifica completamente il senso dell’esempio la cui precisa funzione è di permetterci di concepire in modo adeguato, come scrive giustamente Mariana Gainza, «le parti della parte, cioè i costituenti fondamentali di quella realtà finita e limitata che viene illustrata facendo riferimento allo spazio compreso tra i due cerchi non concentrici» (44). Le Ungleichkeiten in einem solchen Raume hegeliane sono gli infiniti segmenti che possono essere tracciati tra i due cerchi, mentre le spinoziane inaequalitates spatii sono le differenze tra questi infiniti segmenti diseguali:
Nel primo caso le parti identificate con i segmenti possono essere positivamente indicate come par- ti discrete; nel secondo caso ogni parte è una differenza tra due segmenti, la differenza tra la distanza che ciascuno di questi segmenti indica positivamente (45).
Dunque, se si legge correttamente l’esempio spinoziano, cioè se si leggono le parti di questo spazio finito come differenze tra distanze diseguali, ciascuna parte deve essere concepita come un passaggio.
Hegel fraintende proprio il carattere necessariamente dinamico della esistenza congiunta del- le infinite parti di questa realtà circoscritta, e questo fraintendimento porta con sé la completa rimozione del riferimento spinoziano alla «variazione del movimento della materia che circola in questo spazio». Infatti le diseguaglianze dello spazio compreso tra i due cerchi, che costituiscono il composto non numerabile delle differenze tra le sue distanze diseguali, danno luogo alla variazione senza fine del movimento della materia sotto forma di una infinità di passaggi o di transizioni.
Dunque è precisamente attraverso questa errata trascrizione dell’esempio e la rimozione di un suo aspetto fondamentale, il riferimento al movimento della materia e alle sue continue variazioni, che Hegel può affermare che esso descrive un infinito che non è «jenseits, sondern gegenwärtig und vollständig», un infinito in atto.
Scrive ancora Mariana Gainza:
Ciò che Hegel non vede è dunque la specificità dell’esempio spinoziano: non comprende che la non concentricità dei cerchi esige che si concepisca ciò che accade all’interno di questo massimo e di questo minimo in termini di movimento; non comprende che per ciò stesso, le parti che costitui- scono questa determinata interiorità delimitata non sono parti discrete, ma parti differenziali; e non comprende infine che è qui in gioco un’altra nozione di limite, differente da quella stabilita dalla circoscrizione fissa di uno spazio, dato che il massimo ed il minimo sono esse stesse relazioni tra distanze diseguali (46).
7. Il fraintendimento del modo
Il fraintendimento hegeliano di questo passaggio spinoziano costituisce una straordinaria mise en abîme di tutta la sua interpretazione: ciò che risulta del tutto incomprensibile per Hegel del pensiero spinoziano è proprio il concetto di modo al punto da scambiare l’esempio geometrico che esibisce la maniera in cui, in un modo finito, l’esistenza coincide con la sua essenza per l’esempio che illustra la presenza e la completezza dell’infinità attuale della sostanza.
L’esempio spinoziano stabilisce un concetto di limite ben differente rispetto a quello sta- tico espresso dalla celebre proposizione determinatio est negatio. Non si tratta di un limite puramente esterno rispetto ad una interiorità, ma costituito dalla «variazione senza fine di una infinità di passaggi o transizioni»:
La materia, nell’esempio, – scrive ancora Mariana Gainza – continua indefinitamente il proprio movimento, attraversando gli infiniti stadi che la fanno essere ciò che è, in una esistenza infinitamente variabile che tuttavia si trova compresa entro certe soglie dell’estensione che definiscono la sua natu- ra (un massimo e un minimo) associati a loro volta a ciò che questo spazio materiale è in virtù della determinazione esterna dei suoi limiti (47).
Tuttavia è possibile spingersi oltre. Se è vero infatti che l’esempio rappresenta la maniera in cui nella realtà modale essenza ed esistenza coincidono, si tratta pur sempre di una rappresen- tazione sub specie geometrica, rappresentazione che conduce ad isolare quella realtà modale immaginandola come totalità. Dunque la stessa variazione tra un massimo ed un minimo dati può sussistere solo isolando una parte della natura, dunque riducendo la complessità delle relazioni che la costituiscono. Ora, se con Balibar chiamiamo transindividuale la complessa trama di relazioni sia orizzontali che verticali che costituisce l’esistenza modale (48), ci troveremo in un orizzonte in cui la variazione tra un massimo ed un minimo non può essere data una volta per tutte in una essenza che precede l’esistenza, ma piuttosto sarà la complessità stessa delle relazioni orizzontali e verticali a fissare un interno ed un esterno, un massimo e un minimo, in un’essenza che si dà solo con l’esistenza stessa, nella sua fatticità.
Ora, proprio questo punto è fondamentale rispetto all’interpretazione hegeliana. Facendo della proposizione determinatio est negatio il cuore teorico dello spinozismo, Hegel si mette nelle condizioni di leggere la sostanza come un indeterminato positivo ed il modo come pura negatività, pura esteriorità perché il limite che lo determina rimane un che di esterno. In realtà, come detto, il modo non è un’esteriorità contrapponibile alla sostanza come interiorità, né un negativo contrapponibile ad un positivo, ma è il contraccolpo di un complesso tessuto di relazioni sia orizzontali che verticali, di una trama transindividuale, che costituisce, sempre in modo provvisorio, un interno ed un esterno, una potenza di esistere e di agire tra altre potenze. Ed è il fraintendimento del concetto di modo a condurre Hegel al fraintendimento del concetto di sostanza in quanto presenza: la sostanza spinoziana non è presente, ma assente, nella misura in cui esiste solo attraverso la trama di relazioni che determina i modi ed in questo senso ha ragione Hegel nell’affermare che non c’è ritorno del modo nella sostanza, ma non per la ragione che crede Hegel, ossia che la negazione non si nega arricchendo l’identità originaria, ma proprio perché l’identità originaria non c’è, e non c’è dunque luogo a cui tornare:
beatitudo non est virtutis praemium, sed ipsa virtus.
Note
1 F.H. Jacobi, Über die Lehre des Spinoza, hrsg. K. Hammakere et alii, Hamburg, Meiner, 2000, p. 23, tr. it. in V. Morfino (a cura di), La Spinoza-Renaissance nella Germania di fine Settecento, Milano, Unicopli,
1998, p. 82.
2 J.G. Fichte, Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre als Handschrift für seine Zuhörer, in Gesamtaus- gabe, Bd. I. 2, hrsg. von R. Lauth und H. Jacob unter Mitwirkung von M. Zahn, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1965, p. 264, tr. it. a cura di A. Tilgher, riveduta da F. Costa, in Dottrina della scienza, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 83.
3 Kant suggerisce che per attribuire un’unità di scopo alla natura spinoziana sarebbe necessario pensare la sostanza come causa intelligente (die Verstand hat) ed i modi come effetti interni della sostanza (innere Wirkungen). Cfr. I. Kant, Kritik der Urtheilskraft, in Kants Werke, Bd. 5, Berlin, de Gruyter, 1968, p. 393, tr. it. a cura di A. Gargiulo, rivisto da V. Verra, Bari-Roma, Laterza, 1989, pp. 264-265.
4 F.W.J. Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen, in Schellings Werke, München, Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1959 (Unveränderter Nachdruck des 1927 erschienenen), Bd. I, p. 95, tr. it. a cura di A. Moscati, Napoli, Cronopio, 1991, p. 43.
5 Schelling a Hegel, 4 febbraio 1795, in Briefe von und an Hegel, Bd. I, hrsg. von J. Hoffmeister, Hamburg, Meiner, 1952, p. 22. La rilettura di Fichte alla luce di Spinoza operata da Schelling, e che lo stesso Fichte in un primo momento apprezza (cfr. Fichte a Reinhold, 2 luglio 1795, in Gesamtausgabe, Reihe III, Bd. 2, hrsg. von R. Lauth und H. Jacob, unter Mitwirkung von H. Gliwitzky und M. Zahn, 1970, pp. 347- 348), è comune in quegli anni anche a Hölderlin (cfr. Hölderlin a Hegel, 26 gennaio 1795, in Briefe von und an Hegel, Bd. I, cit., p. 19) e più tardi, in modo più sfumato, anche a Novalis (Novalis, Allgemeines Brouillon, in Schriften, Bd. III (Das Philosophisch Werk II), hrsg. von R. Samuel in Zusammenarbeit mit von H.-J. Mähl und G. Schulz, Stuttgart – Berlin – Köln – Mainz, Kohlhammer, 1968, tr. it. a cura di F. Desideri, in Opera filosofica, vol. II, Torino, Einaudi, 1993, passim).
6 Cfr. F. Schleiermacher, Über die Religion. Reden an die Gebildeten unter ihren Verächtern, Berlin, Unger,
1799, pp. 54-55, tr. it. di S. Spera, Brescia, Queriniana, 1989, pp. 75-76, e F. Schlegel, Rede über die Mythologie, in Athenaeum. Eine Zeitschrift 1798-1800, Stuttgart, Cotta, 1960, Bd. 2, p. 176, tr. it. a cura di G. Cusatelli, Milano, Sansoni, 2000, pp. 673-674.
7 Cfr. su questo punto il mio Substantia sive Organismus. Immagine e funzione teorica dello spinozismo negli scritti jenesi di Hegel, Milano, Guerini, 1997.
8 Cfr. su questo punto il mio «‘Ordo et connexio’. Di Hegel traduttore di Spinoza», in M. Cingoli (a cura di), L’esordio pubblico di Hegel. Per il bicentenario della Differenzschrift, Milano, Guerini, 2004, pp. 217-226.
9 F. W. Schelling, System des transcendentalen Idealismus, in Schellings Werke, Bd. 2, München, 1927, p.
331, tr. it. di G. Boffi, Rusconi, Milano, 1997, p. 47.
10 G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, in Gesammelte Werke, Bd. 9, hrsg. von W. Bonsiepen – R.
Heede, Hamburg, Meiner, 1980, p. 17, tr. it. a cura di E. De Negri, vol. I, Firenze, La Nuova Italia, 1960, p. 13.
11 Ivi, p. 18, tr. it. cit., p. 13.
12 F.W.J. Schelling, Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit und die damit zusammenhängenden Gegenstände, in Schellings Werke, cit., Bd. 4, p. 241, tr. it. in Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, a cura di L. Pareyson, Milano, Mursia, 1974, pp. 89-90.
13 Ivi, p. 255, tr. it. cit., pp. 99-100.
14 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, erster Band Die Objektive Logik (1812/1813) hrsg. von F. Hoge- mann und W. Jaeschke, in Gesammelte Werke, Bd. 11, Felix Meiner, Hamburg 1978, p. 24, tr. it. a cura di A. Moni, Laterza, Bari-Roma 1988, vol. 1, p. 35.
15 G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes cit., p. 32, tr. it. cit., p. 33.
16 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, erster Band Die Objektive Logik (1812/1813) cit., p. 24, tr. it. a cura di A. Moni, Bari-Roma, Laterza, 1988, vol. 1, p. 35.
17 Ivi, p . 25, tr. it.cit., p. 36.
18 Ivi, pp. 76-77 (tr. it. di G. Battistel).
19 Ivi, pp. 112-113, tr. it. cit., p. 200.
20 Ivi, p.161-163, tr. it. pp. 274-277.
21 Ivi, p. 189, tr. it. p. 366.
22 Ibidem (tr. it. di G. Battistel).
23 Ivi, pp. 229-230 (tr. it. di G. Battistel).
24 Ivi, p. 241, tr. it. cit., p. 433.
25 Ivi, pp. 376-378, tr. it. pp. 604-606.
26 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, zweiter Band Die Subjektive Logik (1816) hrsg. von F. Hogemann und W. Jaeschke, in Gesammelte Werke, Bd. 12, Hamburg, Felix Meiner, 1981, p. 11, tr. it. cit., p. 651.
27 Ibidem, tr. it.cit., p. 652.
28 Ibidem.
29 Ivi, pp. 14-16, tr. it. cit., pp., 654-657.
30 Ivi, p. 40, tr. it. cit., pp. 689- 690.
31 Ivi, p. 229, tr. it. cit., p. 926.
32 F. Papi, La Scienza dela logica di Hegel, Milano, Ghibli, 2000, p. 51.
33 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, Die Lehre vom Sein (1832), in Gessamelte Werke, Bd. 21, hrsg.
Von F. Hogemann und W. Jaeschke, 1985, p. 380, tr. it. cit., p. 426.
34 «La realtà è l’unità dell’essenza e dell’esistenza» (G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, Bd. 11, cit., p.
369, tr. it. cit., p. 595).
35 Ivi, pp. 370-379, tr. it. cit., pp. 596-609.
36 Ivi, pp. 380-392, tr. it. cit., pp. 609-625.
37 Ivi, pp. 393-409, tr. it. cit., pp. 625-646.
38 Ivi, p. 393, tr. it. cit., p. 626.
39 Scrive Hegel a conclusione del paragrafo sulla bestimmende Reflexion: «La determinazione riflessiva al con- trario ha ripreso in sé il suo esser altro. Essa è esser posto, negazione, che però ricurva in sé la sua relazione ad altro, ed è negazione che è eguale a se stessa, negazione che è unità di se stessa e del suo altro e solo perciò è essenzialità. È dunque esser posto, negazione; ma come riflessione in sé è in pari tempo [zugleich] l’esser tolto [Aufgehobenseyn] di questo esser posto, è infinito riferimento a sé» (ivi, p. 257, tr. it. cit., p. 454).
40 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, erster Band Die Objektive Logik (1812/1813) cit., p. 375, tr. it. cit., p. 603.
41 B. Spinoza, Opera, hrsg. C. Gebhardt, Heidelberg, Winters, 1924, Bd. 4, p. 59, tr. it. in Opere, a cura di F. Mignini, Milano, Mondadori,
2009, p. 1327.
42 M. Gainza, «El tiempo de las partes. Temporalidad y perspectiva en Spinoza», in G. D’Anna, V. Morfino
(a cura di), Temporalità e ontologia in Spinoza (in corso di pubblicazione).
43 B. Spinoza, Opera, Bd. 4, cit., p. 59, tr. it. cit., pp. 1326-1327.
44 M. Gainza, «El tiempo de las partes. Temporalidad y perspectiva en Spinoza» cit.
45 Ivi.
46 Ivi.
47 M. Gainza, «Il limite e la parte. I confini dell’interiorità in Spinoza», in E.Balibar, V. Morfino (a cura di), Sul transindividuale (in corso di pubblicazione).
48 E. Balibar, Spinoza e il transindividuale, a cura di L. Di Martino e L. Pinzolo, Milano, Ghibli, 2002.